La decomposizione dei Cinque stelle
Beppe Grillo chiede di rivotare i quesiti sul suo ruolo e sul destino del Movimento perché vuole l'estinzione della sua creatura, non la sottomissione ai progetti di Giuseppe Conte
Grillo vuole la fine del Movimento Cinque stelle, vuole la sua estinzione, perché lo considera una esperienza che ha raggiunto i suoi obiettivi e non è riformabile
"Anche l'ipocrita ha tre segni di riconoscimento: quando parla, mente; quando promette, manca alla promessa data; quando ci si fida di lui, tradisce". Questa è la citazione del giorno attribuita a Maometto, che Beppe Grillo riporta sul suo sito.
Il fondatore del Movimento Cinque stelle ci ha abituato a parlare per allusioni, ma qui è fin troppo facile cogliere un possibile riferimento a Giuseppe Conte, che del Movimento Cinque stelle è il presidente e - forse - ormai l’unico capo assoluto.
L’assemblea costituente che si è tenuta nel weekend ha deciso l’abolizione del ruolo del garante, cioè di Beppe Grillo. Il 63,24 per cento degli iscritti che ha partecipato al voto online ha raccolto la proposta, formalmente della base, ma certo ispirata da Conte, di licenziare Grillo abolendo la figura di un controllore che impone di fatto la linea al presidente e agli organi di vertice.
Il problema è che il garante ha il potere di chiedere la ripetizione del voto, e Grillo ha scelto questa linea. Ci sarà quindi un secondo voto tra il 5 e l’8 dicembre.
Ora, sappiamo che le elezioni a doppio turno possono diventare imprevedibili, perché è difficile convincere le persone a votare due volte. Se l’affluenza scende, ogni voto espresso pesa molto di più al secondo giro.
E se Grillo e gli ultimi rimasti fedeli alla sua idea di Movimento avevano scoraggiato la partecipazione all’assemblea costituente perché in caso di mancato quorum Conte sarebbe stato sconfitto, al secondo giro avranno invece tutto l’interesse a votare.
Come è accaduto fin dall’inizio della sua storia, ancora una volta il Movimento Cinque stelle si trova impelagato in vicende procedurali praticamente impossibili da decodificare: c’è stata la stagione degli scontrini, per giustificare le spese e motivare i rimborsi dei parlamentari eletti, poi c’è stata la lunga e mai davvero finita fase delle espulsioni e dei ricorsi, poi le battaglie in tribunale sul simbolo. Ogni fase dei Cinque stelle ha alimentato controversie giudiziarie e amministrative.
Questa volta però è diverso. Perché lo scontro tra Grillo e Conte è esistenziale.
Conte sta cercando di trasformare il Movimento di in un partito personale, che ha come unica cifra riconoscibile la sua leadership, mentre tutto il resto è un netto distacco dalla storia fin qui: niente più limite dei due mandati per gli eletti, collocazione politica nel centrosinistra, l’esplicito passaggio da una fase “populista” a una “progressista”, etichetta comunque non troppo vincolante.
E soprattutto un cambio di leadership, dal Movimento di Grillo a quello di Conte, sempre attraverso lo stesso meccanismo di coinvolgimento della base, chiamata a legittimare le strategie decise dall’alto.
Dissidio esistenziale
Grillo e Conte hanno idee diverse su quasi tutti questi punti, ma il dissidio sul quale gli iscritti saranno chiamati a esprimere un voto definitivo è in realtà più strutturale. Grillo vuole la fine del Movimento Cinque stelle, vuole la sua estinzione, perché lo considera una esperienza che ha raggiunto i suoi obiettivi e non è riformabile.
Per Grillo, Conte non sta cercando di cambiare il Movimento, ma si sta appropriando di uno strumento che sopravvive al suo esaurimento per piegarlo ai propri scopi e alla propria ambizione.
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