Il ritorno dei campi di concentramento
La deportazione dei migranti in Albania decisa dal governo italiano è un modello che la Commissione di Ursula von der Leyen vuole estendere al resto dell'Ue. Fino a quando resteremo indifferenti?
Il problema dei campi di concentramento in Albania non è che sono uno spreco di denaro del contribuente italiano, ma che sono campi di concentramento
Vi confesso che ormai faccio sempre più fatica a parlare di migranti e politiche migratorie. Perché la polemica del giorno tende a mangiarsi la sostanza delle cose, quella di oggi è Giorgia Meloni che in Parlamento che se la prende con la organizzazione non governativa che salva migranti nel Mediterraneo Sea Watch, guarda caso una Ong come quella al centro del caso che vede il ministro Matteo Salvini a processo, e venerdì c’è l’udienza con tanto di manifestazione eversiva di ministri, politici e militanti davanti al tribunale di Palermo.
Vedete che siamo già finiti alla polemica politica da social?
Basta un attimo per distrarsi dalla sostanza. E la sostanza è che, quasi 80 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’Unione europea sta valutando la possibilità di costruire dei campi di concentramento e che l’Italia è il modello per questa scelta.
Come già dovevano essere modello per il progetto - illegale - del governo conservatore inglese guidato da Rishi Sunak che sperava di deportare immigrati dalla Gran Bretagna al Rwanda.
Nel gergo europeo i campi di concentramento si chimano “hub di ritorno”, ma ormai nella discussione a Bruxelles l’espressione più usata è “centri di deportazione”.
Modello Italia
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Appunti - di Stefano Feltri per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.