Perché dobbiamo parlare di patriarcato
Le tesi del ministro Valditara su donne, famiglia, violenza e femminicidi non hanno alcuna base nei dati. Ma rivelano il disinteresse del governo per il tema
Valditara è diventato il migliore spot possibile per la Fondazione Giulia Cecchettin: finché ci saranno ministri come lui che neppure si preoccupano del problema, ci sarà sempre bisogno di attiviste e attivisti e di associazioni che riempiano il vuoto di politiche e protezione
Ero tentato dal lasciar cadere la polemica, l’ennesima, sulle parole del ministro dell’Istruzione del merito Giuseppe Valditara, perché ci sono molte altre cose importanti di cui occuparsi, dal rischio di un’escalation nucleare in Ucraina alle conseguenze delle elezioni regionali in Emilia-Romagna e Umbria. Dobbiamo davvero discutere ancora di patriarcato?
La risposta che mi sono dato, da uomo, prima che da giornalista, è che considerare sempre altre questioni più importanti degli squilibri tra i generi è esattamente quello che consolida il patriarcato, qualunque definizione si scelga di darne.
E allora, recuperiamo le parole di Valditara all’evento per presentare una fondazione intitolata alla memoria di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta nel 2023
Valditara nel suo breve intervento dice tre cose che hanno suscitato polemica: che il patriarcato “come fenomeno giudirico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza”, che i femminicidi non sono generati dal patriarcato ma da “una grave immaturità narcisistica del maschio che non sa sopportare i no”, e che le violenze sessuali invece dipendono dall’arrivo di immigrati irregolari che portano idee di sottomissione della donna contrarie a una Costituzione italiana “che non ammette discriminazioni fondate sul sesso”.
Il ministro non si preoccupa di citare alcuna fonte per queste sue affermazioni, se non il filosofo Massimo Cacciari che in una puntata di Otto e mezzo su La7 e poi in altri interventi aveva detto che la famiglia patriarcale è in crisi da secoli, dal Rinascimento, nientemeno, “e non esiste più da 200 anni”.
Non solo famiglia
Ma chi contesta il patriarcato di solito non ha come obiettivo polemico il diritto di famiglia, e concetti come la “patria potestà”.
Il tema non è ovviamente più il diritto della donna ad avere beni di proprietà e a esercitare la potestà genitoriale sui figli.
E’ una lettura questa sì molto conservatrice e patriarcale quella di guardare alla famiglia come unità di misura di tutte le interazioni nella società.
Nelle democrazie liberali, come dovrebbe essere l’Italia, è l’individuo il soggetto sul quale misurare le libertà negative e quelle positive, cioè la libertà di non essere soggetto alla volontà di altri - a cominciare dallo stato - e quella di poter realizzare il proprio progetto di vita senza ostacoli sistemici.
Come ossera la giurista Catherine MacKinnon nel suo famoso saggio sulla teoria femminista dello Stato del 1989, “il genere è un sistema sociale che divide il potere e dunque è un sistema politico”.
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