Articolo pieno di spunti che spaziano su argomenti e relative riflessioni che ogni nuova generazione ripropone, magari con un po’ di vernice fresca: Il desiderio di cambiare il sistema, l’anticapitalismo, mettere in discussione i valori correnti.
Mai sentito parlare del ‘68?Degli altri movimenti( specie di origine americana) successivi?
Credo che ognuno di noi,da giovane,si è sempre sentito “contro” o almeno col desiderio di cambiare l’etablishement in cui è cresciuto. La salsa è sempre quella.
Ma io,che giovane non sono più, mi chiedo: ognuno e’ ( anzi deve) essere libero di fare le scelte di vita che crede per lui più confacenti, e questo nelle società capitalistiche lo può fare.Nessuno lo obbliga a comprare su Amazon, cambiare vestito ad ogni volger di moda, andare a prendere l’aperitivo al caffè in piazza,a usare lo smartphone: sono scelte sue.
Ma quando si pretende che tutti debbano condividere queste scelte, allora c’è qualcosa di incongruente e a mio avviso di ipocritamente sbagliato.
Sono molte le persone che vivono come la sua amica G. ( ma perché questo incognito?) ma non hanno bisogno di fare piazzate o blocchi stradali per poterlo fare.
Il Suo articolo e’ scritto veramente molto bene,tanto da farmi bonariamente sospettare che sia stato redatto per entrare a pieno titolo proprio in quel mondo tanto stigmatizzato,utilizzando tra l’altro come veicolo Substack,non certo un campione di anticapitalismo.
Mi vengono in mente diverse cose... Così, si fa per dire, se esiste una strada verso lo sviluppo sostenibile e la pace dei popoli di sicuro verifichiamo, dati alla mano, che il capitalismo non è quella strada. Anzi ne è l'antitesi, è il problema. Il bello è che lo sappiamo, ma ci hanno cresciuti a coca cola e fin che la barca va. Questi sono fatti dell'oggi.
Articolo ricco di spunti di riflessione. La scelta personale di una vita sobria è sicuramente apprezzabile. Come opinione personale resto però convinto che una opzione ambientalista politicamente convincente per la maggioranza dei cittadini non possa basarsi sulla "frugalità" ma sullo sviluppo sostenibile che privilegi le soluzioni tecnicamente meno inquinanti. Laddove invece la sobrietà si unisce ad una critica assoluta del capitalismo (i motori dell'economia sono il capitale ed il lavoro: inorridire perchè il capitale punti al profitto è come inorridire di fronte al fatto che il lavoratore ambisca ad avere un reddito e non faccia volontariato: questo si è un punto di vista da privilegiati che possono vivere di rendita) la protesta rischia di finire in un vicolo cieco.
Come spesso capita, quando il tema è il capitalismo, non ci sono mai le mezze misure e finiamo vittime della solita polarizzazione alla quale sembra proprio impossibile sottrarsi.
Da un lato il turbo capitalismo del fast fashion, dall’altra gli autarchici che si cuciono i vestiti da soli.
Da giovane anch’io sono stato un angry young man e a quei tempi mi sembrava normale voler tutto subito, ma gli idealisti che hanno sperato in scenari radicalmente diversi, alla fine ne sono rimasti molto delusi (vedi, per citarne due, Alex Langer e Mark Fisher).
Ora con il pragmatismo dei miei 50 anni suonati, posso dire che l’attivismo serio, non si può ridurre ad un flash mob. Non si può sperare che bloccando il traffico una tantum, nel giro di una settimana si possa svuotare la tangenziale. L’insegnamento non funziona con l’imposizione, ma con l’esempio. Soprattutto se si è costretti ad imporre una rinuncia ad un comfort.
Se pensiamo di cambiare da un giorno all’altro l’intero sistema economico non siamo degli utopisti, siamo degli stupidi che non hanno ancora capito come vanno le cose (e qui parlo anche al me stesso giovane).
In Italia è forte l’associazionismo (questo sì, merito della sinistra, quando ancora si degnava di rapportarsi con il territorio) e negli ultimi anni sono nate molte realtà che, appunto, sotto il legittimo statuto di associazione, lavorano come piccole comunità, promuovendo una cultura alternativa.
Il loro cammino non solo è lungo e faticoso, ma mette anche in conto un passaggio di transizione ad una sorta di capitalismo etico (?), non certo la sua abolizione.
L’attivismo pragmatico, però, se riesce ad aggregare le forze, è l’unico che può pensare di rendere meno utopica una piccola conquista.
Del resto, il percorso è sempre lo stesso. Per arrivare nella stanza dei bottoni, questa è la gavetta. Da sinistra, come da destra. E ogni forma di disobbedienza civile, non farà altro che attivare gli anticorpi del sistema che stigmatizzerà il fatto etichettandolo come “terroristico”.
Infine pensando a G., la immagino schifata dall’idea di dover continuare a sottostare al rapporto mercenario dell’acquisto, ma ammetterete che non è la stessa cosa dare soldi a McDonald o darli ad una trattoria “Slow Food” (dove qui l’etichetta mi serve solo per alludere ai valori che sottende, non al mercato degli “stellati” che è tutta un’altra storia e che aprirebbe un’altra grossa parentesi).
Si è una bella confessione. Sopratutto in favore di maggior socialità contro l'individualismo sfrenato del sistema, che sembra produrre i peggiori narcisismi dei peggiori uomini bianchi ! forse un record rispetto al passato.
Articolo molto "denso" e sincero. Sarebbe fin troppo facile obiettare sulla utilità di queste posizioni "radicali" ma non si può negare che nel sistema capitalistico ci siano delle storture talmente grandi ed evidenti che chiamano alla ribellione. Ed è del tutto naturale che i giovani vogliano cambiare il mondo. Il problema, in particolare, dell'Italia è purtroppo il contrario: gran parte dei giovani sono rassegnati a come funziona il sistema, ad esempio scuola e università, e non si fanno parte attiva per reclamare un cambiamento radicale. Anche perché, e anche questo va detto, il sistema li blandisce e gli rende la vita comoda (prendiamo ancora ad esempio l'università, ormai diventata una prosecuzione della scuola superiore).
In generale vedo pochissima disponibilità a fare anche minime rinunce personali a favore dell'ambiente. Chi rinuncia (tra coloro che se lo possono permettere) al weekend al mare (con l'auto a gasolio) o alle vacanze dall'altra parte del mondo? Vedo piuttosto molti che nemmeno si prendono la briga di spegnere la luce uscendo dal bagno dell'ufficio!
Devo confessare che non vedo una soluzione praticabile: se tutti decidessimo di vivere come G. torneremmo all'età della pietra (e non penso che se la passassero tanto bene).
G. ha cambiato stile di vita, ed è più felice. Quanto impatteranno questi cambiamenti sulle altre persone? Siamo sinceri, pressoché zero. Se G. ed i suoi compagni non scenderanno a maggiori compromessi con il sistema, per esempio combatterlo alle prossime elezioni democratiche con un nuovo partito, non cambieranno il sistema ma soltanto loro stessi
Grazie. Ho aperto la posta con la certezza dell’ennesimo (necessario, imprescindibile, sia chiaro, non è una critica) Trump, e invece… Mi associo all’applauso. 😅
Articolo pieno di spunti che spaziano su argomenti e relative riflessioni che ogni nuova generazione ripropone, magari con un po’ di vernice fresca: Il desiderio di cambiare il sistema, l’anticapitalismo, mettere in discussione i valori correnti.
Mai sentito parlare del ‘68?Degli altri movimenti( specie di origine americana) successivi?
Credo che ognuno di noi,da giovane,si è sempre sentito “contro” o almeno col desiderio di cambiare l’etablishement in cui è cresciuto. La salsa è sempre quella.
Ma io,che giovane non sono più, mi chiedo: ognuno e’ ( anzi deve) essere libero di fare le scelte di vita che crede per lui più confacenti, e questo nelle società capitalistiche lo può fare.Nessuno lo obbliga a comprare su Amazon, cambiare vestito ad ogni volger di moda, andare a prendere l’aperitivo al caffè in piazza,a usare lo smartphone: sono scelte sue.
Ma quando si pretende che tutti debbano condividere queste scelte, allora c’è qualcosa di incongruente e a mio avviso di ipocritamente sbagliato.
Sono molte le persone che vivono come la sua amica G. ( ma perché questo incognito?) ma non hanno bisogno di fare piazzate o blocchi stradali per poterlo fare.
Il Suo articolo e’ scritto veramente molto bene,tanto da farmi bonariamente sospettare che sia stato redatto per entrare a pieno titolo proprio in quel mondo tanto stigmatizzato,utilizzando tra l’altro come veicolo Substack,non certo un campione di anticapitalismo.
Con cosa sostituiamo il capitalismo ?
Mi vengono in mente diverse cose... Così, si fa per dire, se esiste una strada verso lo sviluppo sostenibile e la pace dei popoli di sicuro verifichiamo, dati alla mano, che il capitalismo non è quella strada. Anzi ne è l'antitesi, è il problema. Il bello è che lo sappiamo, ma ci hanno cresciuti a coca cola e fin che la barca va. Questi sono fatti dell'oggi.
Articolo ricco di spunti di riflessione. La scelta personale di una vita sobria è sicuramente apprezzabile. Come opinione personale resto però convinto che una opzione ambientalista politicamente convincente per la maggioranza dei cittadini non possa basarsi sulla "frugalità" ma sullo sviluppo sostenibile che privilegi le soluzioni tecnicamente meno inquinanti. Laddove invece la sobrietà si unisce ad una critica assoluta del capitalismo (i motori dell'economia sono il capitale ed il lavoro: inorridire perchè il capitale punti al profitto è come inorridire di fronte al fatto che il lavoratore ambisca ad avere un reddito e non faccia volontariato: questo si è un punto di vista da privilegiati che possono vivere di rendita) la protesta rischia di finire in un vicolo cieco.
Come spesso capita, quando il tema è il capitalismo, non ci sono mai le mezze misure e finiamo vittime della solita polarizzazione alla quale sembra proprio impossibile sottrarsi.
Da un lato il turbo capitalismo del fast fashion, dall’altra gli autarchici che si cuciono i vestiti da soli.
Da giovane anch’io sono stato un angry young man e a quei tempi mi sembrava normale voler tutto subito, ma gli idealisti che hanno sperato in scenari radicalmente diversi, alla fine ne sono rimasti molto delusi (vedi, per citarne due, Alex Langer e Mark Fisher).
Ora con il pragmatismo dei miei 50 anni suonati, posso dire che l’attivismo serio, non si può ridurre ad un flash mob. Non si può sperare che bloccando il traffico una tantum, nel giro di una settimana si possa svuotare la tangenziale. L’insegnamento non funziona con l’imposizione, ma con l’esempio. Soprattutto se si è costretti ad imporre una rinuncia ad un comfort.
Se pensiamo di cambiare da un giorno all’altro l’intero sistema economico non siamo degli utopisti, siamo degli stupidi che non hanno ancora capito come vanno le cose (e qui parlo anche al me stesso giovane).
In Italia è forte l’associazionismo (questo sì, merito della sinistra, quando ancora si degnava di rapportarsi con il territorio) e negli ultimi anni sono nate molte realtà che, appunto, sotto il legittimo statuto di associazione, lavorano come piccole comunità, promuovendo una cultura alternativa.
Il loro cammino non solo è lungo e faticoso, ma mette anche in conto un passaggio di transizione ad una sorta di capitalismo etico (?), non certo la sua abolizione.
L’attivismo pragmatico, però, se riesce ad aggregare le forze, è l’unico che può pensare di rendere meno utopica una piccola conquista.
Del resto, il percorso è sempre lo stesso. Per arrivare nella stanza dei bottoni, questa è la gavetta. Da sinistra, come da destra. E ogni forma di disobbedienza civile, non farà altro che attivare gli anticorpi del sistema che stigmatizzerà il fatto etichettandolo come “terroristico”.
Infine pensando a G., la immagino schifata dall’idea di dover continuare a sottostare al rapporto mercenario dell’acquisto, ma ammetterete che non è la stessa cosa dare soldi a McDonald o darli ad una trattoria “Slow Food” (dove qui l’etichetta mi serve solo per alludere ai valori che sottende, non al mercato degli “stellati” che è tutta un’altra storia e che aprirebbe un’altra grossa parentesi).
Si è una bella confessione. Sopratutto in favore di maggior socialità contro l'individualismo sfrenato del sistema, che sembra produrre i peggiori narcisismi dei peggiori uomini bianchi ! forse un record rispetto al passato.
Articolo molto "denso" e sincero. Sarebbe fin troppo facile obiettare sulla utilità di queste posizioni "radicali" ma non si può negare che nel sistema capitalistico ci siano delle storture talmente grandi ed evidenti che chiamano alla ribellione. Ed è del tutto naturale che i giovani vogliano cambiare il mondo. Il problema, in particolare, dell'Italia è purtroppo il contrario: gran parte dei giovani sono rassegnati a come funziona il sistema, ad esempio scuola e università, e non si fanno parte attiva per reclamare un cambiamento radicale. Anche perché, e anche questo va detto, il sistema li blandisce e gli rende la vita comoda (prendiamo ancora ad esempio l'università, ormai diventata una prosecuzione della scuola superiore).
In generale vedo pochissima disponibilità a fare anche minime rinunce personali a favore dell'ambiente. Chi rinuncia (tra coloro che se lo possono permettere) al weekend al mare (con l'auto a gasolio) o alle vacanze dall'altra parte del mondo? Vedo piuttosto molti che nemmeno si prendono la briga di spegnere la luce uscendo dal bagno dell'ufficio!
Devo confessare che non vedo una soluzione praticabile: se tutti decidessimo di vivere come G. torneremmo all'età della pietra (e non penso che se la passassero tanto bene).
G. ha cambiato stile di vita, ed è più felice. Quanto impatteranno questi cambiamenti sulle altre persone? Siamo sinceri, pressoché zero. Se G. ed i suoi compagni non scenderanno a maggiori compromessi con il sistema, per esempio combatterlo alle prossime elezioni democratiche con un nuovo partito, non cambieranno il sistema ma soltanto loro stessi
Grazie. Ho aperto la posta con la certezza dell’ennesimo (necessario, imprescindibile, sia chiaro, non è una critica) Trump, e invece… Mi associo all’applauso. 😅
👏👏👏