L’amore è libertà
INTERVISTA - Roberto Saviano spiega come e perché ha scelto di entrare nella testa e nella storia di una giovane donna uccisa dalla ‘ndrangheta per aver amato
La dinamica di amore e controllo c’è, perché volevo descrivere esattamente la “sintassi” dell’amore che si apprende in un’educazione sentimentale meridionale. Francesco rappresenta un tentativo costante di controllo, che però Rossella riesce a disinnescare: è nel suo agire, più che nel pensiero, che emerge come la libertà sia realmente emancipatoria
Roberto Saviano
Vengo da Afragola, provincia di Napoli Nord finita a maggio sulle prime pagine dei quotidiani per il femminicidio di Martina Carbonaro, quattordicenne uccisa dal suo ex fidanzato.
Sui social, questo femminicidio è stato spesso associato a una presunta arretratezza culturale del Sud, e raccontato attraverso stereotipi che ritengo offensivi: la violenza di genere è un problema sistemico, che attraversa tutto il Paese e non può essere ridotto a una questione geografica o culturale.
Lo dimostra anche l’ultimo libro di Roberto Saviano, L’amore mio non muore (Einaudi). La protagonista è Rossella Casini: una studentessa universitaria di pedagogia a Firenze, che incontra un ragazzo coetaneo e se ne innamora.
Quel ragazzo si chiama Francesco Frisina. È uno studente fuorisede calabrese trasferitosi in Toscana per studiare economia.
Potrebbe sembrare una storia come tante, ma non lo è.
Durante un viaggio in Calabria, Rossella scopre che la famiglia di Francesco è legata alla ’ndrangheta e si ritrova nel mezzo di una faida, circondata da pistole e morti. Eppure non scappa: cerca di portare il suo compagno fuori da quel mondo, di renderlo un estraneo rispetto alla sua famiglia.
A un certo punto, Rossella scompare nel nulla. Nessuno ha più notizie di lei: né i genitori né gli amici. Solo anni dopo, in tribunale, emerge la verità: è stata uccisa.
Rossella è nata nel 1956. I fatti sono realmente accaduti tra il 1977 - quando lei aveva ventuno anni - e il 1981. Soltanto nel 1994 i genitori di Rossella hanno scoperto la verità sulla sua morte.
Ho scelto di intervistare Roberto Saviano per Appunti anche perché la protagonista del suo ultimo romanzo è una figura femminile complessa. E raccontarla attraverso una voce maschile ci invita a una riflessione profonda sullo sguardo, sulla rappresentazione della soggettività femminile, sul confine tra amore e possessione.
Sono cresciuta leggendo Saviano. Gomorra, il suo primo libro, che è un’inchiesta sulla camorra napoletana, è stato pubblicato nel 2006. Avevo sette anni. Quindi l’ho letto dieci anni dopo, durante l’adolescenza.
Apprezzo il suo lavoro perché negli anni ha raccontato la città in cui vivo senza nascondere le sue ferite, ma anche senza cedere ai soliti luoghi comuni sul Mezzogiorno.
Guardando la copertina di L’amore mio non muore si intuisce già molto del libro. Rossella Casini è lì, in primo piano, ci guarda. È un’immagine che si posiziona prima ancora delle parole. Saviano, può raccontarci la storia di quella foto? Come è stata scelta? E cosa voleva che arrivasse al lettore, ancor prima di leggere la prima riga del libro?
La copertina è già l'inizio del libro, perché quella foto è l'unica che abbiamo di Rossella. Probabilmente ce ne sono altre, ma nessuno è riuscito a trovarle.
La foto è stata scoperta da due giornaliste di Repubblica Firenze, che l’hanno scovata negli archivi dell'Università di Firenze, facoltà di Pedagogia. È la foto del suo libretto universitario.
Lei voleva fare la psicologa, ma all’epoca non c’era questa facoltà: dovevi studiare pedagogia, con un corso in psicologia.
Io ho scritto tutto il libro tenendo davanti la ricostruzione fatta dall'intelligenza artificiale colorata di Rossella e la sua foto in bianco e nero.
Volevo che ci fossero dinanzi a me i due volti. Ho scritto tutto il libro con i suoi occhi addosso.
Ho immaginato mille volte, letteralmente, come è stata scattata quella foto. Lei che arriva di fretta, che deve immatricolarsi, mette le monete dentro queste cabine, le prime cabine che in quegli anni apparivano per farsi la fototessera.
Quindi si tira su gli occhiali, perché ha ancora gli occhiali, ha il collo alto perché lei era stata operata al cuore e aveva una cicatrice dalla base del collo sino all'ombelico. Quel maglione a collo alto copriva il cheloide.
In questo viso, così dolce, ho cercato di cogliere l’intensità, un minimo movimento.
Che tipo di lavoro ha svolto, come voce maschile, per raccontare Rossella Casini restituendole soggettività, senza scadere in stereotipi e cliché?
In realtà credo di essere riuscito a mantenere un equilibrio all’interno del libro: raccontare una voce femminile, da uomo. Perché ho fatto un’inchiesta sull’amore, non su un singolo amore, ma proprio sull’amore attraverso la vita di Rossella e anche quella di Francesco Frisina.
Questo mi ha permesso di non partire con l’approccio creativo del “mettermi nei panni” di una donna, ma di affrontare la storia d’amore come un’indagine.
A quel punto, gli elementi che emergevano dallo scavo e che mi sembravano autentici, li inserivo nella narrazione.
Un metodo che ho usato, e che può sembrare bizzarro, è stato quello della poesia.
Quando non avevo elementi per immaginare cosa stessero provando — perché non c’erano nelle carte giudiziarie, né nelle dichiarazioni degli amici o dei parenti di Rossella — mi sono rivolto ai poeti, come Majakovskij, che è un mio riferimento, o Auden, per cercare di capire come potessi, attraverso la loro intensità, senza mai citarli direttamente, descrivere i tormenti dell’amore, la distanza, l’assenza dell’altro.
Quando Rossella scopre che Francesco Frisina è coinvolto in una situazione criminale e decide di lasciarlo: quella mancanza, quell’assenza diventa insopportabile, e descriverla è stato davvero difficilissimo.
Quando non abbiamo più l’altro come testimone della nostra vita, tutto ciò che viviamo sembra diviso a metà. Raccontare questo, mantenendo autenticità, è una sfida ardua: si rischia sempre di scadere in facili romanticismi.
Ne L’amore mio non muore ci sono scene in cui il confine tra amore e controllo è estremamente sottile. Una in particolare è quella della spiaggia: Rossella si toglie il reggiseno, Francesco si arrabbia, poi si frena, ma quella rabbia trattenuta è presente nella scena. In questo rapporto, secondo lei, c’è più devozione o possessione?
La dinamica di amore e controllo c’è, perché volevo descrivere esattamente la “sintassi” dell’amore che si apprende in un’educazione sentimentale meridionale. Francesco rappresenta un tentativo costante di controllo, che però Rossella riesce a disinnescare: è nel suo agire, più che nel pensiero, che emerge come la libertà sia realmente emancipatoria.
Non si tratta di una convinzione profonda da parte di lui, né di un rispetto consapevole dei confini dell’altro; lui prova rabbia, ma si trova di fronte al fatto che la libertà di Rossella è davvero solo sua, appartiene a lei.
La differenza tra devozione e possessione, come diceva il maestro De Simone, è davvero il cuore di tutto.
In una fase, Francesco mostra una sorta di devozione nei confronti di Rossella, ma poi la tradisce — un tradimento che di fatto la conduce alla fine — mentre lei è completamente presa dall’amore, dalla possessione, cioè dall’impossibilità di scegliere altro.
La devozione è una scelta di cura, è amore anche indipendentemente dalle conseguenze.
Francesco parte da una dinamica di devozione, per poi arrivare addirittura al tradimento, un tradimento di tipo criminale, anche se, come sappiamo, Frisina è stato poi assolto. Ma, al di là degli aspetti giudiziari, ciò che conta è che Rossella è stata abbandonata e tradita dal suo fidanzato: abbandonata al suo destino criminale, non sentimentalmente.
La scena di sesso tra i due protagonisti mi ha lasciato una strana sensazione. Rossella inizialmente dice di no, poi si lascia andare, ma mi è arrivato qualcosa di ambiguo. Voleva portare il lettore in questa zona? Che tipo di reazione cercava, se ne cercava una?
Sì, quella scena, la scena di sesso a cui fai riferimento, va proprio nella direzione che ho appena cercato di descrivere.
C’è una dinamica in cui lui cerca di controllare, di dominare, perché è così che è stato educato. All’inizio Rossella prova fastidio, ma poi riesce a disinnescarla, perché riconosce in lui la possibilità di cambiare.
Volevo raccontare, attraverso di lei, il tentativo continuo di accogliere l’altro e, così facendo, di liberarlo. Allo stesso tempo, però, Rossella è sempre attratta da ciò che è diverso da lei: è questo il suo modo di vivere i corpi, di approcciare la realtà.
Rossella cerca costantemente nuove strade, è inevitabilmente attratta da persone diverse da lei. È proprio questo che la definisce: il desiderio di conoscere l’altro, di scoprire nuovi modi di essere, nuovi modi di approcciare la realtà.
Rossella capisce molto presto che la famiglia di Francesco è legata alla ’ndrangheta. Lo intuisce già durante la prima vacanza in Calabria. Eppure, dopo un primo tentativo di fuga, torna, sceglie di restare: vuole provare a rendere Francesco un estraneo rispetto a quel mondo.
Qual è, secondo lei, il momento in cui Rossella capisce di voler percorrere la strada più rischiosa? Quand’è che capisce, come dice lei, che “nell’amare risiede l’unica possibilità di verità e di senso”?
Ho cercato nella vita di Rossella per molti anni, in fondo per dare una risposta a me stesso.
Spesso considero l’amore un inganno, e la menzogna come il linguaggio naturale delle relazioni. Quindi, quando incontro persone che non vivono l’amore in questo modo, che non sono state ingannate sistematicamente come credo sia successo a me, mi sento spinto a rincorrerle, a seguirne la traccia, quasi a interrogarle, come se potessero svelarmi un segreto.
Rossella si rende conto che il senso della sua vita sta nell’amare, non so neanche se sia nell’amare proprio Frisina, ma semplicemente nell’amare. E quando sente di amare Francesco, per lei non ci sono deroghe: se questa è la ragione della mia vita, se mi pone in un’intensità unica, allora lotterò perché questo amore non si perda, non si disperda.
Non sono mai riuscito a capire se Rossella avesse davvero intuito il pericolo in cui si trovava. Può sembrare strano detto così: il fidanzato collaboratore di giustizia, morti attorno, una faida in corso… Ma, in qualche modo — ed è una posizione che non chiarisco mai del tutto nel romanzo — credo che lei si sia sempre sentita protetta dall’amore, dalla relazione.
Lei agiva in nome dell’amore, non contro i clan, non contro la faida, non contro il potere, ma per proteggere quell’amore. E proteggere l’amore significava, per lei, sottrarlo a quel mondo.
Possiamo dire che Rossella Casini è stata vittima di femminicidio?
In realtà, non saprei rispondere con certezza, perché tecnicamente si tratta proprio di un omicidio di mafia. Forse è la modalità con cui è stato commesso a renderlo tale.
Parlo di modalità perché, nelle organizzazioni criminali, che sono governate da codici precisi, nella maggior parte dei casi non si ricorre alla violenza sessuale. Storicamente, anche quando vengono uccise delle donne, nelle cronache e nelle biografie non trovi la pratica dello stupro, se non in casi davvero rarissimi.
In questo caso, invece, c’è stata quella scelta: violentare più volte e poi fare a pezzi. Questo non ha nulla a che vedere con il codice ‘ndranghetista: qui siamo di fronte all’orrore patriarcale, ed è in questo senso che si può parlare di femminicidio, proprio nell’esecuzione.
Se fosse stato un uomo, probabilmente gli avrebbero sparato alla testa; o, se fosse stata una donna diversa, meno libera — una donna che non portava con sé questa libertà del corpo, questa voglia di commentare, di entrare in connessione con le persone — sarebbe stato diverso.
Lei arriva a Palmi curiosa, ama il territorio: c’è quindi tutto un livore, una rabbia di chi sente il bisogno di schiacciare una persona che ha portato luce.
Legge letteratura femminista? Se sì, quali autrici o libri sente più vicini al suo modo di pensare?
Leggo letteratura femminista, soprattutto riguardo alla libertà sessuale, alla libertà dei corpi. Il mito della bellezza di Naomi Wolf pubblicato in Italia dai miei amici di Tlon è un libro che dovrebbe essere letto da tutti i ragazzini e le ragazzine. Dovrebbe essere letto a quattordici anni, quindici anni, sedici. Poi riletto ancora, e ancora riletto.
Poi, ovviamente, bell hooks. Tutto questo accesso sono riuscito a ottenerlo tramite Michela Murgia, che ha formato il mio sguardo letterario in tal senso.
Io sono di Napoli, vengo da una delle province di Napoli Nord. Da sempre leggo i suoi libri, e spesso sento dire: “Saviano ha jettato ’a munnezza ’ncoppa a Napule” (“Saviano ha gettato fango su Napoli”). Io invece penso che solo chi ama una città si prenda il rischio di raccontarne la verità. Le stesse critiche furono mosse a Anna Maria Ortese dopo Il mare non bagna Napoli. Lei come si sente rispetto a queste accuse? E cosa significa, per lei, continuare a raccontare Napoli dopo tutto questo tempo?
Sono vent’anni che subisco attacchi omertosi. Ormai non ho nemmeno più tanta voglia di ripetere che è esattamente il contrario: mostrare l’ombra di un territorio, metterne in luce le contraddizioni, le ferite, le prove, gli atti, significa compiere un gesto d’amore profondo verso quel territorio. Nascondere invece l’orrore, le ferite, il buio, vuol dire davvero giocare solo col mito, che io detesto, perché non trasforma nulla.
Se qualcosa è cambiato a Scampia, è merito della luce che ha permesso a chi già praticava la trasformazione sul territorio di avere legittimità e forza.
James Baldwin diceva: “Non tutto ciò che si affronta si cambia, ma se qualcosa cambia è perché si è affrontato”.
Se vuoi cambiare qualcosa, devi affrontarla, devi andare a fondo, non puoi restare in superficie, non puoi pensare che basti una parola buona e una di critica, un po’ di luce e un po’ di buio.
Un articolo recente del Corriere del Mezzogiorno mostra come dietro ai movimenti contro Gomorra ci siano sempre gli stessi mondi complottisti, mondi paracamorristi, con pentiti, ex pentiti, ex-ex pentiti che hanno fatto il giro e sono tornati nell’alveo camorristico.
E ora, con questa declinazione TikTok della camorra, questi personaggi sono tutti parte di un piano che, in fondo, è sempre lo stesso: non puoi più dire “la camorra non esiste”, allora si passa a “chi parla di camorra delegittima Napoli”.
È una nuova forma di omertà, che conosco bene e che può arrivare sia dal camorrista che dall’uomo delle istituzioni, persino dal tecnico, dal magistrato che vede nel racconto una perdita di controllo sull’informazione e vuole recuperarlo. Sconfitto un clan, c’è sempre qualcuno che vuole dare la sua interpretazione, poi arriva l’intellettuale, lo sceneggiatore, il regista, che propone una lettura diversa, o magari ignora quel dato.
Questo spesso mette in crisi, perché l’attacco arriva da più parti: c’è una parte marcia e omertosa, una parte diffidente e moralista, una parte miope di fronte al racconto delle ferite, che ragiona secondo il meccanismo, completamente sbagliato, per cui se parlo del male allora sto promuovendo il male.
Ma è esattamente il contrario: se bastasse promuovere il bene per diffondere il bene, il problema sarebbe risolto. In realtà stiamo parlando dei principi stessi dell’arte.
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Roberto Saviano est vraiment un grand écrivain avec une grande sensibilité ! En France, en Suisse, on l'aime beaucoup et on a beaucoup d' estime pour lui! Merci pour cette belle histoire !
Di Saviano ne occorrerebbero molti di più. È questa la realtà. Gente con coraggio e competenza. Gente che non si tira indietro. Un intellettuale che ha a cuore il suo paese nel senso più ampio del termine. Generoso, colto e coraggioso. A me piace.