La destra di Orbàn è salita sui trattori
A Bruxelles c'è un think tank ungherese, MCC, che offre base ideologica e teorie del complotto alla battaglia contro la transizione ecologica
A Bruxelles il think tank ungherese MCC offre una cornice ideologica a un insieme di rivendicazioni frastagliate: la tesi è che in Europa c’è un piano per ridurre il numero di aziende agricole e favorire l’industria
Le scene sono quelle di una guerriglia, di una sommossa, con i trattori che sfilano per le strade di Bruxelles, le proteste davanti alle sedi delle istituzioni europee, tra fiamme e fumi da rivolta: la protesta degli agricoltori europei a pochi mesi dalle elezioni è soprattutto una prova di forza, è la richiesta di meno regole e più sussidi, ma è anche un fenomeno politico.
E’ il grande test dopo anni di proclami, convegni e slogan sulla transizione ecologica: prevale l’interesse della lobby più organizzata e aggressiva o quello generale?
Come ha osservato in un’analisi per Appunti il professore di geopolitica Manlio Graziano:
“Oggi gli Stati sono in crisi perché nessun politico è più capace di imporre l’interesse superiore del paese sugli interessi particolari. Se poi, gli interessi particolari di una categoria all’interno di un paese particolare dell’Europa si impongono sugli interessi generali europei, allora la crisi è profonda, forse irrimediabile”.
La Commissione europea ha subito vacillato, è pur sempre un anno elettorale, gli agricoltori sono 8,7 milioni e la presidente Ursula von der Leyen cerca la riconferma: con i trattori che riempiono le strade di Francia, Germania, Italia e ora anche Belgio, il 31 gennaio la Commissione ha concesso per l’anno 2024 qualche deroga rispetto all’obbligo per gli agricoltori europei di tenere alcune aree non coltivate.
L’obbligo di tenere una parte del terreno - il 4 per cento - destinata a finalità non produttive - come coltivare alberi - escludeva già i piccoli agricoltori sotto i 10 ettari, ma la Commissione ha deciso di esentare anche quelli più grandi.
Come alternativa al vincolo del 4 per cento improduttivo, sul 7 per cento del terreno disponibile le aziende agricole possono coltivare piante che catturino azoto, come fave o lenticchie, ma senza pesticidi, così da rispettare lo spirito di una agricoltura più sostenibile.
Una concessione poco più che simbolica, ma che arriva assieme a una certa comprensione delle ragioni della protesta: la Commissione osserva infatti che tra le conseguenze della guerra in Ucraina ci sono forti oscillazioni del prezzo sul mercato dei cereali: il valore della produzione cerealicola dell’Ue è sceso da 80,6 miliardi nel 2022 a 58,8 miliardi, con un calo di quasi il 30 per cento. Pochi giorni dopo altre deroghe sulla riduzione dei pesticidi.
L’aumento del peso politico dei trattori e la rivolta contro le norme ambientali previste dalla transizione ecologica europea, però, comincia molto prima della guerra in Ucraina e non riguarda un aspetto contingente.
Quella in corso è una battaglia di principio che contesta l’idea che gli aiuti europei della Politica agricola comune siano legati alla progressiva riduzione dell’impatto ambientale dell’agricoltura anche, se necessario, attraverso una riduzione della produzione.
La regia ungherese di Orbàn
I movimenti di destra sostengono le rivolte dei trattori un po’ ovunque, Italia inclusa, ma a Bruxelles c’è un think tank che inserisce questi episodi all’apparenza tra loro sconnessi in una precisa cornice ideologica, quella della reazione alla “guerra silenziosa contro l’agricoltura” condotta da ambientalisti e burocrati europei.
Questo think tank si chiama MCC, Mathias Corvinus Collegium, il suo sito è in inglese e in magiaro, perché MCC è un ente ungherese, uno strumento delle politiche di influenza europee di Viktor Orbàn per condizionare il dibattito pubblico.
Finanziato con centinaia di milioni di dollari dal governo ungherese, ha come presidente Balázs Orbán, omonimo del presidente di cui è consigliere. Il direttore del think tank a Bruxelles è il battagliero professore Frank Furedi.
MCC offre una cornice ideologica a un insieme di rivendicazioni frastagliate. La tesi è che in Europa c’è un piano attuato fin dagli anni Sessanta per ridurre il numero di aziende agricole, per favorire l’industria al posto dell'agricoltura.
Per molti anni gli agricoltori si sono difesi unendo le forze ottenendo che addirittura un terzo dell'intero bilancio comunitario - oltre 380 miliardi di euro - venisse destinato ai sussidi agricoli.
Ma nell’ultimo periodo e in particolare dal 2019 gli ambientalisti si sono messi in testa di usare la Politica agricola comune come uno degli strumenti per ridurre le emissioni inquinanti, e quindi vogliono legare il rispetto dei sussidi a vincoli sempre più stringenti di sostenibilità.
Il timore, presentato in modo un po’ complottista da MCC ma non completamente infondato, è che presto o tardi l’agricoltura possa trovarsi costretta a sottostare al regime di tassazione delle emissioni noto come ETS e al suo equivalente riservato alle importazioni, il CBAM.
A quel punto gli agricoltori potrebbero aver interesse a non coltivare più la terra e a vendere redditizi permessi a emettere anidride carbonica a chi ne ha bisogno perché inquina più del dovuto.
I contadini diventerebberoi gestori di terreni senza coltivare più nulla, un po’ come è successo in molte zone con l’abbandono delle coltivazioni per fare spazio a pannelli fotovoltaici e pale eoliche. E la cultura contadina che a così caro prezzo gli attuali sussidi preservano sarebbe persa per sempre.
Quello che sta succedendo ora a livello europeo, su agricoltura ed emissioni, è già successo in Olanda nel 2019, quando il governo ha cercato di contenere il problema ambientale e legale delle emissioni di azoto e di ammoniaca, che sono tipiche degli allevamenti intensivi di bovini.
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