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La lezione di Credit Suisse
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La lezione di Credit Suisse

Un anno fa crollava una delle due grandi banche svizzere, dopo una lunga serie di scandali. Eppure, fino a poco prima del disastro, tutti dicevano che era solida. Una vicenda che ci insegna molto

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Stefano Feltri
mar 17, 2024
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Cosa abbiamo imparato da questa vicenda? Parecchio. La prima cosa è che Credit Suisse rispettava tutti i requisiti regolamentari di solidità patrimoniale anche un attimo prima di fallire, dunque - evidentemente - quei requisiti non sono garanzia di avere banche davvero solide e neanche solvibili

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Credit Suisse è, o meglio era, una banca con una lunga tradizione: nasce nel 1856 quando Alfred Escher si unisce ad altri investitori e fonda il Schweizerische Kreditanstalt, che all’inizio è una investment bank a poi si evolve in banca universale, con una serie di fusioni e acquisizioni a livello globale.

Credit Suisse esce abbastanza bene dalla Grande crisi finanziaria del 2008, a parte una perdita record di 8,2 miliardi proprio in quell’anno, poi si riprende in fretta. 

I critici diranno troppo in fretta, nel senso che a differenza di altre grandi banche riesce a superare la fase più difficile senza fare la necessaria pulizia nei conti e senza rivedere la sua organizzazione. 

La storia recente della banca è costellata di scandali, tipo quello relativo  al supporto a ricchi contribuenti americani per aprire conti offshore dove nascondere i propri redditi in maniera da evadere il fisco. 

L'ex ceo di Credit Suisse alla testa dell'opposizione ivoriana - TVS  tvsvizzera.it

Ma i guai veri iniziano con il mandato di Tidjane Thiam come amministratore delegato, tra 2015 e 2020: celebrato per qualche tempo come primo capo azienda nero in un settore e in un paese molto bianchi, Thiam deve gestire il coinvolgimento della banca in casi di corruzione internazionale come quello partito dal Brasile intorno all’azienda Petrobras, poi anni di perdite, il ritorno all’utile nel 2018 e uno scandalo di spionaggio interno che gli costa il posto. 

Thiam si deve dimettere quando si scopre che aveva assoldato investigatori per spiare alcuni dipendenti. 

Uno scandalo dopo l’altro

Cambia l’amministratore delegato, arriva Thomas Gottstein, ma i problemi restano gli stessi e gli scandali si moltiplicano. 

Dieci miliardi di dollari di clienti della banca restano bloccati dal fallimento dello scandalo di Greensill, una società specializzata nel finanziare l’attività delle imprese, in teoria a basso rischio. Ma Credit Suisse riesce a recuperare solo 7 miliardi dopo il crac di Greensill. 

Dove c’è uno scandalo, c’è Credit Suisse, anche il fallimento del fondo speculativo Archegos Capital finisce per coinvolgere l’istituto svizzero. 

Quando Archegos fallisce nel marzo 2021, Credit Suisse subisce oltre la metà delle perdite totali di 10 miliardi di dollari. 

Nel luglio 2023, quando Credit Suisse è già stata salvata da UBS, arriva pure la multa da 388 milioni di dollari da parte delle autorità inglesi e americane per aver violato le leggi del mercato finanziario e aver maneggiato il rischio in maniera chiaramente imprudente. 

Dopo ogni scandalo, la promessa è la stessa. Credit Suisse farà meno attività di investment banking, ad alto rischio e a debito, e più attività di tranquilla gestione patrimoniale, cioè investimenti poco rischiosi per le famiglie abbienti o i fondi che affidano alla banca i propri risparmi. 

Un nuovo presidente, Antonio Horta Osorio, inizia a segnalare tutti i problemi interni nella governance e promette cambiamento. Ma dopo pochi mesi, a gennaio 2022, si deve dimettere: aveva violato gli obblighi di quarantena da Covid per andare a vedere il tennis a Wimbledon. Lo scoprono i legali interni di Credit Suisse e Osorio si deve dimettere. 

La banca sembra intrappolata in una spirale di scandali, aumenti di capitale, richiami da parte dell’autorità di vigilanza svizzera Finma a cambiare le regole interne di gestione, soprattutto dei rischi, e annunci di riorganizzazioni fino allo scandalo successivo. 

Nel 2022, un anno prima della crisi, la banca pare ancora solida, il capital ratio del gruppo - uno degli indicatori di solidità - scende dal 14,4 al 13,5 per cento ma è comunque alto. Però ci sono una serie di segnali che, col senno di poi, saranno premonitori: il debito di Credit Suisse viene declassato, una emissione di debito convertibile in azioni, noto come AT1, ha un tasso di interesse del 9,75 per cento. Il mercato, cioè, assegna un prezzo da investimento ad alto rischio ai prestiti a quella che dovrebbe essere una grande e solida banca svizzera. 

A ottobre 2022, un anno prima del disastro, un trader scrive su Twitter che forse Credit Suisse è insolvente: dice che ormai nei forum per investitori fanno meme sulla banca, la deridono. Il New York Times pubblica un pezzo dal titolo “Come una storica istituzione è diventata una azione da meme”. 

In tanti iniziano a ritirare i propri soldi dai conti correnti e qualunque banca può passare in un attimo al fallimento se non si ferma l'emorragia. In tre mesi se ne vanno 138 miliardi su 370 miliardi. 

Tutte queste informazioni sono pubbliche, ma nessuno unisce i puntini, difficile credere che Credit Suisse sia davvero sull’orlo del fallimento. 

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