O con Trump o con l’Europa
La manifestazione di oggi non ha una piattaforma, ma questo conta poco: una piazza vuota abbassa il costo politico per l’Italia di scegliere Trump, una piazza piena indica che la speranza è europea

E’ una esagerazione dire che la sopravvivenza dell’Europa dipende dalla manifestazione di Roma, ma questi sono tempi nei quali la politica è plasmata da esagerazioni e iperboli che hanno conseguenze esagerate e iperboliche
Il 28 febbraio su Repubblica il giornalista Michele Serra ha scritto di sentire la necessità di una manifestazione pro Europa, in risposta a questi tempi difficili. Una necessità emotiva, prima che politica, stare insieme con le bandiere blu con le stelle gialle, senza altre insegne.
Nel giro di un paio di settimane quell'idea è diventata davvero una manifestazione, sabato 15 marzo è arrivato, l’appuntamento è in piazza del Popolo a Roma, alle ore 15.
Come inevitabile in questi casi, da giorni si registra ogni sorta di commento o sfumatura: c’è chi non sa se andare perché teme che la piazza sia troppo pacifista e arrendevole sul tema Ucraina, chi invece non vuole raccogliersi sotto le bandiere di un’Unione europea che si vuole riarmare con il piano da 800 miliardi presentato da Ursula von der Leyen.
C’è chi vuole andare perché se non è l’Europa a riunire tutto il centrosinistra, niente può farlo. E c’è chi non vuole andare perché una manifestazione per l’Europa senza i partiti europeisti del centrodestra - ammesso che qualcuno, forse Forza Italia, risponda a questa definizione - non è una manifestazione per l’Europa ma soltanto una riunione di schieramento.
E poi ci sono le pre-manifestazioni e quelle post, ognuno deve posizionarsi, il Movimento Cinque stelle di Giuseppe Conte ha la sua manifestazione contro il governo il 5 aprile, e non va alla piazza europeista. Carlo Calenda con Azione si fa la sua manifestazione che è più europeista di quella europeista.
Alla fine tutte queste sfumature conteranno zero. Le manifestazioni di piazza hanno una loro inevitabile forza simbolica, sia che la piazza sia piena, sia che sia mezza vuota. Conta il colpo d’occhio, l’impatto, non la piattaforma programmatica che in questo caso credo non esista neppure.
Perché alla fine in questo momento la domanda è semplice, per l’Italia, ma anche per ciascuno di noi: ci fidiamo di più di Donald Trump o dell’Unione europea? Dell’uomo forte al comando o della democrazia multilivello che abbiamo costruito negli ultimi settant’anni?
Pensiamo che la democrazia, il compromesso, la collaborazione, la separazione tra poteri, il rispetto delle minoranze, la prosperità condivisa siano il problema o pensiamo che siano la soluzione?
Sono domande che si fanno tutti gli europei, ovviamente, ma che in Italia hanno particolare valore, perché l’Italia non ha ancora scelto.
Non lo ha fatto il suo governo, che con Giorgia Meloni predica una fantomatica “unità dell’Occidente” per non dover scegliere su quale metà di un Occidente spaccato vuole schierarsi.
Neanche la società civile italiana, diciamo l’establishment culturale ed economico, ha davvero scelto.
Anche alcuni di quelli che saranno alla piazza europeista sono tentati da cedere a un cinismo presentato per realismo: abbandonare l’Ucraina, rinunciare sia al riarmo europeo che alla copertura degli Stati Uniti e sperare che Vladimir Putin si accontenti di sfogare la sua bulimia imperiale lontano sui Paesi vicini, mentre noi ci preoccupiamo solo di pensioni, sanità, e debito pubblico.
Ma con tutte le sfumature possibili, la piazza di Roma non può essere scambiata per una piazza anti-europea.
E’ una piazza che vuole un'Europa più forte e presente, anche se poi ci sono varie idee su come si costruisca.
Le manifestazioni di piazza sono un po’ come i referendum popolari: prendono un problema molto complesso, che soltanto le istituzioni rappresentative possono affrontare nella sua complessità, e lo semplificano in una dimensione binaria. Sì o no, di qua o di là, vado o non vado.
Le manifestazioni, come i referendum, non sono mai la fine di un processo politico, ma ne definiscono il perimetro, il tono, stabiliscono l’ordine delle priorità.
In questo caso la semplificazione è molto chiara, a suo modo efficace e un po’ pericolosa.
Una piazza piena di bandiere europee e di persone manderà il messaggio che c’è una solida base popolare alla scelta europeista dell’Italia, del suo governo, della sua società.
Un successo della manifestazione darebbe un segnale fortissimo, indicherebbe che in questi tempi bui la speranza è europea, non sovranista, la via del riscatto è nell’integrazione e nella collaborazione, non nella difesa dei confini nazionali.
Una piazza piena indicherebbe che difendere l’Europa significa difendere i nostri valori e il nostro modo di vivere, non un progetto tecnocratico di qualche élite lontana e anglofona.
Una piazza vuota, invece, darebbe al governo Meloni il segnale che c’è un basso costo politico nell’abbandonare l’Europa e nello scommettere tutto sul rapporto privilegiato con Donald Trump.
Una piazza vuota sarebbe un incentivo per Meloni e per interi pezzi del potere italiano per pensare che tutto sommato si può diventare complici dei progetti della Casa Bianca trumpiana senza temere grandi conseguenze domestiche.
E’ ovvio che se l’Italia sceglie Trump rispetto all’Europa, non c’è più una Europa da difendere, così come non ci sarebbe stato un euro da tutelare nel 2011-2012 l'Italia fosse tornata alla lira.
E’ una esagerazione dire che la sopravvivenza dell’Europa dipende dalla manifestazione di Roma, ma questi sono tempi nei quali la politica è plasmata da esagerazioni e iperboli che hanno conseguenze esagerate e iperboliche.
Un’Europa davvero libera e forte - l’analisi di Nathalie Tocci (Iai)
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