La geopolitica del clima dopo COP29
L’eredità di vertice in Azerbajian è la delusione dei Paesi più colpiti dalla crisi climatica e la necessità di un’alleanza Europa-Cina visto il disimpegno americano
Un’alleanza tra Europa e Cina può essere vantaggiosa per tutti, coinvolgendo altre economie emergenti, tra cui Brasile, Sudafrica, Turchia, India e Indonesia, nonché i Paesi più vulnerabili
Andrea Ghianda
Andrea Ghianda è direttore della comunicazione di ECCO - il think tank italiano per il clima.
La COP, la Conferenza internazionale sul clima delle Nazioni Unite, è l’appuntamento più importante e atteso dell’anno per capire come, e se, il mondo sta affrontando la crisi climatica.
Nelle due settimane appena trascorse, a Baku, in Azerbaigian è andata in scena una COP, la numero 29, complessa, caratterizzata da contraddizioni, accesi scontri tra le Parti e un risultato che lascia molti con l’amaro in bocca.
Partiamo dalla fine. I quasi duecento Paesi che aderiscono alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sono giunti a un accordo. Esito non scontato, visto il complesso contesto internazionale e le differenti posizioni sul tavolo nelle ore conclusive del negoziato. Gli accordi tra i gruppi negoziali non sono sempre di semplice lettura.
A Baku,dove la negoziazione ruotava intorno alla quantificazione di un nuovo impegno finanziario, le economie più fragili del mondo chiedevano più aiuti per accelerare la transizione e affrontare gli impatti del cambiamento climatico. Il bisogno finanziario economico stimato è nell’ordine delle migliaia di miliardi. 1.300 miliardi di dollari all’anno, per la precisione.
Una cifra messa sul tavolo dai Paesi in via di sviluppo, confermata da esperti ed economisti, e riconosciuta da tutte le Parti nell’Accordo di Baku. L’obiettivo è raggiungere tale cifra entro il 2035, unendo soldi pubblici, privati e risorse provenienti dalle banche multilaterali di sviluppo.
A Baku, i Paesi sviluppati si sono impegnati a mobilizzare almeno 300 miliardi di dollariverso i Paesi in via di sviluppo entro il 2035. Attenzione, mobilizzare, non versare. Ovvero creare le condizioni – investimenti – per il coinvolgimento del settore privato attraverso meccanismi di scala che possano permettere di avvicinarsi al bisogno finanziario stimato.
Trecento miliardi sono pochi, direte voi. Pochi anche per i Paesi più poveri che, nella frenetica giornata di sabato erano pronti a rovesciare il tavolo se qualsiasi cifra proposta fosse stata inferiore a 500 miliardi di dollari all’anno.
Come si è giunti quindi ad un accordo? Il Nuovo obiettivo di finanza climatica (NCQG New Collective Quantified Goal) porta ad aumentare l’impegno dei Paesi sviluppati da 100 ad almeno 300 miliardi di dollari all'anno nei prossimi 10 anni.
A rendere la pillola meno amara è stata l’inclusione di una Road Map Baku-Belem che dovrebbe aiutare e garantire il raggiungimento dell’obiettivo finanziario. Una promessa sulla reale allocazione di tali risorse, attraverso un percorso di monitoraggio delle azioni compiute e una valutazione in itinere.
Il dibattito quest’anno, come nelle COP più recenti, è stato su chi debba o meno essere considerato un contributore e chi, invece, un ricevente degli aiuti di finanza climatica.
Il ruolo della Cina
I Paesi, nella COP, mantengono lo status che avevano al momento della creazione della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, nel 1992. Ed è per questo che, nel negoziato, Paesi come Cina, Singapore, Sud Corea e Paesi del Golfo sono ad oggi ancora considerati come Paesi in via di sviluppo. La realtà del mondo è però cambiata, e questo è evidente anche a questi stessi Paesi.
Infatti, nei primi giorni della COP29, è stata proprio la Cina, attraverso le parole del vicepremier Ding Xuexiang a riconoscere tale evidenza.
Nella sessione plenaria, Ding ha dichiarato che dal 2016 la Cina ha mobilitato volontariamente 24,5 miliardi di dollari per la transizione dei Paesi in via di sviluppo. Per la prima volta la Cina ha fatto chiaro riferimento ai finanziamenti per il clima con un approccio da Paese sviluppato e non con la logica della cooperazione Sud-Sud.
La dichiarazione di Ding riflette la capacità e la volontà della Cina di calcolare i propri contributi finanziari per il clima ai Paesi in via di sviluppo, ponendo i contributi della Cina allo stesso livello – se non superiore – degli sforzi di molti Paesi sviluppati.
C’è però anche chi rema contro l’accelerazione dell’azione climatica, bloccando e ritardando l’uscita dai combustibili fossili.
La presidenza azera – ricordiamo che questa è la terza COP consecutiva in un Paese con enormi interessi nel settore Oil & Gas – non è stata in grado di contenere l’azione di contrasto degli interessi fossili.
In particolare, attraverso l’esclusione di alcuni Paesi dalle consultazioni e permettendo all'Arabia Saudita di modificare – unilateralmente - i testi per eliminare qualsiasi avanzamento sull’uscita dai combustibili fossili. Interessi che non hanno permesso di fare passi avanti rispetto alle decisioni prese alla COP28 sull’abbandono dei combustibili fossili.
Tuttavia, nonostante il malcontento, circa duecento Paesi hanno dimostrato di vedere ancora nel multilateralismo una via per risolvere le crisi globali. Chi decide – o deciderà – di abbandonare questo tavolo, deve farlo con la consapevolezza che sta rinunciando alla possibilità di migliorare il futuro, anche del proprio Paese.
La sicurezza globale e le opportunità economiche dipendono dalla capacità di tutti i Paesi di partecipare alla transizione.
Questo rende la COP un contesto che, per essere efficace, necessita della più ampia partecipazione, sia da parte dei Paesi sia da parte di competenze istituzionali che vanno oltre quelle dei ministri dell’ambiente, coinvolgendo direttamente i ministri delle Finanze e i Capi di Governo.
Verso il Brasile
Ora inizia la strada verso la COP30, in Brasile. Una COP importante e anche simbolica. Sicelebreranno infatti i 10 anni dell'Accordo di Parigi e sarà quindi un momento per fare il bilancio sull’efficacia dell’azione climatica. Nuovi impegni sulla riduzione delle emissioni (NDC – attesi già per febbraio 2025), dovranno essere sufficientemente ambiziosi percontenere le temperature entro 1.5°C.
Ciò dovrà tradursi in chiare politiche di uscita dai combustibili fossili e trasformazione del sistema finanziario internazionale per acceleraretransizione. Questioni che travalicano i confini della Convenzione ONU sul clima e riguardano anche un forte coinvolgimento del settore privato.
Con gli Stati Uniti di Donald Trump volontariamente fuori dai giochi, servirà rinnovare la collaborazione tra Europa e Cina, per cercare una nuova forza trainante dell'azione globale per il clima. Saranno in grado di superare le tensioni legate al commercio e alla sicurezza?
Esistono interessi comuni. Entrambe condividono l'interesse a ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, costruire mercati verdi globali e a creare partenariati per lo sviluppo.
Un’alleanza tra Europa e Cina può essere vantaggiosa per tutti, coinvolgendo altre economie emergenti, tra cui Brasile, Sudafrica, Turchia, India e Indonesia, nonché i Paesi più vulnerabili che hanno fatto sentire la loro voce nelle ultime ore della COP.
Una nuova alleanza che potrebbe guidare il mondo verso maggior sicurezza, benessere e capacità di affrontare la più grande sfida nei nostri tempi: il cambiamento climatico.
.
Da leggere su Appunti
Gli appuntamenti
Giovedì 28 novembre - a Torino
Michael Braun, Stefano Feltri e Francesca Lagioia mettono a confronto, insieme a Polo del '900, il giornalismo in Italia e Germania, analizzando l'attuale stato di un'informazione - social media soprattutto - che sempre più condiziona l'andamento degli eventi politici e non solo. Una particolare attenzione viene data agli aspetti giuridici, etici e tecnologici, dalle intimidazioni ai giornalisti alle responsabilità etico-professionali, dall’intelligenza artificiale alle fake news.
Modera Alberto Sinigaglia Presidente della Fondazione del Polo del '900.
NB: io parteciperò da remoto
Venerdì 29 novembre - online
Il destino incerto del Green Deals in un’età di dubbi, in Europa e negli Stati Uniti dopo l’elezione di Donald Trump
Venerdì 29 novembre 12.30-13.30, online
Per registrarsi e partecipare c’è questo link.
Un evento digitale per discutere che fine faranno le politiche climatiche e ambientali dell’Unione europea in una fase così complicata.
Ne discuteranno:
Sylvie Goulard, vice presidente dell’Institute for European Policymaking della Bocconi e docente alla SDA Bocconi. E’ stata vice-governatrice della Banca d’Italia, europarlamentare, ministra della Difesa francese, consigliera della Commissione europea di Romano Prodi.
Pascal Durand, europarlamentare Verde per dieci anni, si è occupato di politiche ambientali e responsabilità sociale di impresa.
Lo spunto è un Policy Brief da poco pubblicato dallo IEP: Green Deal in a Time of Green Bashing - Assessing the Implementation of the Commission’s European Green Deal – Achievements, Setbacks, and Future Prospects di Aure Keraton e Sylvie Goulard.
A moderare ci sarò io.
L’evento è in inglese.