La diplomazia turca dei droni
L’acquisizione di Piaggio Aerospace da parte dell’azienda vicina a Erdogan Baykar è un tassello della nuova strategia di Ankara, tra Nato, Medio Oriente e Africa
Il fatto che Baykar sia un’azienda privata permette alla Turchia di mantenere una certa ambiguità sulle sue azioni: di cooperazione in alcuni campi o con alcuni Paesi (quando le conviene), o di disconoscerne le azioni quando esse sono oggetto di critiche o scetticismo
Francesco Stuffer
A fine dicembre l’azienda turca Baykar ha ufficializzato l’acquisto di Piaggio Aerospace. Nota per i suoi droni Bayraktar Tb2, protagonisti nella guerra in Ucraina e nel conflitto per il Nagorno-Karabakh, la Baykar è un'azienda strategica per Ankara e importante mezzo per espandere la propria influenza all’estero.
Sebbene il gruppo sia privato, la sua leadership è fortemente connessa con il mondo politico – è noto che uno dei suoi vertici, Selcuk Bayraktar, è il genero del presidente Recep Tayyip Erdogan – e le sue azioni rispecchiano una precisa e concertata strategia di proiezione della potenza turca.
L’espansione italiana della Baykar avviene in un momento particolarmente felice per la proiezione estera della Turchia. La liquefazione del regime di Bashar al-Assad in Siria a inizio dicembre è stata sicuramente l’atto più clamoroso in questo senso.
Tuttavia, oltre all’iniziativa delle milizie amiche condotte da Al-Jolani che hanno rovesciato un regime alleato dell’Iran, rivale regionale della Turchia, Ankara ha ottenuto anche successi più discreti e più lontani da casa, dove spesso la diplomazia ufficiale si è mossa in parallelo con le azioni di Baykar.
Nel corso degli ultimi due anni, la Turchia ha fatto da mediatrice tra Tagikistan e Kirghizistan sull’annosa questione della frontiera tra i due paesi dell’Asia centrale.
Sebbene l’accordo raggiunto a inizio dicembre tra Dushanbe e Bishkek sulla loro frontiera sia stato negoziato bilateralmente, la diplomazia turca è stata coinvolta nella gestazione dell’intesa almeno fino alla scorsa primavera, quando, secondo gli annunci del ministro degli Esteri Hakan Fidan, si ipotizzava la conclusione di un accordo in tal senso sotto gli auspici di Ankara.
I due Stati dell’Asia centrale erano coinvolti fin dalla loro indipendenza in una disputa di confine che periodicamente riesplodeva in aperta ostilità (l’ultima sanguinosa escalation risale al 2022, durante la quale furono coinvolti anche i Bayraktar Tb2 da poco acquistati dall’aviazione kirghiza).
Bishkek e Dushanbe si erano più volte appellate alla Federazione russa in cerca di mediazione, però Mosca non si è mai mossa per risolvere la questione.
Il segretario del Consiglio di Sicurezza kirghizo Marat Imankulov ha esplicitamente affermato che la Russia non si è per nulla impegnata per facilitare il negoziato, non concedendo neppure l’accesso alle mappe richieste dalle parti per stabilire dove corresse la loro frontiera, detenute da Mosca in quanto Stato successore dell’Unione Sovietica.
Sebbene alla fine l’intesa abbia assunto una forma bilaterale, i buoni uffici della Turchia hanno contribuito ad avvicinare le parti, con Ankara che nell’ultimo biennio si è spesa molto più di quanto abbia fatto Mosca in trent’anni per risolvere la disputa.
Parallelamente, la Turchia ha approfondito i rapporti con entrambi i paesi – ed anche in questo caso i celebri droni Bayraktar Tb2, il cui gruppo è atterrato anche a Villanova d’Albenga, sono stati protagonisti. Richiesti dalle forze armate di entrambi i contendenti, per ora sono stati venduti solo al Kirghizistan, che tra i due è tradizionalmente più vicino alla Turchia (Bishkek fa anche parte dell’Organizzazione degli Stati Turchi, forum che esprime la visione “pan-turca” di Ankara e che mira a un riavvicinamento degli Stati turanici tra Caucaso, Mar Caspio e Asia Centrale).
Ciò non ha impedito alla Turchia di avvicinarsi anche al Tagikistan: i due Stati hanno infatti stretto un accordo di cooperazione militare nell’aprile del 2024, attraverso il quale Dushanbe otterrà materiale militare turco (ma, per il momento, non i tanto sospirati droni).
L’unico Paese di cultura persiana dell’Asia centrale è e rimane uno dei più stretti alleati di Mosca, ospita una delle più grandi basi dell’esercito russo all’estero, ma non intende più appoggiarsi esclusivamente sulla Russia e sta diversificando le proprie alleanze viste le difficoltà di Mosca – nello spazio post-sovietico, nessuno vuole fare la fine dell’Armenia (abbandonata dai russi in occasione delle offensive azerbaigiane in Nagorno-Karabakh), e anche per questo i tagiki si sono rivolti verso Ankara.
Il recente accordo tra tagiki e kirghizi e l’approfondimento dei rapporti tra questi Paesi e la Turchia non è stata l’unica buona notizia “da lidi remoti” per Ankara.
Le strategie turche in Africa
Ankara si è presentata come onesto sensale anche nelle dispute che hanno investito il corno d’Africa in tempi recenti. I due contendenti portati al tavolo negoziale turco sono in questo caso l’Etiopia e la Somalia.
Le relazioni tra i due stati, storicamente tese, si erano invelenite quando nel gennaio 2024 Addis Abeba aveva promesso di riconoscere il Somaliland, entità separatista del nord della Somalia, in cambio di un accesso marittimo via il porto di Berbera.
Il problema di garantirsi un accesso al mare è vitale per l’Etiopia fin dalla secessione dell’Eritrea ad inizio anni 1990, così come la questione dell’integrità territoriale somala è un grave problema per Mogadiscio dalla caduta di Siad Barre nel 1991, da quando non riesce più ad imporre la sua autorità sulla regione settentrionale del Somaliland.
Il memorandum Etiopia-Somaliland aveva innescato una dinamica preoccupante nella regione: l’Egitto era intervenuto in soccorso della Somalia, promettendo l’invio di materiale bellico e di 10.000 uomini, con i due paesi che hanno anche firmato un accordo di cooperazione militare ad agosto.
Più che al bene dei somali, l’Egitto è interessato ad indebolire Addis Abeba, con cui i rapporti sono pessimi dagli inizi dei lavori per la costruzione, in territorio etiope, di una grande diga sul fiume Nilo.
Anche in questo caso, Ankara è intervenuta nel contenzioso mediando un compromesso tra Etiopia e Somalia, contribuendo a fermare l’escalation regionale facendo sottoscrivere alle parti un accordo che riconosce il bisogno di uno sbocco marittimo per l’Etiopia ma che rispetta l’integrità territoriale della Somalia.
Inoltre, inserendosi nelle dinamiche della regione, la Turchia è presente in due contesti di primaria importanza per l’Egitto, ossia la regione del Corno d’Africa e la Libia (altro teatro in cui i droni della Baykar sono presenti, in dotazione alle truppe di Tripoli).
In entrambi i casi, l’azione turca ha puntato sulla debolezza di altri attori per proporsi come mediatore, più o meno apprezzato, ma sicuramente utile dalle parti. Agendo diplomaticamente così lontano da casa, Ankara ha voluto mandare dei segnali di quella che può essere la sua proiezione internazionale.
Migliorando le proprie posizioni in Asia Centrale e nel Corno d’Africa, la Turchia non solo si mostra attiva in teatri distanti e diversi tra loro, ma dimostra di saper usare vari strumenti, non solo la forza come nel caso siriano o in occasione della conquista azera del Nagorno-Karabakh – e la politica dei droni sviluppata con e attraverso Baykar è una freccia importante al suo arco.
È proprio la questione della varietà degli strumenti utilizzati per estendere la propria influenza che ci riporta all’acquisizione di Piaggio Aerospace da parte di Baykar. La Turchia sta infatti declinando la propria proiezione militare in vari modi, adattandosi a situazioni differenti.
L’incursione italiana è un modo per rinforzare la propria posizione di leader nel campo dell’aeronautica, in particolar modo nel settore dei droni, strumento bellico d’avanguardia (e di moda). Con le questioni della difesa che stanno prendendo un ruolo sempre più preminente sulla scena europea, l’industria bellica turca si posiziona quale fornitore inaggirabile per chi vuole dotarsi di velivoli senza pilota d’avanguardia.
Il fatto che Baykar sia un’azienda privata permette alla Turchia di mantenere una certa ambiguità sulle sue azioni: di cooperazione in alcuni campi o con alcuni Paesi (quando le conviene), o di disconoscerne le azioni quando esse sono oggetto di critiche o scetticismo.
Il caso Piaggio sembra essere del primo tipo, presentato come cooperazione con un Paese NATO, con l’acquisto di un’azienda storica, di cui si dice che marchio e tradizione verranno rispettati, ma che è comunque passata in mano turca.
La popolarità dei Bayraktar si accompagna quindi agli sforzi diplomatici turchi, con Ankara che in questi ultimi anni sta moltiplicando i contratti di fornitura di materiale bellico. Insieme al materiale e ai sempre più noti droni, spesso il Paese riceve anche istruttori militari turchi che contribuiscono alla ristrutturazione delle forze armate locali – il caso azerbaigiano è probabilmente il più lampante in questo senso. Con gli interventi, solo in apparenza “fuori campo” nel Corno d’Africa e in Asia Centrale, la Turchia vuole affermarsi quale paese sempre più importante in teatri senza attori egemonici e quindi contendibili.
Le ambizioni globali
Ci si può legittimamente domandare quale sarà l’estensione dell’influenza turca e se Ankara sia quindi destinata a diventare una grande potenza sullo scacchiere mondiale.
Bisogna innanzitutto rilevare che tutti i “successi” colti dai turchi in questi mesi devono trasformarsi in vittorie di lungo periodo.
In Siria il regime di Assad è caduto ma il Paese, dopo un’estenuante guerra civile, è ancora diviso in almeno tre parti (l’asse Damasco-Aleppo dei “liberatori”, l’est curdo e le roccaforti alawite sulla costa) potenzialmente in conflitto tra loro.
Il Corno d’Africa è tutto fuorché stabile: la mediazione turca ha evitato per ora l’escalation, ma la regione rimane ad alto tasso di instabilità e le rivalità incrociate tra Etiopia, Somalia ed Egitto permangono. In Asia centrale, infine, sebbene stia perdendo terreno, la Russia rimane ancora la potenza di riferimento, e non bisogna dimenticare l’interesse della Cina per la regione, dalla quale dovrebbero transitare le vie della Seta e che costeggiano la problematica e strategica regione dello Xinjiang.
In ultimo, questi Paesi, soprattutto il Tagikistan, possono essere anche influenzati dalle dinamiche mediorientali e afghane – Dushanbe è per cultura più vicino al mondo persiano e condivide un lungo confine con l’Afghanistan.
Guardare alla Turchia per risolvere tutti i mali di queste aree del mondo sarebbe irrealistico, così come per Ankara sarebbe meglio evitare di cullarsi in sogni di egemonia in teatri distanti.
Per ora, la sua strategia di proiezione sta funzionando, permettendole di ritagliandosi un proprio spazio in queste regioni.
Tuttavia, attivare la diplomazia per spegnere conflitti e puntare sull’industria militare per la propria proiezione d’influenza sono tattiche potenzialmente conflittuali, specialmente se sperimentate negli stessi contesti (nel corno d’Africa, ad esempio, sia l’Etiopia che la Somalia sono clienti di Baykar, ben riforniti di droni e armamenti vari turchi).
Rimane da vedere se la Turchia avrà la capacità di sviluppare la propria influenza in altre dimensioni e mantenere le posizioni acquisite in Asia e Africa, sempre che l’instabilità in Medio Oriente e nel Caucaso meridionale, che in parte essa stessa ha contribuito a generare, non finisca per riesplodere ai suoi stessi confini.
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Stefano Feltri, IEP@BU communication advisor, will moderate the conversation.
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Ii saggi di politica internazionale sono sempre molto interessanti soprattutto quando sono godibili anche dai non addetti ai lavori. sarebbe almeno altrettanto interessante allargare l'analisi ai rapporti tra la Turchia e le potenze regionali. In particolare Israele, Arabia e Iran .
Molto interessante. I rapporti "informali" tra Italia e Turchia sono certamente più articolati di come appaiono. Non sono stati i turchi a salvarci (per quanto possibile) il c**o in Libia?