Ma a chi conviene?
La scalata ostile di Monte Paschi a Mediobanca serve solo a Caltagirone e Milleri a comandare su Generali, e il governo li sostiene
Il governo che si propone di difendere l’interesse nazionale non ci spiega perché consegnare Generali a Caltagirone e Milleri sia vantaggioso per la nazione. E i protagonisti, Caltagirone e Milleri, non hanno mai chiarito cosa vorrebbero fare con le Assicurazioni Generali e perché il governo dovrebbe aiutarli a comandare con i soldi degli altri
Uno dei vizi del giornalismo italiano è quello di raccontare la finanza come se fosse politica: molti retroscena e poche analisi, ritratti di personaggi - di solito presentati come epici condottieri impegnati in imprese titaniche - e zero spiegazioni.
I giornali fanno da postini per messaggi cifrati, d’altra parte i giornali sono di solito di proprietà degli stessi protagonisti delle vicende finanziarie, o magari sono in affitto nei loro palazzi, o pagano gli stipendi grazie a finanziamenti erogati da banche di cui gli editori sono soci.
Questa premessa per dire che il racconto delle manovre in corso nel sistema bancario e assicurativo è volutamente oscuro, perché il racconto stesso è parte dello scontro di potere, in passato sono stati fondati addirittura giornali per preparare questo genere di operazioni.
La versione corta della storia è questa: il Monte dei Paschi di Siena vuole comprarsi Mediobanca con uno scambio di azioni (offerta pubblica di scambio, ops), anche se Mediobanca ha una capitalizzazione di Borsa che è quasi il doppio di quella del Monte.
L’obiettivo ultimo di questa partita è consentire a due soci importanti di Mps, il gruppo Caltagirone e la finanziaria Delfin degli eredi di Leonardo Del Vecchio guidata da Francesco Milleri, di indicare a maggio il prossimo amministratore delegato delle Assicurazioni Generali, che sono la partecipazione più rilevante di Mediobanca.
Lo Stato, e dunque il governo Meloni, è socio del Monte dei Paschi con l’11,7 per cento come conseguenza di una serie di salvataggi pubblici nell’ultimo decennio, e ha espresso l’amministratore delegato Luigi Lovaglio e diversi consiglieri tra i quali, lo si nota a puro titolo di cronaca, Renato Sala, padre della giornalista Cecilia liberata dall’Iran proprio grazie all’intervento del governo Meloni.
Dunque, il governo Meloni è direttamente coinvolto nel riassetto del sistema bancario, e questo è il secondo tentativo, dopo quello fallito a novembre: allora il piano era costruire un “terzo polo” bancario intorno al Monte dei Paschi, con una fusione con Banco Bpm, istituto radicato in Lombardia, che a sua volta si comprava il gestore di risparmio Anima che è azionista di Mps col 4 per cento.
Quel piano è fallito perché Unicredit, con l’amministratore delegato Andrea Orcel, ha lanciato una scalata ostile a Banco Bpm, in parallelo a quella che sta tentando in Germania a Commerzbank.
Con la scalata in corso, Bpm non può fondersi con Mps: la Lega, con Matteo Salvini, ha protestato e ha così confermato che l’alleanza Bpm-Mps aveva un chiaro obiettivo politico. Cioè creare un grande polo bancario con Bpm, forte in zone care a Lega, e il Monte Paschi sottratto finalmente alla pluridecennale influenza dei Ds e poi del Pd, influenza che ha dato un contributo rilevante alla crisi infinita della banca.
Tutto chiaro fin qui?
Piano B
Fallito il piano Bpm-Mps, adesso c’è la scalata di Mps a Mediobanca per conquistare Generali. Qual è il senso politico e finanziario di questa operazione?
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