Ipocrisie bancarie
A parole tutti i leader europei vogliono le grandi banche auspicate dal rapporto Draghi. Ma la vicenda Unicredit dimostra che invece i politici vogliono banche nazionali da controllare
Nell’epoca della influencer politics ribellarsi alla semplificazione autoritaria e anti-democratica favorita dalle piattaforme é il primo e necessario atto di disobbedienza civile
Un paio di mesi fa l’ex premier ed ex presidente della Bce Mario Draghi ha presentato il suo rapporto sul futuro della competitività europea. E tutti ad applaudire, soprattutto i politici: come ha ragione Draghi a invocare una Unione europea più compatta e integrata, per fortuna che c’è Draghi a ricordare l’importanza di costruire grandi campioni aziendali europei capaci di reggere il confronto con quelli americani e la sfida da quelli cinesi; che ottime idee da Draghi e da Enrico Letta, nel suo rapporto sul mercato unico, sull’importanza di sviluppare un mercato dei capitali che trattenga in Europa il risparmio degli europei invece che farlo andare verso i mercati americani.
Ecco, erano parole in libertà, chiacchiere al vento. Perché quando poi si arriva a parlare di cose concrete, i governi europei fanno il contrario di quello che giustamente chiede Draghi e difendono un presunto interesse nazionale a scapito di quello europeo.
In realtà, difendono il proprio potere a danno dell’interesse europeo e anche di quello nazionale, come si vede nelle vicende intorno a Unicredit.
Proprio pochi giorni la presentazione del rapporto Draghi, la banca italo-tedesca Unicredit che è guidata da Andrea Orcel ha annunciato di aver acquisito il 9 per cento nella banca tedesca Commerzbank, un primo passo per una scalata che dovrebbe portare a una fusione capace di creare uno di quei grandi gruppi europei che tutti i sostenitori del rapporto Draghi considerano necessari.
Da quel giorno, il governo italiano è rimasto abbastanza silente, a osservare le mosse di Orcel. Quello tedesco ha cominciato a manifestare la sua insofferenza e poi ostilità all’idea che una banca italiana se ne compri una tedesca, ammesso che questa classificazione abbia un senso, visto che Unicredit è la seconda banca italiana per attivi, ma è anche la settimana banca tedesca grazie alla controllata HypoVereinsbank.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, a fine settembre, ha schierato il governo e ha classificato l’acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit come “ostile”. E la posizione del governo è rilevante perché, come eredità dei salvataggi della crisi finanziaria, lo Stato è ancora azionista con il 12 per cento, mentre Unicredit è salita fino a un potenziale 21 per cento.
Quando a sorpresa adesso è arrivata la notizia che Unicredit ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto, cioè una scalata da 10 miliardi di euro al Banco Bpm, la terza banca italiana, molti sul mercato hanno pensato che fosse un segnale di resa. Cioè che l’amministratore delegato Orcel avesse deciso di perseguire una strada diversa rispetto a una fusione transfrontaliera in Germania, puntando invece su un consolidamento tutto italiano.
Ma non si può mai dare niente per scontato, perché se questa mossa può rassicurare il governo tedesco, fa arrabbiare quello italiano, visto che Unicredit si è mossa secondo logiche di mercato e non politiche.
Ancora nel 2024, nonostante i rapporti Letta e Draghi, la politica si aspetta di poter mettere bocca nel sistema bancario, non soltanto fissando le regole, ma contribuendo a determinare le strategie. E per questo i politici non amano le fusioni transfrontaliere, perché riducono la loro influenza sulle banche, anche se aumentano la redditività per i soci e migliorano i servizi per i clienti.
Il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti interviene in modo esplicito e dice che l’operazione Unicredit-Bpm è stata “comunicata ma non concordata con il governo” e poi minaccia di intervenire, evoca il “golden power”, quell’insieme di norme che consente al governo di bloccare acquisizioni e fusioni se ci sono ragioni di sicurezza nazionale.
Certo, sarebbe davvero bizzarro che una norma per bloccare, quando necessario, acquisizioni straniere venisse usata per fermare la scalata di una banca italiana a un’altra banca italiana.
Ma il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha la risposta pronta a questa obiezione: “Unicredit è tedesca”
Tutto questo avviene a mercati aperti, quindi ogni parola influenza l’andamento dei prezzi, nessuno dei politici coinvolti si preoccupa delle conseguenze delle proprie parole, o se lo fanno non dimostrano scrupoli nel prevenire conseguenze negative sul titolo Unicredit.
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