La folle economia dei dazi
Trump non ha capito come funziona il commercio internazionale e rischia di spingere l’America in recessione. Ma non è il solo a volere più protezionismo
Non c’è alcuna logica nella sua strategia commerciale, ma c’è una qualche coerenza. Nella storia americana le fasi di apertura e chiusura commerciale non sono mai state determinate dal colore politico dell’amministrazione, quanto dal momento storico e dal contesto
E così è arrivato il tanto atteso “liberation day”, il giorno nel quale l’economia Americana - secondo il presidente Repubblicano Donald Trump inizierà il suo percorso verso le terre incerte del protezionismo.
Non è chiaro di cosa si liberi, forse della razionalità economica. Trump ha annunciato una tariffa per tutti del 10 per cento, per l’Ue sarà del 20 per cento e per la Cina del 34 per cento. Ci vorrà qualche giorno per capire i dettagli e andare oltre l’eloquio confuso e impreciso del presidente, bisognerà vedere gli ordini esecutivi, intanto le Borse crollano, comprensibilmente.
Nell’attesa di capire meglio l’impatto, vediamo di spiegare come funzionano i dazi e che obiettivi e che conseguenze possono avere.
Intanto, i dazi sono una tassa che mette il Paese importatore sulle merci che entrano. Nel caso degli Stati Uniti, a pagare sono le aziende di altri Paesi che vogliono vendere le loro merci ai consumatori americani.
L’impresa ha due opzioni: o assorbe per intero il dazio, quindi riduce il proprio ricavo marginale su ogni prodotto venduto, o lo trasferisce sul consumatore americano con un aumento di prezzo.
In un mercato in concorrenza, in realtà, soltanto la seconda strada è percorribile. Se l’impresa che esporta alza i prezzi, ci saranno due conseguenze: si ridurrà la domanda per i suoi prodotti e - questo meno ovvio - saliranno i prezzi anche dei beni concorrenti prodotti in America.
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