Il divorzio tra capitalismo e democrazia
Martin Wolf ci mette 500 pagine di libro per identificare il modello sociale che dovrebbe ricomporre le nostre società slabbrate. Utopia? A me ricorda l'Emilia-Romagna nella quale sono cresciuto
Le variabili geopolitiche oggi sono tornate decisive nell’orientare i flussi di investimento e nel determinare il perimetro - più ristretto e un po’ soffocante - all’interno del quale gli elettori possono esercitare le proprie prerogative democratiche
Da un paio di secoli c’è un ricco filone letterario di libri che annuncia o prevede il collasso del capitalismo, dal Manifesto del Partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels nel 1848 in poi. Invece il capitalismo si è sempre reinventato, adattato, è rinato più forte dalle sue crisi.
L’economista austriaco Joseph Schumpeter, negli anni Quaranta, ha intuito che le crisi sono parte del capitalismo, che la distruzione inevitabile di imprese e posti di lavoro che le accompagna è un traumatico processo di selezione che permette ad altri soggetti più innovativi e produttivi di farsi largo.
Dopo la crisi dei mutui subprime partita dagli Stati Uniti nel 2007, l’idea che il capitalismo occcidentale fosse arrivato al capolinea è diventata una banalità ripetuta in ogni giornale o talk show, e invece non soltanto l’economia americana si è ripresa, ma il capitalismo occidentale è sopravvissuto persino a una pandemia globale.
Gli apocalittici di quindici anni fa non avevano previsto l’ascesa del capitalismo digitale, le innovazioni nei semiconduttori, l’ascesa dell’intelligenza artificiale e così via.
Di solito, quindi, i libri sulla crisi del capitalismo si possono lasciare sugli scaffali delle librerie senza rimpianti, magari per poi sfogliarli a distanza di un decennio e divertirsi a notare tutte le apocalissi mancate e le sorprese positive non previste.
Per il nuovo libro di Martin Wolf si può fare però un’eccezione a questa generale regola di economia del tempo di lettura che consiglia di evitare tutte le profezie di catastrofi imminenti per il capitalismo.
Martin Wolf è il più letto e autorevole commentatore economico del Financial Times, addirittura “il miglior giornalista finanziario del mondo”, secondo una citazione del Washington Post che viene riportata dall’editore Einaudi sulla versione italiana del suo saggio, La crisi del capitalismo democratico.
Qui la crisi denunciata è quella di uno specifico tipo di capitalismo, quello che Wolf definisce “democratico”, il che non significa che tutto il capitalismo sia in crisi.
Anzi, se si appanna quello con caratteristiche democratiche, si aprono spazi e mercati per un capitalismo che si è separato dalla democrazia, come quello con caratteristiche cinesi, con un governo centrale che antepone il benessere della comunità alle esigenze dei singoli individui.
La tesi di Martin Wolf è che capitalismo e democrazia liberale hanno convissuto per decenni come “gemelli in simbiosi” ma poi qualcosa si è rotto. Tanto il capitalismo quanto la democrazia liberale si fondano sulla centralità dell'individuo, le cui aspirazioni, desideri e preferenze sono il motore di tutto. Ognuno ha diritto di esprimersi, di commerciare, di votare e farsi votare.
La tensione
Le cose si complicano un po’ se al concetto di democrazia si aggiunge l’aggettivo cruciale di “liberale”: la democrazia più che un valore è soprattutto un metodo, si decide a maggioranza.
I valori che la accompagnano sono quelli contenuti in quell’aggettivo, “liberale”, che implica che ogni individuo conserva dignità, diritti e margini di azione anche o soprattutto se appartiene a una minoranza.
Dunque c’è una tensione inevitabile tra democrazia e liberalismo, perché le decisioni sono stato più rapide ed efficienti quanto più si procede con scelte a maggioranza che danno un chiaro indirizzo alle azioni del governo, mentre se si cercano di accontentare le esigenze e rispettare i veti di ciascun individuo o minoranza organizzata si arriva alla paralisi.
Ma c’è una tensione anche tra democrazia e capitalismo, perché la democrazia ha bisogno di confini che stabiliscono chi ha diritto di esprimersi, chi va contato nella maggioranza e come questa si calcola.
A parte l’esperimento dell’Unione europea, la democrazia è sempre nazionale, mentre il capitalismo - quando funziona - non può essere nazionale, perché soltanto mercati grandi e in espansione forniscono gli incentivi per investire e crescere.
Troppo successo in un mercato piccolo porta a frustrazione o anche crisi, perché o si rinuncia a opportunità di profitto, o la posizione dominante si evolve in monopolio e rendita.
Incatenare il Leviatano
A queste osservazioni abbastanza tradizionali, Martin Wolf aggiunge alcuni punti meno ovvi.
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