Trump vs Harris e la sfida alla Cina
Oggi il Consigliere per la sicurezza nazionale USA Jake Sullivan va a Pechino per mantenere rapporti diplomatici che rischiano di degenerare con le elezioni presidenziali. Un rischio anche per l'Ue
Il rapporto con la Cina sarà una delle grandi sfide dell’amministrazione Harris, in caso di vittoria a novembre. Oppure sarà un disastro al cubo rispetto a quanto visto tra 2016 e 2020 in caso di vittoria di Donald Trump.
Il viaggio del Consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, a Pechino ci ricorda che c’è un Paese al mondo che è preoccupato per il voto di novembre più degli stessi Stati Uniti: la Cina.
A parole, sia Donald Trump che Kamala Harris si annunciano battaglieri. Nel suo discorso alla convention Democratica, Kamala non ha lasciato spazio ad ambiguità e ha detto che lavorerà affinché siano gli Stati Uniti e non la Cina “a vincere la competizione per il Ventunesimo secolo”.
Anche nel discorso di Kamala si intravede quindi il nuovo pessimismo prevalente nei circoli di politica estera americani, convertiti al principio del rapporto a somma zero: ogni conquista economica o tecnologica per la Cina è un passo indietro per gli Stati Uniti. Dunque l’obiettivo non è più guidare una graduale e costruttiva adesione di Pechino agli standard e ai principi del sistema multilaterale internazionale, ma rallentarne lo sviluppo.
Una scommessa pericolosa, visto che se la Cina frena la sua crescita diventa anche più instabile politicamente, e l’instabilità può spingere a mosse avventate in politica estera, in particolare riguardo a Taiwan.
Kamala Harris non è mai stata in Cina e non si è mai davvero occupata di Cina, dunque quel riferimento nel suo discorso andrà declinato in qualcosa di più concreto. Anche rispetto alla generica apertura di Tim Walz, il suo aspirante vice, che invece conosce il mondo cinese un po’ meglio ma non troppo.
Secondo il Financial Times, l’unico messaggio credibile che Kamala potrebbe mandare sulla Cina è confermare le figure chiave della diplomazia dell’amministrazione Bide, il segretario di Stato Antony Blinken e il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Sono riusciti, in questi quattro anni, a condurre un gioco diplomatico difficilissimo: trasformare la guerra commerciale innescata da Trump in una politica industriale che crea un permanente tavolo di discussione commerciale, tecnologico, militare con Pechino.
Un tavolo sul quale, a seconda della circostanza, gli Stati Uniti possono poggiare una pistola o un mazzo di fiori.
La pistola è più usata, però: è notizia di queste ore che il Canada ha deciso di alzare i dazi sull’importazione di auto cinesi a livello di quelli americani, cioè il cento per cento: una chiusura di fatto del proprio mercato ai veicoli a batteria importati dalla Cina, imposta dalla barriera alzata pochi mesi fa da Biden e che, a sua volta, ha incentivato l’Unione europea ad alzare i propri di dazi, anche al prezzo di rallentare la transizione ecologica.
Il caos Trump
Il rapporto con la Cina, quindi, sarà una delle grandi sfide dell’amministrazione Harris, in caso di vittoria a novembre. Oppure sarà un disastro al cubo rispetto a quanto visto tra 2016 e 2020 in caso di vittoria di Donald Trump.
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