La democrazia fragile
Maduro si è insediato in Venezuela nonostante le elezioni truccate, Sogno Georgiano resiste pur avendo truccato il voto, Musk interferisce ovunque. Perché chi imbroglia la fa franca?
Nel suo libro Tecnica di un colpo di Stato del 1931 Curzio Malaparte si preoccupava per Stati troppo deboli per resistere alla minaccia dei movimenti rivoluzionari. Oggi abbiamo democrazie e società civili così deboli che a chi è al potere basta truccare qualche numero alle elezioni per mantenere la presa
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Nel 2024 oltre metà della popolazione mondiale ha votato, in elezioni di un qualche tipo, per scegliere governi o presidenti. Nel 2025 dobbiamo iniziare a gestire le conseguenze di quei voti, soprattutto di quelli irregolari, manipolati, truccati.
Il 10 gennaio si è insediato per il terzo mandato Nicolas Maduro, il presidente del Venezuela, uno di quelli che ha truccato in modo più smaccato le elezioni del 28 di luglio scorso.
E’ utile partire da qui per ragionare sulle fragilità delle nostre democrazie.
Il predecessore di Maduro, Hugo Chavez, ha manipolato la democrazia in tanti modi, ma ha sempre goduto di un vasto consenso popolare in Venezuela, grazie anche a prezzi del petrolio alti che garantivano una relativa prosperità al Paese che esporta greggio nel mondo.
A suo tempo, quindi, Chavez ha introdotto un sistema di voto elettronico praticamente perfetto, celebrato anche dal centro dell’ex presidente americano Jimmy Carter che vigila sulle elezioni.
E’ un sistema impossibile da manipolare: ogni elettore va alla macchina per il voto elettronico, esprime il suo voto, poi riceve una domanda di conferma per verificare che la macchina abbia registrato il voto, così non si pone il problema delle schede annullate perché la preferenza è ambigua.
La macchina stampa poi una ricevuta del voto che l’elettore deposita nell’urna e alla fine un report con i risultati espressi nel singolo apparecchio.
Una serie di osservatori imparziali monitora la situazione al seggio.
Chavez era così sicuro di vincere che ha costruito un sistema implacabile, molto trasparente.
Il problema di Maduro è che non è Chavez e che il prezzo del petrolio è crollato, mentre il Paese è isolato a livello internazionale. E così Maduro ha investito su coltivare il sostegno dei militari, invece che quello degli elettori: se vince le elezioni bene, se le perde ci pensano i militari a garantirgli il potere.
A luglio le opposizioni a sostegno di Gonzalez si sono organizzate, hanno raccolto moltissimi report delle macchine per il voto elettronico, hanno dimostrato che Gonzalez non solo aveva vinto le elezioni, ma le aveva stravinte.
Però il Consiglio elettorale ha certificato invece che le aveva vinte Maduro, fine della storia.
Javier Corrales e Dorothy Kronick, in un bell’articolo su come Maduro ha rubato le elezioni per il Journal of Democracy, scrivono:
“Le elezioni da sole non bastano e non possono rendere un paese democratico. Il caso del Venezuela nel 2024 rappresenta un promemoria particolarmente crudo di questa realtà, poiché i risultati elettorali erano chiarissimi, ma l'esito politico è stato profondamente antidemocratico.
Altri regimi autoritari possono organizzare elezioni discutibili, controverse o probabilmente truccate; Maduro ha tenuto un’elezione indiscutibilmente truccata. Altri candidati dell’opposizione possono protestare affermando che avrebbero vinto se le condizioni fossero state paritarie; il candidato dell’opposizione in Venezuela ha effettivamente vinto.
La tecnologia di conteggio dei voti del governo stesso ha rivelato una maggioranza anti-governativa di due a uno e, così facendo, ha messo in luce il totale disprezzo del governo per la volontà di quella maggioranza”.
Il fatto che Maduro si sia dichiarato vincitore ha spinto molti osservatori superficiali, anche qua in Italia, a negare il problema: c’è un presidente eletto e un altro che ha perso e contesta le elezioni.
L’oppositore poi è sostenuto dagli Stati Uniti, dunque è lui il golpista, e non quello che rimane al potere grazie all’esercito e alla repressione.
La fragilità del voto
L’antiamericanismo e l’ignoranza pregiudicano la lucidità di molte analisi, specie a distanza, ma c’è un problema che va oltre i pregiudizi: il calo della partecipazione alla vita pubblica un po’ ovunque, l’aumento dell’astensione, la crisi dei partiti politici tradizionali tende a schiacciare la nostra idea di democrazia al semplice momento elettorale, a mettere una croce su un simbolo ogni quattro o cinque anni.
E che succede se quel risultato poi viene manipolato da qualcuno che si proclama vincitore senza esserlo, o dopo aver truccato la competizione?
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