Ritorno alla crisi del 2011
La legge di Bilancio del governo Meloni è molto peggio di come sembra e incorpora, anche nel migliore dei casi, austerità analoga a quella seguita alla alla crisi dell'euro
Buongiorno a tutte e tutti,
mi riprometto di occuparmi di nuovo di Medio Oriente appena le cose si fanno un po’ più chiare. Ma Alessandro Milan, il conduttore di Uno, nessuno e cento Milan su Radio 24, mi ha chiesto di tornare a fargli da spalla e questa mattina sarà con lui tra le 9 e le 11 di mattina a parlare anche di legge di Bilancio.
Quindi colgo l’occasione per fare il punto su quello che è, o dovrebbe essere, il provvedimento più importante di tutto l’anno per un governo, perché è l’unica occasione di muovere davvero delle risorse e di incidere sul futuro prossimo, perché ogni manovra copre un triennio.
Giorgia Meloni l’ha definita una manovra “seria e realistica” ma chiaramente non sa di cosa parla, come dimostra il fatto che chiama "extragettito" (un aumento imprevisto delle entrate) quello che è “extra deficit” (cioè un aumento dell’indebitamento).
E questa non è una mia opinione, visto che il governo ha dovuto farsi votare dal parlamento lo scostamento di bilancio per poter fare 16 miliardi di deficit necessari a finanziare la gran parte dei 24 miliardi oggetto della manovra.
Il governo si è fatto autorizzare deficit per 0,6 punti di Pil nel 2024 e nel 2025 e 0,4 punti nel 2026.
Come ha scritto l’economista Giuseppe Pisauro su lavoce.info, per la prima volta un governo chiede più deficit senza neppure provare a motivare questa necessità di derogare dagli impegni presi in precedenza, sul contenimento del deficit e la riduzione del debito:
“La valutazione sintetica è che non c’è una giustificazione per lo scostamento. Per cominciare, tra aprile e oggi non si verificato nessun “evento eccezionale” come una grave recessione economica, una crisi finanziaria o una calamità naturale. Tuttavia, in passato si è giustificato lo scostamento anche sulla base semplicemente di un peggioramento congiunturale della fase ciclica. Cosa che qui non c’è”.
Anzi, come vedremo, tutti i numeri su cui si fonda questa legge di Bilancio sono precari e troppo ottimistici.
Per finanziare un po’ di interventi di spesa e tagli fiscali a esclusivo scopo pre-elettorale (durano un anno, poi andranno rifinanziati), il governo Meloni rischia di spingere l’Italia in un abisso finanziario analogo a quello del 2011-2012, dal quale soltanto le manovre severe del governo Monti ci hanno poi risollevato.
Vi sembra una esagerazione? Posso argomentare che non lo è. E non si tratta neppure di una mia opinione personale, bensì della conclusione a cui stanno arrivando i principali esperti di finanza pubblica italiana e - quel che è peggio - anche le agenzie di rating.
Gli ingredienti per un ritorno al 2011-2012 sono i seguenti:
esigenze di spesa dei partiti che prevalgono sulla razionalità economica
scetticismo europeo intorno all’Italia che spinge i paesi più austeri a chiedere vincoli di bilancio stringenti, difficili da rispettare (dal 2024 dovrebbero tornare i vincoli del patto di stabilità e crescita revisionato)
pervicace insistenza dell’Italia a fare tutto il contrario di quello che sarebbe utile a guadagnarsi credibilità sui mercati
condizioni finanziarie sfavorevoli (tassi di interesse alti, crescita bassa, meno sostegno dalla Banca centrale europea).
E ci sono tutti.
In un Policy Brief per l’Institute for European Policymaking della Bocconi con il quale collaboro, una serie di economisti autorevoli hanno segnalato vari punti problematici nel quadro di finanza pubblica nel quale il governo ha incardinato la manovra. Lo firmano Carlo Bastasin, Lorenzo Bini Smaghi, Sergio De Nardis, Marcello Messori e Stefano Micossi.
La Nota di aggiornamento di economia e finanza (Nadef) è un po’ troppo ottimistica:
“La previsione governativa circa la crescita reale del Pil nel 2023-24 poggia sull’ipotesi che l’economia italiana, dopo il calo del II trimestre dell’anno in corso, sia tornata già da luglio-settembre su un sentiero di crescita (di circa 0,3 per cento); essa assume, inoltre, che il ritrovato ritmo di (moderato) incremento del Pil sia mantenuto nel periodo successivo, quando dovrebbe intervenire anche il contributo degli investimenti del (rimodulato) Pnrr”, scrivono gli autori.
Sappiamo quanto è difficile rispettare tempi e condizioni del Pnrr, ma il governo quando deve considerarne gli effetti sull’economia “dà per scontato che tali investimenti siano realizzati in modo efficace e che producano effetti positivi di breve termine, anche se le nuove scadenze stabilite dal governo sono caratterizzate dal postponimento di molti progetti al 2025 e 2026”. Quindi bisognerebbe fare tutto nell’ultimo anno. Quasi impossibile.
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