Appunti - di Stefano Feltri

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La guerra senza vincitori
Appunti di Geopolitica

La guerra senza vincitori

Dopo la Seconda guerra mondiale siamo entrati nella fase della “guerra totale”. Ora inizia una nuova epoca, come dimostrano le guerre di Gaza e Ucraina

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Manlio Graziano
gen 20, 2025
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La guerra senza vincitori
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Hamas e Hezbollah si comportano come il cavaliere nero dell’iconica scena di Monty Python e il Sacro Graal che, dopo aver perso le braccia e le gambe, continua saltellando sul solo tronco a minacciare re Artù e a volergli impedire di attraversare il ponte

«La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia». Così Benito Mussolini il 10 giugno 1940. Lasciamo da parte il cinico opportunismo dietro l’entrata in una guerra che sembrava già finita (i tedeschi erano alle porte di Parigi e vi sarebbero entrati quattro giorni dopo), dietro l’idea che sarebbe bastato «un pugno di morti per sedersi al tavolo delle trattative di pace».

Qui, di altro vorremmo parlare: del fatto che, da allora, il costume di invitare gli ambasciatori del Paese nemico al ministero per rimettere nelle loro mani una formale dichiarazione di guerra, magari intorno a una tazza di tè, tra inchini, strette di mano e rassicurazioni di amicizia personale, quel costume, insomma, è finito definitivamente nel dimenticatoio della storia.

Era, forse, l’ultimo residuo di un tempo in cui le guerre rispettavano canoni di cavalleria (come l’invito a «Messieurs les Français» a sparare per primi, lanciato da un ufficiale inglese alla battaglia di Fontenoy, nel 1745), prima di dare inizio alla solita pratica di sbudellamento reciproco che, beninteso, non ha mai avuto niente di cavalleresco.

Dopo la Seconda Guerra mondiale, le guerre si fanno, non si dichiarano. Il 25 giugno 1950, la Corea del Nord lancia la sua «Guerra di liberazione della patria» senza nessun orpello diplomatico.

Gli Stati Uniti manderanno fino a mezzo milione di uomini in Vietnam (per raffronto, ne erano stati impiegati 266.883 in Italia tra il 1943 e il 1945), senza dichiarare guerra a nessuno. Né lo fecero nel 1991 in Iraq, né in Serbia nel 1999, né nel 2003, di nuovo contro l’Iraq.

Anzi, le guerre spariscono addirittura dal vocabolario: diventano «operazioni di polizia internazionale», «operazioni umanitarie di ristabilimento della pace», e, per i più espliciti, «operazioni militari speciali». Il vecchio sogno di abolire la guerra è riuscito solo nel lessico ufficiale.

Insomma, dopo il 1945 le guerre sono entrate in una nuova fase. O perlomeno, hanno adattato le forme a un contenuto già evidente almeno dall’epoca delle guerre napoleoniche e della guerra civile americana: la guerra totale non risparmia nessuno, e soprattutto non fa distinzione tra civili e militari.

A Fontenoy, vi erano due eserciti schierati di fronte l’uno all’altro, e quando i tiri cominciarono (da parte dei francesi, in effetti), solo soldati morirono o furono feriti. Nella Prima Guerra mondiale il rapporto tra vittime civili e militari era già quasi pari (42 per cento), per poi rovesciarsi nella seconda (tra 60 e 67 per cento) e diventare quasi sistematico nei conflitti successivi al 1945.

La mutazione

George W. Bush sulla portaerei Abraham Lincoln il primo maggio 2003

Oggi, però, assistiamo a un'altra mutazione genetica della guerra: non ci sono più vincitori.

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Manlio Graziano
Manlio Graziano, teaches Geopolitics at Sciences Po Paris, at la Sorbonne. He is the founder of the Nicholas Spykman International Center for Geopolitical Analysis. He published several books
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