I reati di Salvini
Il leader della Lega porta i parlamentari ad assediare il tribunale di Palermo, come faceva Berlusconi con quello di Milano. Ma sotto processo non c'è la politica, bensì i suoi crimini individuali
Chissà che fine hanno fatto quei 147 migranti che si erano trovati a bordo della Open Arms nell’agosto 2019. Forse sarebbero stupiti di scoprire che ancora cinque anni dopo Matteo Salvini usa la loro sofferenza per cercare il consenso di chi pensa che difendere le frontiere sia più importante che salvare vite umane. O rispettare la legge.
Matteo Salvini vuole che discutiamo di una questione che non c’entra niente con il processo nel quale è imputato a Palermo. Vuole convincerci che il tema di cui parlare sia la magistratura che si permette di processare la politica e di contestarle come reato il rispetto del più sacro dei doveri, quello di garantire la sicurezza dei cittadini.
Per questo Salvini ha organizzato per questa mattina una manifestazione politica della Lega e dei suoi vari sostenitori davanti al tribunale di Palermo, durante l’arringa della difesa, per sostenere - in pratica - che le scelte di un esponente di governo non possono essere mai un reato.
C’è un precedente ormai remoto di un simile conflitto tra poteri, quando i vertici del partito di centrodestra che allora si chiamava Popolo della libertà guidati dal segretario Angelino Alfano hanno protestato nei corridoi del tribunale di Milano che non solo osava processare Silvio Berlusconi per la vicenda della minorenne marocchina nota come Ruby Rubacuori, ma addirittura rifiutava di concedergli continui rinvii motivati da “legittimi impedimenti” politici.
Lo scontro tra poteri dello Stato, però, non ha niente a che fare con questa vicenda. Il cuore del processo di Palermo è molto più semplice e, da un certo punto di vista, molto più politico: si possono usare i migranti per fare propaganda? La politica che trasforma ogni disperato su un barcone in una minaccia per la sicurezza e la prosperità degli italiani è legale?
Cosa è successo
I fatti risalgono al 2019, quando Matteo Salvini era ministro dell’Interno del primo governo Conte e aveva deciso di esasperare le politiche impostate dal suo predecessore, Marco Minniti, che faceva più o meno le stesse cose ma che pochi criticavano perché del Partito democratico.
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