Quanto ci dobbiamo preoccupare ancora per l'inflazione?
La missione delle banche centrali è quasi compiuta, ma restano molte incertezze e c'è la minaccia di nuovi shock, come dimostrano gli attacchi degli houthi nel Mar Rosso
Non bisogna trattenere il fiato nell’attesa dei tagli dei tassi di interesse da parte della Bce, per tre ragioni: perché il problema non è del tutto risolto, perché in questo momento i banchieri centrali possono - e forse perfino devono- esagerare con il rigore per bilanciare il lassismo del passato, e perché gli shock continuano
Ogni tanto capita che mi chiedano di parlare di inflazione, dopotutto ci ho scritto un intero libro circa un anno fa (Inflazione, Utet). E questo mi crea una specie di conflitto di interessi: visto che nel libro ho preso una posizione più pessimista che minimalista, riesco a essere intellettualmente onesto nel valutare gli sviluppi, specie in una fase come questa di inflazione declinante?
In altre parole, poiché ho scritto un libro sul pericolo dell’inflazione, tendo a essere troppo negativo?
I miei tormenti interiori sono di scarso interesse generale, mi rendo conto, ma penso siano analoghi a quelli che sperimentano i banchieri centrali, in particolare quelli al vertice della Bce.
Dopo aver tanto faticato per legittimare una stretta monetaria senza precedenti per fermare un’inflazione arrivata al 10 per cento - e l’obiettivo è tenerla entro il 2- se adesso annunciano vittoria e promettono di abbassare i tassi, non rischiano forse che sembri una ammissione di colpa? Abbiamo esagerato, e adesso correggiamo il tiro.
Queste trappole mentali sono molto pericolose, anche per figure come i banchieri centrali che dovrebbero avere una caratura molto tecnica, immune alle emozioni e alle suggestioni.
Lorenzo Bini Smaghi, che è stato nel board della Bce fino al 2011, ha pubblicato un'analisi molto interessante per l’Institute for European Policy Making della Bocconi che, in sintesi, spiega cosa può essere successo nella testa di Christine Lagarde e colleghi.
Hanno iniziato ad alzare i tassi troppo tardi, perché hanno sottovalutato a lungo l’inflazione e perché erano reduci da anni nei quali il pericolo era quello opposto, la deflazione.
E quindi, adesso, non possono permettersi di fare ancora una volta lo stesso errore senza compromettere definitivamente la propria credibilità. Preferiscono cioè esagerare nella direzione opposta, tenere una politica monetaria troppo restrittiva invece che troppo accomodante.
Bini Smaghi lo dice molto meglio di me:
“Gli errori di previsione hanno un ruolo e influenzano le convinzioni degli agenti. Sbagliare sistematicamente dallo stesso lato finisce probabilmente per influenzare in modo permanente le aspettative.
Applicato alla politica monetaria, le banche centrali rischiano di perdere credibilità se sbagliano sempre nella stessa direzione, cosa che finirebbe per disancorare le aspettative”.
Dunque, conclude Bini Smaghi, “per una banca centrale che si è scoperta in ritardo ad alzare i tassi, è preferibile risultare in ritardo anche nel tagliarli piuttosto che ridurli troppo presto e poi doverli alzare di nuovo”.
Una volta chiarito come, probabilmente, ragionano alla Bce, guardiamo che situazione vedono da Francoforte.
Missione compiuta?
A guardare l’andamento dell’indice di inflazione, verrebbe da dire “missione compiuta”, o quasi.
Come ha spiegato il vicepresidente della Bce Luis De Guindos, a fine 2023 l’inflazione era di poco sotto il 3 per cento “e questo è una buona notizia”, anche se era in lieve crescita rispetto a novembre. Un piccolo rimbalzo atteso dovuto a effetti di base (l’inflazione si calcola anno su anno, quindi se un anno fa i prezzi erano già saliti molto, la variazione sarà piccola) e al venir meno di alcuni sussidi sull’energia.
Parentesi: è utile ricordare che l’inflazione non l’ha combattuta soltanto la Bce, ma anche i governi nazionali che hanno speso decine e decine di miliardi per far percepire ai cittadini, soprattutto nelle classi più povere, le conseguenze dell'aumento dei prezzi energetici.
Nel 2022 l’inflazione è arrivata al 10,6 per cento, senza interventi governativi la famiglia europea media avrebbe visto la sua disponibilità economica ridursi del 6,7 per cento, le famiglie più povere di un pesantissimo 13,2 per cento, i più ricchi soltanto del 4,8 per cento, stima la Bce.
Come si vede dai grafici qua sotto, in Italia il governo Draghi ha fatto un lavoro migliore rispetto a Francia e Germania nel proteggere la parte più povera della popolazione dallo shock dei prezzi energetici. L’inflazione in Italia è stata un po’ meno iniqua che in altri paesi.
Tutto questo però ha un prezzo, anche elevato: sempre secondo la Bce, il 2 per cento del Pil europeo è andato in fumo per compensare i prezzi energetici. Sono cifre enormi, se pensate che in Italia 2 punti di Pil sono circa 40 miliardi di euro.
E’ chiaro che non si possono mantenere questi sussidi - sconti sul prezzo dell’energia - per sempre, ma rimuoverli in modo troppo rapido, come sta facendo la Germania, rischia di innescare di nuovo l’inflazione, e soprattutto di peggiorare le disuguaglianze.
Fine della parentesi fiscale, ma bisogna tenere presenti questi dati quando qualcuno si lamenta perché l’aumento dei tassi comporta un aumento del costo del debito pubblico italiano. Per quanto elevato, non ci costerà il 2 per cento del Pil.
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