La doppia prova dell'Occidente
Gli Stati Uniti non sembrano in grado di controllare neppure Netanyahu, che si prepara a invadere Gaza. L'Ue è assente dal Medio Oriente e sta perdendo il controllo della questione Ucraina
(Una foto postata da Benjamin Netanyahu con i soldati israeliani)
Buongiorno a tutte e tutti,
oggi vi scrivo da Albino (Bergamo) dove mi trovo per una due giorni di discussioni sul tema “La guerra è tornata”, organizzata da Settimana News, un sito che non mi stancherò mai di raccomandare per la profondità di analisi e originalità dei punti di vista.
Qui ci sono relatori molto più esperti di me delle grandi questioni di geopolitica - il direttore, padre Lorenzo Prezzi, Francesco Sisci, Riccardo Cristiano (leggeteli) - e il confronto con loro mi ha dato nuove prospettive su quello che sta accadendo.
Visto che oggi tocca a me parlare della guerra vista da Europa e Stati Uniti, ho preparato alcuni appunti che, come il nome suggerisce, ora condivido qui con lettrici e lettori di Appunti.
Buon sabato,
Stefano
Le due guerre - Gaza e Ucraina - si stanno intrecciando in modo sempre più stretto e hanno la stessa posta in gioco, sul piano geopolitico: tra le macerie, oltre ai civili morti, rimarrà la leadership dell’Occidente.
Resta da capire se Unione europea e Stati Uniti saranno schiacciati da quelle macerie oppure, per quanto impolverati e ammaccati, si troveranno tra i pochi ancora in piedi.
In Medio Oriente gli Stati Uniti provano a riprendere il controllo di una regione dalla quale avevano scelto di distaccarsi. Al punto che neanche i terroristi di Hamas si aspettavano un intervento così deciso di Washington.
Lo ha detto un leader di Hamas al Financial Times, un certo Ali Barakeh: “Una risposta di Israele, certo che ce l’aspettavamo. Ma quello che stiamo vedendo ora è l’ingresso diretto degli Stati Uniti nella battaglia, e questo non era previsto”.
L’esercito americano ha anche compiuto raid aerei in Siria per distruggere basi di gruppi filo-iraniani.
C’è già una guerra non certo fredda di deterrenza e posizionamento tra Stati Uniti e Iran. Ma Washington non deve affermare il proprio ruolo soltanto con Teheran, ma anche con il governo israeliano di Benjamin Netanyahu.
I bombardamenti massicci di Gaza di queste ore sembrano preludere a un’invasione di terra che Netanyahu ha prima negato durante la visita di Joe Biden in Israele, e poi annunciato in televisione. E questo mentre Biden era tornato in patria a cercare di convincere il Congresso a votare un pacchetto di aiuti militari che include 14 miliardi proprio per Israele (i Repubblicani propongono di votare separatamente gli aiuti a Israele, per i quali c’è più consenso che per quelli all’Ucraina, ormai avversari dalla destra isolazionista del partito).
La carriera politica di Netanyahu è finita con l’attacco del 7 ottobre, che ha sancito il fallimento della sua strategia di gestione dei palestinesi: tollerare Hamas a Gaza per indebolire l’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania in modo da assecondare le espansioni delle colonie illegali di ebrei ortodossi, elettori dei partiti estremisti necessari a formare la coalizione di governo.
Soltanto un disastro nella regione, una escalation che vede tutti coinvolti - inclusi Stati Uniti e Iran - renderebbe il destino di Netanyahu un argomento secondario. E, forse, il primo ministro potrebbe resistere al potere e fuori dal carcere, dove rischia di finire appena lasciato il governo.
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