La fine del traffico
Il disastro dei giornali è iniziato quando hanno cercato di inseguire i clic e la pubblicità online invece che i lettori paganti. Questo nuovo modello di business ha distrutto il settore dei media
Nell’età del traffico il giornalismo è stato soltanto un supporto pubblicitario, alla pari di qualunque altro contenuto, e la misura dell’impatto rilevante è soltanto il numero di contatti, di pagine viste, di clic. Ma tutto questo sta finendo
Buongiorno a tutte e tutti,
Appunti è un progetto che vive di contenuti ma è anche una riflessione collettiva sempre aperta e mai definitiva su come sta cambiando l’informazione e quel mondo dei giornali nel quale io ho passato quasi tutta la mia vita professionale.
Come da tradizione, a Ferragosto le redazioni dei giornali cartacei non lavorano, dunque oggi i quotidiani non sono in edicola. E’ uno dei tanti anacronismi di questo nostro mondo in disfacimento, perché mai come a Ferragosto la gente ha tempo di leggere e perché mentre la carta si ferma, il web continua a raccontare quello che succede. Notizie che anche i giornali di domani dovranno riportare, ormai vecchie di quasi due giorni.
Il 16 agosto, insomma, è da un paio di decenni uno di quei giorni nei quali possiamo vedere come sarebbe l’informazione (italiana) se ci fosse soltanto il digitale senza la carta, le rassegne stampa, i talk show che ne derivano e tutto il resto.
Mi pare quindi il giorno giusto per condividere alcuni appunti che ho preso in questi mesi sul tema, per cercare di rispondere a una domanda che credo sia condivisa da molti: ma perché l’informazione sul web, soprattutto quella dei grandi giornali ma non soltanto, è così pessima? Perfino peggiore di quella su carta?
Dovrei premettere a questo punto che Substack con il suo sistema di newsletter si candida a essere l’antidoto a quello che abbiamo conosciuto fin qui, ma ci tornerò in un post dedicato a breve, quando tornerò operativo a tempo pieno dopo la pausa vacanziera.
La scelta dei giornali di inseguire il traffico, i clic e la pubblicità digitale ha distrutto l’informazione.
Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un contenuto che considero in un po’ la sintesi di questa storia triste e forse il suo punto più basso.
Sul sito di Repubblica, al termine di un articolo di cronaca, c’era la pubblicità di una vera truffa finanziaria. Non si trattava di una pubblicità programmatic semplice, cioè di una di quelle che possono finire in un banner quasi per caso, se il gestore del sito non ha impostato qualche filtro.
No, era una truffa scelta con cura da una società alla quale il gruppo GEDI che edita Repubblica si affida per i suoi ricavi digitali, Outbrain.
Outbrain sostiene di utilizzare analisi dei dati e intelligenza artificiale per ottimizzare i ricavi del sito partner: in pratica tu vuoi leggere un articolo di cronaca e di politica ma poi alla fine di trovi una serie di consigli per siti spazzatura, o puramente pubblicitari, mischiati a contenuti giornalistici della testata.
Ora, questo modello non sembra fenomenale neppure per la stessa Outbrain che dichiara - nel secondo trimestre 2024 - 214 milioni di euro di ricavi ma ne spende 158 per acquisire il traffico che serve a genere quei ricavi. Ma questi sono problemi loro.
La cosa che ho trovato incredibile è trovare una pubblicità di una truffa - e già è grave - che usa come trappola per polli i loghi della prima banca italiana, Intesa Sanpaolo, e la faccia del suo amministratore delegato Carlo Messina.
Ho chiesto a Intesa Sanpaolo se ne sapeva qualcosa: conoscevano la truffa che girava online, non pensavano che fosse un sito della credibilità e dell’impatto di Repubblica.it a promuoverla.
Allora ho scritto a Outbrain per capire come mai raccomandasse una truffa, in violazione delle sue stesse regole etiche: un paio di mail interlocutorie, mi hanno rimandato a una dirigente che non voleva capire meglio i miei dubbi.
Non hanno mai più risposto, ma almeno la truffa è sparita dal sito di Repubblica.
Intesa Sanpaolo, vale la pena ricordarlo, è uno dei principali inserzionisti dei giornali italiani, sponsorizza festival culturali e mostre d’arte: insomma, non è una buona idea per un gruppo media farli arrabbiare e mettere a rischio il rapporto con loro.
Come siamo finiti così in basso nel rapporto tra giornalismo e traffico? E come si è compromesso il rapporto tra ricerca di inserzionisti e ricerca di clienti paganti per il prodotto, cioè lettrici e lettori?
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