Il triangolo tra politica, dati e scienze sociali
Su cosa si basano i politici italiani per prendere le loro decisioni? Il think tank Tortuga, che celebra i 10 anni di attività, ha fatto una analisi. Con risultati sorprendenti
Dalla nostra analisi emerge come circa il 40 per cento dei discorsi dei politici italiani in Senato faccia riferimento a dati numerici, mentre solo il 3 per cento sia accompagnato da citazioni a fonti istituzionali.
Think-tank Tortuga
I dati e i risultati della ricerca scientifica sono un ingrediente fondamentale per un dibattito pubblico di qualità e per una politica in grado di rispondere con efficacia alle esigenze dei cittadini. Ma i politici italiani prestano davvero attenzione a queste evidenze?
In anni segnati da mutamenti politici e dal confronto fra “tecnocrati” e “populisti”, il think-tank Tortuga si è chiesto quanto i politici in parlamento facciano effettivamente riferimento ai dati e quanto quindi il nostro dibattito politico sia data-driven.
Dalla nostra analisi emerge come circa il 40 per cento dei discorsi dei politici italiani in Senato faccia riferimento a dati numerici, mentre solo il 3 per cento sia accompagnato da citazioni a fonti istituzionali.
Il tema del rapporto tra politica e scienza non è ovviamente un unicum italiano: molte sono le ricerche in giro per il mondo che cercano di misurare, anche quantitativamente, il ricorso dei politici ai dati e ai risultati scientifici.
La questione non è solamente numerica: da Platone a Weber, i filosofi nel corso della storia più volte sono tornati sul tema del rapporto tra scienza e politica.
L’analisi
Per elaborare i nostri numeri, come think-tank Tortuga abbiamo analizzato i discorsi dei dibattiti in Senato della XVII legislatura (2013-2018; governi Letta, Renzi e Gentiloni) e della XVIII (2018-2022; governi Conte I, Conte II e Draghi).
Abbiamo utilizzato i dati di ParlaMint, un progetto di CLARIN, che ha creato un corpus con i dibattiti parlamentari di vari paesi negli ultimi anni.
Chiaramente non è semplice misurare quanto i politici facciano riferimento ai dati: potrebbero citare nomi di centri di ricerca o istituzioni che forniscono report o linee guida, riportare dati quantitativi, o semplicemente riportare dei fatti senza riferirne la fonte o la loro quantificazione; ancora, i dati citati potrebbero essere citati male o i numeri essere sbagliati.
Vista la complessità del fenomeno, abbiamo scelto per semplicità di concentrarci su due misure: 1) la presenza in un discorso di un riferimento a istituzioni, centri di ricerca o università (ad esempio: FMI, INPS o ISPI,…) 2) la presenza in un discorso di numeri.
Nonostante la limitazione tecniche di questo metodo, crediamo tuttavia sia un modo per provare a rispondere in modo trasparente alla domanda: quanto si usano i dati nel nostro dibattito politico?
I risultati del think-tank Tortuga
Dalla nostra analisi emerge come durante la XVII e la XVIII legislatura circa il 40 per cento dei discorsi in Senato faccia riferimento a numeri, ma solo il 3 per cento dei discorsi totali sia accompagnato da citazioni a fonti istituzionali.
Durante il periodo 2018-2022 si registra un aumento nell’uso dei dati, con un incremento netto in corrispondenza delle elezioni del 2022, dopo le quali si passa dal 36 per cento al 45 per cento di discorsi che contengono dei numeri. Al contrario, le citazioni di fonti istituzionali restano contenute, oscillando tra il 2 per cento e il 3 per cento, con un picco del 3,5 per cento nel 2020, in concomitanza con l’emergenza Covid-19.
Tra il 2013 e il 2022 è il Movimento 5 Stelle il partito che più frequentante ha fatto ricorso all’uso di dati: oltre il 40 per cento dei discorsi dei suoi senatori include numeri e circa il 3 per cento è supportato da fonti istituzionali, con picchi significativi dopo il 2018, quando diventa il primo partito di governo.
PD e Forza Italia mostrano un uso più moderato e stabile, con numeri presenti in circa un terzo degli interventi e fonti istituzionali nel 2 per cento dei casi. La Lega parte da livelli simili durante la XVII legislatura, ma dopo il 2018, con il cambio di legislatura, aumenta sensibilmente il ricorso ai numeri, mentre l’uso di fonti istituzionali resta contenuto (sotto il 2 per cento).
L’uso di dati da parte di forze di governo e opposizione cambia nel tempo: tra il 2013 e il 2018 sono i senatori dell’opposizione (prevalentemente M5S e centrodestra) a ricorrere più frequentemente a numeri e citazioni istituzionali, mentre dopo il 2018 il rapporto si inverte, con un maggiore utilizzo tra le forze di governo.
Questa dinamica riflette in particolare il passaggio dall’opposizione al governo del Movimento 5 Stelle, alfiere dell’”antipolitica”, che si conferma essere il più attivo nell’uso di numeri e fonti, sia all’opposizione che al governo.
Dalla nostra analisi emerge chiaramente come ricoprire incarichi di governo influisca sull’utilizzo di dati: i ministri citano più numeri e istituzioni dei parlamentari senza incarichi ministeriali.
Addirittura, nella XVIII legislatura, quasi 9 interventi su 10 da parte di ministri includono numeri, contro meno della metà tra i non ministri, e le fonti ufficiali sono menzionate tre volte più frequentemente.
Se il Movimento 5 Stelle sembra essere il partito che cita più dati, l’interpretazione del nostro risultato richiede prudenza.
La nostra analisi di tipo quantitativo al momento non cattura differenze “qualitative” sull’uso dei dati e delle fonti istituzionali.
Per esempio, un partito potrebbe citare più numeri semplicemente come artificio retorico (ad esempio per fare degli elenchi).
Sembra però ragionevole assumere che questo tipo di comportamento sia distribuito in maniera sostanzialmente uniforme fra i partiti.
Più problematico è un secondo punto: i dati citati sono giusti? Su questo la nostra analisi allo stato attuale non può rispondere in modo soddisfacente e richiama invece l’importanza del lavoro dei fact-checker nel monitorare un corretto uso dei dati.
Il caso dei sindaci brasiliani
L’Italia non rappresenta certo un unicum: non siamo l’unico paese al mondo dove ci si chiede se effettivamente la politica sia interessata ai dati e ai risultati della ricerca nell’ambito delle scienze sociali.
Su questo tema, per esempio, ha lavorato un team di ricercatori brasiliani (Hjort, Moreira, Rao e Santini) che nel 2021 ha pubblicato una ricerca intitolata “How Research Affects Policy: Experimental Evidence from 2,150 Brazilian Municipalities”.
Il lavoro si apre proprio con queste due domande: “quanto sono interessati e aperti alla ricerca accademica i leader politici? E, nella misura in cui "consumano" la ricerca, possono e agiscono in base ai nuovi risultati?”
Per cercare una risposta, il team ha lavorato con la Confederazione Nazionale dei Comuni Brasiliani per contattare centinaia di sindaci e testare come reagivano a evidenze scientifiche su due politiche pubbliche: i programmi per la prima infanzia e le lettere di promemoria fiscale inviate ai contribuenti per aumentare il rispetto delle tasse.
Nel primo esperimento sociale, ai sindaci è stata offerta la possibilità di acquistare, usando una valuta fittizia, i risultati di studi scientifici relativi agli effetti di programmi per la prima infanzia. Si tratta di un escamotage utilizzato frequentemente nelle scienze sociali: misurando la disponibilità a pagare per un certo bene, si misura il valore che un individuo gli conferisce.
Nel caso dei sindaci brasiliani, molti hanno scelto di “acquistare” gli studi proposti e di poterne quindi visionare i risultati, segno di un chiaro interesse nel loro contenuto. Non solo: una volta ricevuti i dati, molti sindaci hanno le proprie aspettative sull’efficacia di quei programmi, dimostrando apertura mentale rispetto a quanto letto.
È emerso inoltre che attribuiscono maggiore valore agli studi con campioni statistici più numerosi, segno che sanno distinguere tra ricerche più o meno affidabili.
Nel secondo esperimento, agli amministratori è stata presentata una politica semplice ed economica, ovvero inviare lettere di promemoria ai contribuenti per aumentare il rispetto fiscale, insieme alle prove della sua efficacia, dimostrate da diversi studi scientifici nell’ambito delle scienze sociali.
A distanza di un anno e mezzo, nei comuni i cui sindaci avevano ricevuto queste informazioni, l’adozione della misura è cresciuta del 33 per cento. Un risultato concreto, ottenuto ad un costo praticamente nullo, tramite il quale le scienze sociali hanno cambiato in meglio le politiche pubbliche.
L’interpretazione complessiva che i ricercatori danno di questi risultati è che i decisori pubblici sono sensibili alla ricerca, ma spesso non hanno tempo, strumenti o competenze per trovarla e interpretarla. Se qualcuno gliela presenta in modo accessibile, neutrale e pratico, ne fanno invece uso.
Un tuffo nel pensiero di Weber
Quello del rapporto tra scienza e politica non è però solo un problema quantitativo, non si riduce solo ad un esercizio di misurazione. È anche, e soprattutto, una questione filosofica, un dilemma che risale indietro nella storia del pensiero occidentale fino alla repubblica dei filosofi di Platone.
Con queste parole Max Weber riassume all’interno dei suoi scritti metodologici il ruolo delle scienze sociali nella loro relazione con la politica:
“Tutto ciò che una disciplina empirica è in grado di dimostrare con gli strumenti che ha a disposizione riguarda: (1) i mezzi indispensabili, (2) le ripercussioni inevitabili e (3) la conseguente concorrenza tra le molteplici valutazioni possibili, considerate nei loro effetti pratici”.
La tecnica che si mette al servizio della politica, dunque, fornendole indicazioni sui mezzi necessari per raggiungere determinati obiettivi e sulle conseguenze delle scelte prese.
Il tema posto da Weber (e ovviamente da molti altri con lui) è cruciale per il nostro presente schiacciato tra l’incudine del populismo e il martello dell’ipertrofia tecnologica.
Da un lato negli ultimi anni sono cresciuti sempre di più i sentimenti anti-scientifici, coltivati e cavalcati soprattutto da quelle forze politiche che (pur nella loro eterogeneità) solitamente riassumiamo sotto l’ombrello del “populismo”.
Dall’altro lato, invece, ci affacciamo ad un’era in cui la sempre maggiore capacità predittiva e generativa dell’intelligenza artificiale assume su di sé sfere di decisione prima propri del libero arbitrio umanp, e il trend non può che proseguire nei prossimi anni.
Una buona scienza al servizio di una buona politica deve quindi da un lato di evitare tendenze tecnocratiche e deterministiche, che pure in passato hanno esercitato un certo fascino su diverse forze politiche in Italia.
Ricorda Weber:
Non esiste alcuna procedura scientifica, né razionale né empirica, che possa fornirci una decisione in questo ambito. Le scienze sociali, in quanto scienze rigorosamente empiriche, sono le meno indicate per pretendere di sollevare l’individuo dalla difficoltà di scegliere, e non dovrebbero pertanto creare l’illusione di poterlo fare”.
Però è necessario che la politica si appoggi alla scienza:
“Sarebbe superfluo ripetere che è manifestamente possibile, scientificamente utile e necessario stabilire proposizioni del tipo: per raggiungere il fine x (in ambito di politica economica), y è l’unico mezzo; oppure, date le condizioni h₁, h₂ e h₃, y₁, y₂ e y₃ sono gli unici o i più efficaci mezzi”
L’evento per il decennale
Proprio per rendere il dibattito pubblico italiano più basato sui dati e per supportare il lavoro della politica con le evidenze delle scienze sociali, da 10 anni il think-tank Tortuga si fa promotore di analisi rigorose e idee nuove, e si mette al servizio dei decisori pubblici per supportarli nel loro lavoro con report e ricerche.
L’associazione conta oltre 30 soci sparsi tra l'Italia e il resto del mondo e un network di oltre 60 alumni in istituzioni nazionali e internazionali (come Banca d’Italia, OCSE, Federal Reserve, Banca di Francia, Merrill Lynch).
In questi anni Tortuga, una realtà no-profit e indipendente da qualsiasi soggetto terzo, ha pubblicato oltre 400 analisi su vari quotidiani nazionali cartacei e digitali.
Inoltre, ha collaborato con più di 30 esponenti politici di vari partiti sia nel parlamento che al governo e ha prodotto analisi e report per istituzioni pubbliche e associazioni.
Per celebrare i 10 anni dalla sua nascita Tortuga organizza l’evento “La rotta condivisa: 10 anni di Tortuga e la sfida dei think-tank in Italia”, che si terrà sabato 5 aprile alle ore 17 a Palazzo Reale (Milano).
Interverranno tra gli altri Tito Boeri (Università Bocconi), Irene Boni (Edizione), Marco Cappato (EUMANS), Matteo Villa (ISPI), Alessia Chiriatti (IAI), Elena Bonetti (Azione) con la moderazione di Chiara Piotto (SkyTg24).
L’evento, patrocinato dal Comune di Milano e dalla Regione Lombardia, è accessibile gratuitamente fino ad esaurimento posti. Per ulteriori informazioni: qui
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Da questo ottimo e completo articolo capisco che vi e' un gap notevole tra metodo scientifico e-o discussioni orizzontali per consenso su issue importanti (con vasti gruppi o con gruppi di alcuni cittadini scelti a caso) e politica . Al piu si danno i numeri; ma non si citano le fonti.
Il partito 5stelle in un certo periodo sembra essere stato piu corretto; ma non dimentichiamo che per anni questo partito e' stato propenso ad appoggiare i novax, come si legge da questo articolo del NYT: https://www.giornalettismo.com/m5s-no-vax-scetticismo-new-york-times/
E non dimentichiamo che la *scienza* novax si arrampica sugli specchi (citando qui e li' dati e fonti,evidenze tutti deboli) ; ed e' tutt'altro di quanto desidera l'encomiabile gruppo Tortuga, che abbiamo avuto la fortuna di conoscere con questo post
saluti, Francesco Del Zotti
Se il post serviva a pubblicizzare Tortuga, benissimo. Riguardo il valore di questi dati, preferisco soprassedere e passare direttamente alla serata del venerdì. Buon weekend!