Appunti - di Stefano Feltri

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Il secondo tempo
Il nemico - Elon Musk e il tecnocapitalismo

Il secondo tempo

Abbiamo conosciuto l’Elon Musk di governo, ora c’è quello di opposizione che vuole abbattere Trump nello scontro finale tra populismo e tecnocapitalismo. Con l’analisi di Mattia Diletti

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Stefano Feltri
lug 02, 2025
∙ A pagamento
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Abbiamo visto in modo molto evidente questo conflitto tra i tecnoligarchi e l’ala – chiamiamola così – populista, quella di Bannon, soprattutto subito dopo il primo conflitto tra Musk e Trump. In quell’occasione, i populisti denunciavano gli interessi di Musk e il suo coinvolgimento nell’amministrazione, segnalando un evidente conflitto di interessi

Mattia Diletti

I temi al centro di questo articolo sono sviluppati nel libro Il nemico - Elon Musk e l’assalto del tecnocapitalismo alla democrazia, appena pubblicato per Utet

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Il secondo tempo della partita tra Donald Trump e Elon Musk si annuncia di gran lunga più interessante del primo. Quello che sta succedendo è in fondo molto semplice e proviamo a riassumerlo così: Elon Musk, non contento del tipo di influenza che esercitava sulla Casa Bianca, ha lasciato il suo incarico nel governo, e adesso sta passando all’opposizione.

Trump prima ha provato a mantenere buoni rapporti, ma ora usa l’ultima arma rimasta: il ricatto, la minaccia di togliere finanziamenti e commesse governative alle aziende di Musk se lui non smette di attaccare le politiche dell’amministrazione.

Potere e legittimità

Questa vicenda si può leggere come uno scontro di personalità esagerate, si può commentare come la fine di una bromance, la virile amicizia tra veri uomini, come una questione psicoanalitica di rapporti irrisolti padre-figlio. A me, però, sembra un’altra storia.

Nel rapporto tra Musk e Trump si misura la tensione di potere e legittimità che permea questo momento storico, non è lo scontro tra due persone, ma tra tecnologia e politica, tra l’idea che debbano essere gli ingegneri informatici o i demagoghi a guidare le masse. E se la legittimità del potere esecutivo deriva dall’efficienza o dal consenso.

Nella prima fase di questa seconda amministrazione Trump, tecnologia e politica hanno provato a convivere, e questo non si è rivelato possibile, perché sono destinate a collidere, una delle due deve prevalere.

Nell’immediato, Trump sembrava aver affermato il primato della politica: a fine maggio ha ringraziato Musk, gli ha dato una chiave simbolica della Casa Bianca, e lo ha congedato dal DOGE, il dipartimento per l’efficienza governativa che sostiene di aver tagliato 175 miliardi di dollari.

Sforzo inutile, come ha ricordato Musk, perché nel frattempo Trump preparava una legge di Bilancio che aumenta il debito federale di almeno 2400 miliardi in dieci anni, che fanno 240 miliardi all’anno.

Nell’immediato, Musk ha reagito come un amante abbandonato, ha insultato la legge di Bilancio di Trump, ha perfino evocato legami occulti - al di là di quelli già noti - tra il presidente e il pedofilo Jeffrey Epstein, al centro di ogni teoria complottista delle destre online.

Trump prima ha ostentato superiorità, poi ha fatto minacciose allusioni ai sussidi governativi alle aziende di Musk, e ha mandato un avvertimento, licenziando il capo della NASA scelto proprio da Musk, Jared Isaacman.

Non è finita lì.

Adesso che la legge di Bilancio trumpiana - il Big Beautiful Bill - è passata anche al Senato, Musk ha portato lo scontro su un nuovo livello, e così sta facendo Trump. Ne resterà uno solo. Tutti danno per scontato che sia il presidente, non è forse l’uomo più potente del mondo?

E se invece alla fine restasse Musk, che conclusioni dovremmo trarne? Che la svolta autoritaria fondata sul populismo che Trump ha tentato ha avuto come sbocco un golpe tecnologico?

La strategia di Musk

Per valutare la minaccia di Musk e i rischi che comporta per Trump bisogna osservare, come sempre, il feed di X, cioè la cascata di commenti, provocazioni, suggestioni che Musk riversa sul social che ha comprato nel 2022 a tutte le ore, soprattutto di notte.

Soprattutto, quasi certamente, quando ha le percezioni alterate e le inibizioni ridotte da qualche supporto chimico del quale - dice il New York Times - abusa spesso.

Mentre scrivo, il tweet fissato in cima al suo profilo è il sondaggio lanciato all’indomani dell’uscita dal DOGE, il 5 giugno, sulla necessità di un nuovo partito negli Stati Uniti per rappresentare “l’80 per cento che sta nel mezzo”.

A quel sondaggio, ora Musk ha aggiunto il suo commento “VOX POPULI VOX DEI”. Come ho ricostruito nel mio libro su Musk Il nemico, uscito da poco per Utet, l’introduzione del plebiscito è stata una delle innovazioni della svolta del social network: dalla Repubblica di Twitter - orizzontale, aperta, democratica - all’impero di X, dominato dal suo padrone e signore Elon Musk.

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