Il laboratorio del Veneto
Lo scontro sul futuro del presidente Luca Zaia ci riguarda tutti, perché dalle scelte sulla regione dipendono gli equilibri del centrodestra (e di Salvini) a livello nazionale
La norma sul limite dei mandati aveva ed ha un enorme senso. Dopo aver esercitato grandi poteri per dieci anni nel governo di una regione, grazie all'elezione diretta e al premio di maggioranza, è giusto che si passi la mano, che si consenta il ricambio
Salvatore Vassallo
Magari vi siete persi qualcosa in questa battaglia sul terzo mandato dei presidenti di regione, che si consuma tra Veneto e Campania. E magari siete un po’ confusi, perché Luca Zaia si batte per un terzo mandato che in realtà è il quarto, ma è il terzo se conteggiato da quando si applica la legge nazionale che limita a due i mandati dei presidenti.
E poi c’è la Campania, dove il presidente Vincenzo De Luca ha approvato una legge regionale - sul modello di quella veneta - che il governo Meloni ha contestato con un ricorso alla Corte costituzionale. Il verdetto, è notizia di questi giorni, dovrebbe arrivare in tempo, cioè a marzo-aprile per le elezioni regionali che si terrebbero in autunno.
E questo è il complicato quadro dal punto di vista giuridico, poi c’è quello politico che è il vero ostacolo. De Luca si vuole ricandidare contro il parere del suo partito, cioè il Partito democratico di Elly Schlein che vuole accompagnarlo alla porta e preparare una nuova stagione per la Campania, con la consapevolezza che senza De Luca si potrebbe anche perdere e consegnare di nuovo la regione al centrodestra.
In Veneto la situazione è ancora più complicata. Il leader della Lega Matteo Salvini ha sofferto in questi anni la crescente autonomia del presidente Luca Zaia dalla Lega e avrebbe gradito spostarlo a sindaco di Venezia e scegliere un altro leghista per la regione.
Ma Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni si sono inserite nella questione: poiché ora è Fratelli d’Italia il primo partito - 37,6 per cento alle europee 2024 contro il 13 per cento della Lega - il presidente spetta al partito di Meloni, non a quello di Salvini.
Flavio Tosi, un ex sindaco di Verona che era leghista poi - in dissenso dalla leadership di Salvini si è spostato con Forza Italia - si è già proposto come successore naturale di Zaia.
Di fronte alla possibilità di perdere la regione a favore dell’alleato di governo sempre più egemone, Salvini si è riconvertito e adesso la posizione ufficiale è meglio Zaia per un quarto mandato piuttosto che far avanzare ancora Meloni e la sua destra in una regione che è stata - insieme alla Lombardia - il cuore del progetto leghista.
Le alternative erano tutte pessime per Salvini: Zaia lo ha messo di fronte all’ipotesi di correre da solo, contro i partiti, contro anche la Lega, e questo scenario avrebbe rappresentato la fine per la Lega salviniana, umiliata in una delle sue regioni chiave.
Forse Zaia si potrebbe ricollocare, sindaco di Venezia, magari ministro, e così Salvini avrebbe un doppio problema: un Veneto in mano a Meloni e uno Zaia a insidiarlo come volto nazionale della Lega.
Il senso del limite
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