La politica dell’attimo
La visita di Giorgia Meloni da Donald Trump ci rivela molto su come la premier intende il potere e sull’ultima evoluzione del populismo
Si osserva un generale scivolamento della politica, da confronto di opinioni e di argomentazioni - il che richiede tempo, fatica e presuppone un’apertura mentale capace di cogliere il meglio delle diverse opinioni espresse su una data questione - a decisione istantanea di un individuo
Paola Giacomoni
Giorgia Meloni è volata da Donald Trump nella sua residenza privata a Mar-a-Lago in un incontro durato meno di cinque ore. Avrebbe potuto parlargli in videoconferenza, come si fa oggi in molti casi, anche per evitare delicate questioni diplomatiche, dato che l’amministrazione Biden è ancora in carica e pienamente responsabile di tutte le decisioni fino all’insediamento del nuovo presidente.
Perché non lo ha fatto? Perché crede che la politica di oggi possa fare a meno delle procedure, per puntare a decisioni immediate, non importa se condivise.
Meloni ha optato per un incontro di persona - di cui pare non abbia informato nemmeno al ministro degli Esteri - nel suo stile decisionista, fatto di scelte veloci e di prese di posizione nette. Il New York Times ha parlato persino di pressioni “aggressive” della premier.
L’idea è che per affrontare questioni delicate come il caso di Cecilia Sala, ma anche per proporsi fin da subito come il principale interlocutore europeo in vista del prossimo insediamento di Trump, una discussione in presenza sia necessaria.
La presidente conta sul suo ascendente naturale sulle persone con cui entra in contatto ed è decisa a sfruttarlo fino in fondo. Anche in altri casi questo è stato evidente: Meloni ha moltiplicato gli incontri personali con Ursula von der Leyen, di cui si è assicurata la fiducia nonostante aver votato contro la commissione di Bruxelles, e da cui ha avuto il risultato della importante nomina di Raffaele Fitto in una commissione sostenuta da una maggioranza della quale Fratelli d’Italia non fa parte.
Non solo: scorrendo il suo curriculum si nota che lei, fin da giovanissima, diventa rapidamente la leader di ogni associazione in cui entra, da Azione studentesca agli incarichi parlamentari. Sempre in prima fila, dotata di una naturale inclinazione alla leadership e di una incrollabile fiducia in se stessa e nelle proprie ragioni.
Qualcuno ha parlato di lei come della “nuova Merkel”, altri dicono che andrà anche oltre. Vedremo se con Elon Musk farà la leader anche su Marte.
La simulazione incarnata
Per chi adotta questo stile sono non solo e non tanto gli argomenti a contare: cruciale è il modo in cui sono comunicati: se si punta sul proprio magnetismo personale per ottenere un risultato, allora parlare direttamente con l’interlocutore diventa essenziale.
È chiaro che nell’incontro di persona lo sguardo, le emozioni, la risonanza che un discorso può avere nell'altro arricchiscono la comunicazione e la rendono più efficace.
Quello che nell’incontro personale diventa più palpabile è il grado di coinvolgimento di chi parla, il livello di convincimento sulle questioni proposte, capace di agire direttamente sull’interlocutore e di renderlo partecipe delle proprie convinzioni e delle proprie proposte.
I neuroscienziati di oggi ipotizzano che questo avvenga non in forma mediata, cioè in forma linguistica, quindi passando attraverso l’intelletto, ma in modo immediato, attraverso il meccanismo della “simulazione incarnata”, cioè attraverso quella risposta immediata che proviene dalla risonanza nel nostro corpo delle azioni altrui, ma anche delle emozioni altrui, in base al funzionamento dei neuroni specchio.
Questi si attivano infatti se compio un’azione ma anche se la vedo compiere da qualcuno, ed è “come se” questa si riflettesse in me che pure non la compio. Per estensione questo sembra accadere anche nella comprensione delle emozioni altrui, che possono riflettersi in me in modo immediato, con maggiore o minore intensità se assisto al loro esprimersi e se ho una particolare predisposizione per questa tipologia relazionale. Fondamentale è la presenza dell’altro in persona, con il suo corpo che si muove e fa trasparire sensazioni, sentimenti ed emozioni.
Questo meccanismo, si sostiene con alcune sfumature, sta alla base dell’empatia e della capacità di comprendere la mente dell’altro.
Non so se Giorgia Meloni conosca queste recenti ricerche neuroscientifiche - che certo nulla hanno a che vedere con le sue scelte politiche - ma sembra praticarne gli esiti.
Comprendere ciò che l’altra persona sente ci fornisce importanti indizi per comprendere anche ciò che pensa, ed empatizzare con lei consente quindi di usare i migliori argomenti per convincerla.
Riconoscere il modo di sentire dell’altro e anche il suo modo di ragionare, è il presupposto di ogni buona relazione ed è una grande dote per un politico, e porta con sé un grande potere.
Se si è in grado di decifrare non solo il mondo emotivo, ma anche lo stile di pensiero, le abitudini mentali, le preferenze cognitive e morali di qualcuno, forse si potrà più facilmente convincerlo delle nostre buone ragioni e influenzare le sue decisioni.
C’è chi è maggiormente portato a coltivare relazioni basate su queste capacità e può utilizzarle fino ad di arrivare a imporre la propria personalità, guadagnandosi un potere molto ampio e poco controllabile.
In questo caso è la singola individualità che si espone e diventa strategica: i collaboratori, le loro capacità e le loro competenze vanno in secondo piano. In linea di principio, una sola persona pensa, agisce e decide, sulla base di una maggiore capacità empatica, oltre che di visione strategica, e gli altri eseguono.
È la nuova versione del populismo, che consente di saltare l’importanza degli organi della democrazia e della costruzione del consenso perché il/la leader si riavvicina al popolo automaticamente, direttamente: si sente in grado di fornire personalmente protezione, sicurezza.
Dalle opinioni agli impulsi
Si osserva un generale scivolamento della politica, da confronto di opinioni e di argomentazioni - il che richiede tempo, fatica e presuppone un’apertura mentale capace di cogliere il meglio delle diverse opinioni espresse su una data questione - a decisione istantanea di un individuo: è la politica dell’attimo, che non considera essenziale il confronto di punti di vista, ma decide in base all’idea o all’impulso del momento.
La ricerca internazionale ha giustamente riabilitato le emozioni negli ultimi decenni, sostenendo il loro carattere intelligente: non sono pura irrazionalità, come si è a lungo ritenuto.
Sono cognitivamente rilevanti, sono segnali non ingannevoli per orientarci nel mondo, fanno parte integrante del processo decisionale, sono fattori motivanti cruciali. Sono parte della razionalità umana, se non si intende quest’ultima come puro calcolo costi/benefici.
Nessuno ha però mai sostenuto che le emozioni devono prendere il posto della ragione, che la devono spodestare, per fare spazio alla politica dell’istante, basata su un presunto istinto politico che è per definizione patrimonio solo di alcuni ed esclude coloro che non lo possiedono - essendo questo un “dono” naturale - e si affidano alle argomentazioni.
Facile eludere “per scivolamento” i principi e le regole della democrazia, pur senza intaccarle esplicitamente. Questo è quello che traspare dallo stile che sta prevalendo e non è una buona notizia per nessuno.
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Grazie per aver descritto e analizzato scientificamente i dubbi che mi ero posta dopo aver letto la notizia sul viaggio di Meloni. E' come se data qualsiasi situazione, una persona reagisse d'istinto, senza ragionare , confrontarsi e discuterne, rispettare le regole di convivenza civile per far si che questa reazione abbia una ricaduta corretta e vantaggiosa per il maggior numero di persone possibili. Autoreferenziali, certi di essere sempre dalla parte della ragione, di fare sempre la cosa giusta in barba alle regole, che quando ci sono vanno interpretate a proprio vantaggio. Purtroppo questi comportamenti sono sempre più diffusi e incontrastati nelle diverse istituzioni dello stato, e se ne osservano le conseguenze. Urge trovare antidoti.
infatti di decisionismo, populismo e demagogia ne abbiamo avuto un bell'esempio in passato e dovremmo averne abbastanza, Ma la storia si ripete prima come tragedia poi come farsa