La diplomazia delle terre rare
Come tra Italia e Germania nel 1939, i negoziati sull’accesso alle materie prime strategiche rivelano soprattutto i rapporti di forza tra le potenze
Il “deal” tra Stati Uniti e Ucraina e la lista del molibdeno inviata dall’Italia fascista al Terzo Reich sono quindi esempi di una diplomazia che maschera le sue vere intenzioni dietro accordi su minerali critici la cui utilità o profittabilità sono dubbi
Francesco Stuffer
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Alla fine dell’agosto 1939, l’ambasciatore italiano a Berlino Bernardo Attolico consegnava al ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop una lista di materie prime che l’Italia richiedeva come precondizione per l’entrata in guerra al fianco della Germania.
Nota come “lista del molibdeno”, dal nome di un tipo di metallo chiesto dagli italiani in quantità esagerate, era in realtà un pretesto per segnalare l’indisponibilità dell’Italia ad entrare in guerra in tempi brevi.
I metalli rari sono tornati di attualità in diplomazia anche di recente: la visita del presidente Volodymyr Zelensky a Washington il 28 febbraio doveva formalizzare un accordo tra Ucraina e Stati Uniti sui proventi di questo tipo di risorse ucraine, da usare come ricompensa o risarcimento per l’appoggio statunitense a Kyiv nella guerra.
Anche in questo caso però, le terre rare sono state usate come pretesto dall’amministrazione americana per segnalare a Zelensky e agli europei il nuovo corso che Trump e Vance intendono imporre all’America.
Come nel 1939, materiali strategici dai nomi esotici sono entrati nelle trattative per distogliere l’attenzione dal punto principale delle negoziazioni. Che in questo caso riguarda un rimescolamento delle relazioni tra Stati Uniti, Ucraina, Russia e Paesi europei.
La lista consegnata dall’ambasciatore italiano al governo tedesco non indicava solo l’indisponibilità italiana a partecipare all’impresa bellica, ma soprattutto la sua inaffidabilità.
L’Italia, alleata militare della Germania, con questa comunicazione dichiarava di non essere in grado di provvedere al rifornimento del proprio esercito.
Le quantità enormi richieste alla Germania ne rivelavano il carattere pretestuoso, e ponevano l’Italia in posizione subordinata rispetto alla Germania in termini di rapporti di forza.
La condotta americana nei confronti dell’Ucraina in queste settimane segnala la volontà di Washington di recuperare il rapporto con Mosca, anche a costo di incrinare seriamente quello con gli Stati europei.
La temporanea sospensione degli aiuti militari americani a Kyiv dopo la discussione nello Studio Ovale conferma il carattere secondario delle terre rare ucraine in questa sequenza diplomatica.
Oggi, come tra Italia e Germania nel 1939, più che le materie prime, sono in gioco i rapporti di forza tra le potenze.
Dove sono le terre rare
Per quanto riguarda l’oggetto dell’accordo, ovvero le ricchezze del sottosuolo ucraino, le incognite sono ancora tante.
Di molti giacimenti non si conosce l’estensione esatta dei depositi, e alcune stime si basano su documenti risalenti addirittura all’epoca sovietica.
Distinguendo terre rare e metalli strategici - con il primo termine si indica un insieme di 17 elementi centrali in molti settori industriali d’avanguardia, mentre i metalli vengono definiti “strategici” per il ruolo che rivestono nell’economia dei paesi importatori o esportatori - l’Ucraina possiede riserve di materiali fondamentali per la costruzione di auto elettriche, soprattutto grafite e litio.
Per ora, sul suolo ucraino non esistono miniere di terre rare: lo sfruttamento dei giacimenti non è ancora iniziato.
Inoltre, diversi si trovano nei territori tuttora occupati dall’armata russa, senza contare che sia la Russia che gli Stati Uniti d’America possiedono sul loro territorio grandi quantità degli stessi minerali che si possono trovare anche in Ucraina.
In questo accordo, gli Usa avevano due obiettivi. Il primo era quello di escludere gli europei dallo sfruttamento dei minerali critici ucraini: la domanda per questo tipo di risorse è cresciuta con la transizione energetica, un obiettivo molto più importante a Bruxelles che a Washington.
Il secondo fine era quello di presentarsi all’opinione pubblica americana come capace di aver ottenuto un deal che avrebbe risarcito le spese americane in Ucraina, anche se questo rimarrebbe tutto da verificare, e sarebbe difficile per Donald Trump vedere i primi profitti dalle miniere (ancora da costruire) ucraine, se non per ragioni di fine mandato almeno per motivi anagrafici.
La strategia ucraina
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