L’ultima guerra di Israele
Netanyahu ha attaccat l’Iran per salvare sé stesso ma anche perché è convinto che sia in gioco la sopravvivenza del Paese, sempre più isolato per Gaza
A questo punto la reazione a catena è innescata: l’Iran ha lanciato un attacco missilistico, questa volta molto serio, su Israele. Può essere l’inizio tra due grandi potenze regionali, o può essere il momento della verità, che dimostrerà che l’Iran non è una potenza regionale ma un fragile regime autocratico prossimo al collasso
L’attacco di Israele all’Iran non è una sorpresa, il premier Benjamin Netanyahu lo ha evocato così tante volte negli ultimi mesi che la questione era soltanto quando sarebbe arrivato, non se sarebbe arrivato.
Eppure solleva molte domande che per ora non hanno risposta: Israele ha una strategia e un obiettivo? Oppure ormai il governo di Netanyahu è prigioniero, un po’ come la Russia di Vladimir Putin, della necessità della guerra permanente come unica giustificazione per rimanere al potere?
Questo attacco è l’inizio di un tentativo di regime change, cioè di ribaltare una volta per tutte la dittatura religiosa che governa l’Iran dal 1979, o invece si inserisce in un copione ormai consolidato, nel quale ognuno degli attori sulla scena replica il suo ruolo, con le stesse battute, per rassicurare il proprio pubblico di riferimento?
Israele colpisce il grande avversario regionale, l’Iran replica in modo da dimostrare di non essere rassegnato alla propria inferiorità, e poi si continua come prima perché nessuno ha davvero interesse a cambiare gli equilibri nella regione
Di sicuro questa volta l’attacco di Israele ha una scala diversa rispetto a quelli dell’ultimo anno, come dimostra anche la reazione dei mercati: l’andamento del prezzo sul petrolio indica l’aspettativa di un conflitto con implicazioni durature, almeno nel medio periodo.
Netanyahu ha presentato il primo attacco lanciato nelle prime ore di venerdì come l’inizio di una campagna che durerà “tutti i giorni necessari”. Ma necessari a far cosa?
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