Il terremoto che cambia tutto e niente
Il Parlamento europeo non è così diverso da quello precedente e Ursula von der Leyen può sperare nel bis. Ma l'avanzata delle destre e gli sconvolgimenti nazionali avranno impatto anche a Bruxelles
In Italia Giorgia Meloni ed Elly Schlein escono dal voto entrambe più forti, ma è troppo presto per dire che si sono create le condizioni per un’alternativa di governo davvero competitiva
Questa strana elezione europea si può leggere in due modi completamente opposti: cambia tutto per non cambiare nulla; oppure anche se non cambia nulla, cambia tutto.
Il Parlamento europeo che emerge dal voto del 9 giugno dovrebbe portare a una maggioranza analoga a quella dell’ultima legislatura, dunque a un bis di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione.
Ma gli sconvolgimenti all’interno dei singoli Paesi - dall’Italia alla Francia - possono avere forti impatti anche a livello europeo, oltre che domestico.
Il livello europeo
L’avanzata delle destre estreme e il crollo di alcune forze cruciali per la formazione dei gruppi al Parlamento Ue non intacca più di tanto la composizione dell’emiciclo. Il Partito popolare europeo (centrodestra) ha vinto in misura netta le elezioni e questo dovrebbe portare - già nel vertice dei capi di Stato e di governo del 17-18 giugno - a indicare la candidata ufficiale del Ppe per un secondo mandato alla guida della Commissione: Ursula von der Leyen, che ieri sera parlava già da leader riconfermata.
Nonostante il crollo di Emmanuel Macron in Francia che ha portato a un ridimensionamento del gruppo di Renew (liberali), von der Leyen potrebbe essere confermata dalla stessa maggioranza che ha retto la legislatura 2019-2024, cioè Ppe-S&D (il socialisti e democratici) e Renew: insieme valgono 414 seggi, ampiamente sopra la quota richiesta minima, cioè 361.
In questo scenario, per von der Leyen ha senso al massimo cercare un allargamento tattico o strutturale ai Verdi (51 seggi) ma non c’è necessità e non ci sono le condizioni per dover coinvolgere i Conservatori e riformisti di Giorgia Meloni, l’opzione di una maggioranza spostata a destra è molto meno plausibile di quello che si pensava o temeva prima delle elezioni.
Continuità o terremoto?
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