Il dilemma dei mutui
La tassa sui profitti delle banche annunciata dal governo non darà risultati, ma resta la domanda: è giusto aiutare chi non riesce a pagare le rate, salite per effetto del rialzo dei tassi Bce?
Buongiorno a tutte e tutti,
prima di tutto grazie ai tanti che hanno deciso di sostenere questa newsletter con un abbonamento, dopo il mio post per spiegare che è arrivato il momento di fare un salto di qualità con Appunti.
Scriverò qualcosa di articolato nei prossimi giorni come primo bilancio di questa operazione, perché sto ricevendo tante mail molto belle che mi confermano quanto valga la pena di investire su questa nascente comunità.
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grazie
Stefano
Nel pieno dell’estate 2023, il governo Meloni si è trovato di fronte un problema: le rate dei mutui a tasso variabile stanno diventando sempre più alte e molte famiglie faticano a pagarle.
Si chiamano a tasso variabile perché variano, nel senso che il tasso di interesse pagato dalle famiglie che hanno comprato casa sale se aumenta il tasso di interesse di riferimento ufficiale fissato dalla Banca centrale europea. Quello che viene anche detto “il costo del denaro”.
Quando c’è un’alta inflazione, cioè i prezzi salgono più del 2 per cento su base annua, la Bce reagisce con un aumento dei tassi di interesse. Che ha molte conseguenze, tra queste c’è quella di rallentare la crescita perché le famiglie e le imprese devono sacrificare una parte maggiore del loro reddito per pagare le rate dei prestiti.
Quindi avranno meno risorse per consumare, dunque la domanda di beni e servizi scenderà. Quando la domanda scende, le imprese sono quasi sempre portate a ridurre i prezzi. Inoltre, mutui più elevati rendono più difficile comprare casa, scende la domanda di immobili e si riducono gli investimenti del settore.
Secondo il modello della Bce, un aumento di un punto percentuale nel tasso di interesse sui mutui porta a un calo dei prezzi delle case del 5 per cento nel giro di due anni e un calo degli investimenti nella costruzione di nuove case dell’8 per cento, sempre dopo due anni.
E così l’inflazione scende.
Se il costo del denaro più elevato rallenta troppo la crescita, l’economia può passare dall’inflazione alla recessione, e questo è un problema per tutti.
Nel breve periodo, però, i tassi di interesse alti possono offrire anche alcune opportunità. Per esempio alle banche.
Cosa succede alle banche
I capitali che le banche prestano alle famiglie per comprare casa e alle imprese per acquistare macchinari o fare ricerca arrivano per la quasi totalità dai depositi che le banche raccolgono dai correntisti, cioè da noi.
Ogni volta che il nostro datore di lavoro accredita lo stipendio sul nostro conto corrente, in realtà stiamo facendo un prestito a una banca, perché è la banca a poter disporre di quei soldi, fino a quando non li usiamo con strumenti di pagamento digitali o li preleviamo dal bancomat.
Le banche si indebitano a breve termine e prestano a lungo termine: questo è il loro modello di business, la loro natura.
I prestiti a breve termine, cioè quelli che facciamo noi alla banca, sono poco rischiosi perché noi possiamo riavere indietro in ogni momento i nostri soldi, almeno in teoria.
Quelli a lungo termine, come per un mutuo a trent’anni, sono più rischiosi perché in trent’anni possono succedere molte cose, e dunque sono più remunerati, cioè hanno un tasso di interesse più alto.
Le banche esistono e funzionano perché i risparmiatori non vanno mai a chiedere indietro i loro soldi tutti nello stesso momento, e dunque la banca può impiegare quelle risorse per prestiti più redditizi a lungo termine.
Sappiamo tutti bene che di solito le banche pagano interessi vicini allo zero sui depositi in conto corrente.
Anzi, siamo noi correntisti che dobbiamo pagare le banche per recuperare soldi che sono già nostri, con commissioni varie per prelievi, bonifici o altre operazioni.
Quando la Bce alza il costo del denaro, le banche aumentano immediatamente il prezzo dei prestiti per i propri clienti, ma non variano la remunerazione per chi presta soldi a loro. In altre parole, continuano a pagare tassi vicini allo zero ai correntisti ma pretendono tassi di interesse molto alti dalle imprese o famiglie a cui erogano finanziamenti. Va detto, però, che quando i soldi se li fanno prestare dalla Bce le banche pagano i nuovi interessi aumentati dalla banca centrale.
Fino alla pandemia il costo del denaro era vicino allo zero, quindi non si avvertiva molto questa differenza, tra quanto costa alle banche raccogliere denaro e quanto rende prestarlo.
Ma poi il tasso di interesse praticato dalla Bce ha iniziato a crescere, fino a oltre il 4 per cento. E così le banche che pagano interessi zero sui soldi che noi correntisti prestiamo loro, adesso si fanno pagare molto più del 4 per cento per i mutui e altri finanziamenti.
Il risultato si vede nei bilanci. La più grande banca italiana, che è Intesa Sanpaolo, nei primi sei mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022 ha aumentato i ricavi da interessi netti, cioè la differenza tra gli interessi che riceve e quelli che paga, del 68,9 per cento, da 4 a 6,8 miliardi di euro.
Dalla relazione sui conti della prima metà dell’anno, si legge che praticamente tutto l'aumento è dovuto all’evoluzione dei tassi, mentre i volumi di credito erogato sono rimasti circa gli stessi.
Il governo Meloni decide quindi, con un annuncio a sorpresa, di tassare quelli che definisce “extra-profitti” delle banche per aiutare le famiglie in difficoltà a pagare i mutui a tasso variabile, o almeno queste sono le dichiarazioni.
In realtà il provvedimento non prevede alcuna esplicita connessione tra la nuova tassa sulle banche e l’aiuto alle famiglie in difficoltà. E’ soltanto una tassa che colpisce proprio i margini delle banche.
Togliere alle banche per dare allo Stato.
Nel giro di poche ore il governo si è visto costretto a rivedere la nuova tassa, perché l’annuncio a sorpresa - combinato con una certa vaghezza nei dettagli - aveva prodotto reazioni molto negative sui mercati finanziari e sulla stampa internazionale. Non era neppure ben chiaro quanto gettito dovesse produrre, se meno di 2 o più di 4 miliardi di euro.
Quando si introducono nuove tasse, poi, oltre a chiedersi quanti soldi entreranno nelle casse dello stato bisognerebbe chiedersi chi li paga davvero.
Se la banca ha la possibilità di scaricare sui clienti la nuova imposta, formalmente saranno gli istituti di credito a pagare ma nella sostanza i depositanti, magari attraverso un aumento delle commissioni che faranno guadagnare quanto viene perso dal lato dei margini di interesse.
Comunque, al netto della questione politica della tassa, intorno alla decisione del governo si è aperto un vivace dibattito sui giornali e soprattutto sui social: è giusto aiutare le famiglie in difficoltà con i mutui a tasso variabile?
Da un punto di vista finanziario, la risposta razionale sembra un chiaro e deciso no.
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