Appunti - di Stefano Feltri

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La lezione di Valencia per l'Italia

La lezione di Valencia per l'Italia

Continuano le proteste contro le istituzioni per la gestione dell'alluvione che ha causato oltre 200 morti. Può succedere anche da noi? E cosa abbiamo imparato?

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Emanuele Intrieri
nov 11, 2024
∙ A pagamento
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La lezione di Valencia per l'Italia
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Durante ogni alluvione i decessi avvengono quasi esclusivamente in due luoghi: in auto e in posti ribassati, come parcheggi sotterranei, sottopassaggi e seminterrati. Mettere in salvo la macchina durante un’alluvione è la cosa peggiore che si possa fare perché un adulto in piedi resiste meglio all’impeto dell’acqua di una macchina

Emanuele Intrieri

Buongiorno a tutte e tutti, 

è stato un weekend intenso, grazie a chi è venuto a Bolzano alla festa Futuradio di Radio3, è stata una bella occasione per connettersi dal vivo con il pubblico della radio, con un po’ di persone di Appunti, per passare del tempo con il team con il quale lavoro - quasi sempre da remoto - ogni giorno. 

Il direttore Andrea Montanari ha avuto un’idea spericolata, celebrare un secolo di meccanica quantistica tra arte, musica, letteratura e soprattutto radio.

Devo dire che sono rimasto molto colpito dal risultato, fenomenale per esempio la conversazione tra Edoardo Camurri ed Enrico Terrinoni, traduttore di James Joyce, sulle connessioni tra la meccanica quantistica e Joyce nell’Ulisse e in Finnegans Wake (dove, ho scoperto dal serissimo e brillantissimo Terrinoni, viene previsto il futuro inclusa la folgorante carriera di Francesco Totti, giuro). Roba così solo a Radio3. 

Detto questo, oggi inizia la COP, il vertice sul clima in Azerbaijan che si aprirà in un’atmosfera piuttosto deprimente, visto che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca dal 2025 fa pensare che non si potrà più contare sul contributo degli Stati Uniti, la prima economia al mondo, nella lotta alla crisi climatica. 

Intanto gli effetti della crisi generano disastri e sconquassi politici. A Valencia continuano le proteste per la gestione dell’alluvione che nei giorni scorsi ha ucciso oltre 200 persone: queste catastrofi diventeranno più frequenti anche se dovessimo riuscire a rallentare il riscaldamento. 

Per questo è utile il pezzo di Emanuele Intrieri, firma di Appunti, che è professore associato di Geologia Applicata presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell'università di Firenze e un esperto di emergenza e protezione civile. 

Il parallelo tra le alluvioni di Valencia e quelle dell’Emilia-Romagna spiegato da una persona competente come Emanuele ci aiuta a capire meglio molte cose. Ed è un utile promemoria sulla posta in gioco di questi negoziati sul clima ma anche nelle scelte nazionali di adattamento alla crisi. 

Buona lettura, 

Stefano

Tra Valencia e l’Emilia-Romagna

 di Emanuele Intrieri

Le immagini delle auto ammucchiate dall’alluvione che ha colpito l’area a sud di Valencia e che ha causato ad oggi 222 morti e 78 dispersi sono ben impresse nella nostra mente e ci portano a chiederci come sia potuto accadere e se una cosa del genere potrebbe succedere anche in Italia. 

Come tutti i fenomeni complessi le cause sono molteplici e così le possibili soluzioni, ma ad alcuni giorni dalla vicenda possiamo provare a fare ordine tra gli eventi e a cercare di delineare un confronto con il nostro Paese.

L’evento

L’eccezionalità delle piogge verificatesi nell’area è comprensibile solo con dei paragoni. Come ricordiamo, in Emilia-Romagna ci sono state due alluvioni ravvicinate nel maggio del 2023 che sommate hanno fatto registrare 450 mm di pioggia; questo significa che un barile lasciato aperto dal 2 al 17 maggio si sarebbe riempito per quasi mezzo metro. 

La recente alluvione di ottobre 2024 è stata ancora più intensa, avendo raggiunto un’altezza di pioggia inferiore, 350 mm, ma in sole 48 ore. Ebbene, in alcune località della Spagna il 29 ottobre sono piovuti in appena 3 ore e 20 minuti ben 475 mm, più delle prime due alluvioni dell’Emilia-Romagna sommate.

La cosa è ancora più straordinaria se si pensa che la regione di Valencia è poco piovosa, poco più arida di Siracusa, e che una tale quantità di pioggia normalmente la riceve in un anno. La massima pioggia caduta in un’ora, 179.4 mm, ha segnato un nuovo record assoluto per la Spagna, che ha battuto il precedente di 159 mm, risalente comunque a un anno molto recente, il 2018, segno di una maggiore frequenza di eventi estremi.

Da un punto di vista meteorologico il tutto si è originato da una massa di aria fredda che è rimasta isolata (e che infatti viene detta goccia fredda oppure DANA, acronimo spagnolo per “depressione isolata ad alta quota”) e incapace di muoversi e che, quando ha incontrato aria calda e umida, ha condensato una grande quantità di acqua che è rimasta a lungo sulla stessa area perché intrappolata. 

È lo stesso meccanismo che si è verificato in Emilia-Romagna.

Di per sé quindi un evento così intenso potrebbe verificarsi anche in Italia. Quando si parla di rischi naturali non ci sono dei limiti teorici, dei massimi di intensità oltre i quali siamo certi che la natura non possa spingersi.

No, si parla piuttosto di probabilità: eventi molto intensi sono progressivamente più rari fino a rasentare l’impossibile, ma avendo a disposizione molto tempo anche i fenomeni più rari possono, almeno da qualche parte nel mondo, verificarsi e ritornare anche due volte nello stesso posto a distanza di anni, decenni o secoli. 

Lo spettro del cambiamento climatico

In generale più l’aria è calda maggiore è il vapore acqueo che può contenere. Si calcola che ogni grado di riscaldamento aumenti del 7 per cento la quantità di pioggia. 

Siccome l’aria può contenere più vapore acqueo allora si scarica, cioè piove, più raramente, e quando questo avviene lo fa con maggiore intensità perché è maggiore il contrasto di temperatura con le masse d’aria fredda, come quella della goccia fredda.

È un dato di fatto che gli ultimi 14 mesi sono stati i più caldi consecutivi mai registrati a livello mondiale e in tutto ciò l’Europa è una delle zone in cui il riscaldamento è più accentuato, con un aumento di 2.3 °C in media rispetto a cinque anni fa, complice anche il fenomeno di El Niño che si è verificato quest’anno.

Le concause

La pioggia però è solo metà dell’equazione, quella su cui non abbiamo controllo, se non a lungo termine mediante azioni che alterano il clima; il resto dipende da come è conformato il territorio, da come sono i letti dei fiumi, da dove sono posizionate le città, da come risponde la popolazione e i suoi amministratori.

I bacini colpiti dall’alluvione in Spagna sono in buona parte costituiti da terreni argillosi che, essendo poco permeabili, trattengono poca acqua e piuttosto la fanno defluire rapidamente nei fiumi, che si gonfiano. Un effetto simile ma ancora più forte lo ha chiaramente il cemento che copre spazi sempre più ampi anno dopo anno. Le stesse circostanze sono molto comuni anche in Italia. 

In quanto alla gestione del territorio, la città di Valencia ha goduto di un intervento avvenuto dopo l’alluvione del 1957 che causò 400 morti per l’inondazione del fiume Turia che un tempo attraversava la città e che negli anni ’60-’70 è stato deviato per farlo scorrere più a sud.

L’idea non era solo quella di spostare il problema in un’area che all’epoca era sicuramente meno abitata ma comprendeva anche la costruzione di una cassa di espansione per contenere milioni di metri cubi d’acqua e che non fu mai realizzata da quando, nel periodo del franchismo, i fondi furono dirottati per le spese militari. La forma sinuosa del vecchio corso del Turia che passava per il centro si nota ancora dalle immagini satellitari, ma ora lì sorge un parco.

Immagini satellitari all’infrarosso di satelliti ESA elaborate da USGS a confronto tra prima e dopo l’alluvione.

In Italia la gestione dei corsi d’acqua è un tema noto e gestito da vari enti come le Autorità di bacino distrettuali e i Consorzi di bonifica. In molte aree si stanno costruendo opere per mitigare il rischio, come le casse di espansione, le quali però hanno bisogno di molto spazio a disposizione, spazio solitamente già occupato da case, capannoni, campi, strade ecc., tutte costruzioni che occupano aree che i fiumi si riprendono quando esondano. In ogni caso le aree a rischio sono talmente tante che siamo lontani, come sappiamo, dal completamento delle opere anche solo strettamente necessarie. 

Il sistema di protezione civile

Fermo restando che è impossibile dire con certezza cosa sarebbe successo se lo stesso evento nelle stesse condizioni si fosse verificato in Italia, il caso dell’Emilia-Romagna ha mostrato che, se nelle alluvioni del 2023 ci sono stati 17 morti, quella pure più intensa del 2024 non ne ha causato nessuno e questo probabilmente anche perché l’esperienza maturata ha segnato fortemente i comportamenti di amministratori e cittadini nel fronteggiare l’emergenza. 

Di tutti i fattori citati, da quelli meteo-climatici a quelli geologici, idraulici e urbanistici, il comportamento di cittadini e amministratori è quello su cui possiamo intervenire più facilmente, se non altro perché cittadini lo siamo tutti.

Sulla carta il sistema di protezione civile spagnolo è molto simile a quello italiano. Le allerte meteo vengono diramate in Spagna dall’AEMET, l’agenzia statale di meteorologia, in Italia dal Dipartimento Nazionale della Protezione Civile o dai Centri Funzionali Regionali.

Anche se poteva essere difficile anticipare con precisione piogge tanto forti, la formazione di fenomeni così intensi non passa inosservata, e infatti la mattina del 29 ottobre l’AEMET aveva emanato un’allerta rossa scrivendo in un post su X “il pericolo è estremo. Non avvicinarsi a fiumi o torrenti. Si stanno verificando inondazioni”.

Immagine che contiene testo, mappa, atlante

Descrizione generata automaticamente
Mappa di allerta emanata dall’AEMET la mattina del 29 ottobre.

A questo punto le autorità locali hanno il compito di recepire l’allerta, assicurarsi che arrivi in tempo e in maniera comprensibile ai cittadini e mettere in campo azioni preventive come preparare squadre e mezzi di soccorso, chiudere strade e attività ecc. 

Sia in Italia che in Spagna vige il principio di sussidiarietà: si agisce prima a livello delle amministrazioni comunali che, se non riescono a gestire l’emergenza, si possono rivolgere al livello superiore (le Regioni in Italia e le Comunità autonome in Spagna) e infine alla protezione civile nazionale. 

Rispetto all’Italia, in Spagna le amministrazioni regionali godono di maggiore autonomia e quindi molto dipende dalla sensibilità degli amministratori ai temi di protezione civile e alla loro percezione del rischio. 

A novembre 2023, pochi mesi dopo il suo insediamento, il presidente della Comunità Valenciana Carlos Mazón aveva chiuso l’Unità valenciana di emergenza, che aveva la funzione di fornire una risposta rapida e coordinata in caso di gravi calamità. 

Non sappiamo se quest’unità avrebbe o meno fatto la differenza, ma è comunque una decisione che ci dice qualcosa sul livello di considerazione per le tematiche di protezione civile.

Nel corso della mattinata del 29 ottobre straripano alcuni fiumi e torrenti, come il Poyo e il Magro, che solitamente sono secchi o con modesta portata. 

All’una il presidente della Comunità annuncia che le piogge diminuiranno, ma nel pomeriggio nuovi straripamenti avvengono in altre città e paesi. Il tutto succede mentre le città sono piene di persone che vanno al lavoro, a scuola, al cinema, al ristorante, nei negozi, perché quasi tutto è rimasto aperto. Le chiusure sono poche, come quella dell’Università di Valencia, e legate a decisioni prese in autonomia.

Durante ogni alluvione i decessi avvengono quasi esclusivamente in due luoghi: in auto e in posti ribassati, come parcheggi sotterranei, sottopassaggi e seminterrati. Mettere in salvo la macchina durante un’alluvione è la cosa peggiore che si possa fare perché un adulto in piedi resiste meglio all’impeto dell’acqua di una macchina; quando l’acqua raggiunge l’altezza di metà ruota il mezzo inizia già a essere trascinato via; se sale ancora, l’auto può spegnersi e intrappolare gli occupanti. 

Se si è in strada la cosa da fare è lasciare la macchina e cercare un posto rialzato. Da noi dal 2013 al 2022 si contano ben 120 emergenze per rischio idrogeologico di carattere nazionale, escludendo quindi emergenze regionali e comunali; in media è una al mese.

Questi concetti quindi li abbiamo imparati “con le cattive” e il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile somma l’esperienza accumulata su tutto il Paese e coordina gli amministratori e i numerosi volontari disseminati sul territorio, migliorando e imparando dal passato.

Un esempio di buone pratiche durante un’alluvione proveniente dalla campagna Io non rischio del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile.

È solo intorno alle 20 del 29 ottobre che alla popolazione arriva il messaggio di allerta di ES-alert e che è il corrispondente spagnolo del nostro IT-alert che è stato testato sui nostri cellulari soprattutto da giugno a novembre 2023 ma che non è ancora attivo in Italia per piogge intense.

È quindi uno strumento che da noi non avremmo ancora potuto utilizzare ma che comunque in Spagna non può essere stato efficace, essendo stato impiegato a evento ampiamente in corso.

La vicenda valenciana è quindi in buona parte sovrapponibile con quella nostrana, sebbene l’evento del 29 ottobre sia stato di una intensità maggiore delle recenti alluvioni in Italia. Clima, geologia, opere idrauliche, urbanistica presentano praticamente le medesime criticità in entrambi i Paesi. La differenza a questo punto la può fare il fattore umano, l’esperienza come singoli e come istituzioni, temprata attraverso numerose emergenze e disastri.

La nostra protezione civile è ammirata in tutto il mondo per buoni motivi ma a fare la loro parte nel sistema di protezione civile ci sono anche i giornalisti e i mezzi di informazione e noi tutti come cittadini. 

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Emanuele Intrieri, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze. Membro del Centro di Competenza per il Rischio Idrogeologico del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile.
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