Gli annunci (troppo) green e la realtà
Molte aziende cercano di compiacere le nuove sensibilità soltanto a parole. Stasera Petrolio di Duilio Giammaria osa parlare di petrolio e lobby nella Rai che ha avuto l'Eni come sponsor di Sanremo
E’ apprezzabile che perfino i petrolieri cerchino di passare dalla parte delle soluzioni dopo aver negato il problema per anni ma una transizione troppo graduale è una transizione inutile
Buongiorno a tutti,
questa sera alle 21.20 parte la nuova serie di Petrolio, condotto da Duilio Giammaria, su Rai3.
Ve ne parlo per due ragioni: la prima è che Duilio è un amico e un professionista che stimo. Mi ha chiesto di dargli una mano per queste puntate, cosa che ho fatto con entusiasmo.
Quindi c’è un po’ di Appunti anche in Petrolio, non posso che consigliarvi di guardarlo.
La seconda ragione è che Duilio e Petrolio hanno fatto una scelta ardita: provare a riempire lo spazio che è stato del poco compianto Avanti Popolo di Nunzia Di Girolamo con una puntata ricca e densa dedicata a un tema che certo Di Girolamo non avrebbe toccato.
Cioè la crisi climatica e la “grande bugia”: come le aziende petrolifere hanno nascosto per decenni l’evidenza scientifica che perfino loro avevano accumulato sull’impatto delle fonti di energia fossile sull’ambiente.
Oltre a intossicare l’atmosfera, Exxon e altri grandi gruppi hanno intossicato anche il dibattito scientifico, manipolato l’opinione pubblica e ci hanno fatto perdere decenni decisivi.
Petrolio trasmetterà una sintesi di una grande inchiesta internazionale su come questo è avvenuto - l’integrale dovrebbe poi andare su RaiPlay - e racconterà come quelle argomentazioni (false e prodotte su misura del business) sono rimaste in circolo e riecheggiano nei libri, nei discorsi e negli articoli dei nuovi negazionisti italiani.
Non so come andrà Petrolio in termini di share, la crisi climatica è un argomento difficile per un pubblico abituato a guardare innocue baruffe politiche o gossip mascherato da informazione, ma è un azzardo che ha molto senso correre.
Se non parla di cose serie la Rai in prima serata, e nello specifico Rai3, chi lo dovrebbe fare?
Certo, nominare anche soltanto il ruolo delle società petrolifere nella crisi climatica ed evocare il greenwashing in un paese dove il primo sponsor del festival di Sanremo è l’Eni, che promuove i suoi marchi “verdi” davanti al pubblico più vasto della stagione, significa andare molto contro corrente.
Anche perché l’umore intorno alla transizione ecologica è molto meno consensuale rispetto a qualche anno fa, come abbiamo già avuto modo di approfondire qua su Appunti.
Qui sotto alcune riflessioni che, in piccola parte, troverete anche nella puntata di Petrolio.
La finanza non ci salverà
L’Unione europea ha appena approvato nuove regole per spingere le agenzie di rating a valutare la sostenibilità ambientale delle imprese in modo accurato, ma l’idea che si possa salvare il clima con la finanza vacilla.
Negli Stati Uniti i Repubblicani hanno avviato un'indagine di una commissione al Congresso che tratta gli accordi tra più imprese per la decarbonizzazione come accordi collusivi, dunque in violazione delle leggi antitrust e dannosi per i consumatori e gli azionisti, visto che il risultato sono costi più alti e profitti più bassi.
I primi effetti già si vedono: State Street Global Advisors, JP Morgan e Blackrock - dopo la convocazione della commissione del Congresso - hanno lasciato l’alleanza Climate Action 100+, nata nel 2017 per salvare il clima con la finanza: nell’investire i capitali in gestione, i tre gruppi finanziari valuteranno soltanto i rendimenti, non l’impatto ambientale.
Per molte aziende la questione sensibilità è un dilemma senza soluzione: se si impegnano davvero per ridurre le emissioni, vedono salire i costi e perdono quote di mercato a beneficio di chi inquina.
Se rinunciano a ogni impegno di sostenibilità perdono comunque i clienti più preoccupati per l’ambiente, e spesso violano la legge.
Il risultato è spesso il greenwashing: secondo un report di Influence Map, il 93 per cento delle 293 aziende dell'indice Forbes 2000 promette di raggiungere net zero, l’impatto netto nullo in termini di emissioni, ma per più della metà si tratta di slogan vuoti.
Anche le aziende più inquinanti promettono oggi di diventare verdi, e questa è una buona notizia, ma se spesso la distanza tra la comunicazione e la realtà e notevole.
La buona notizia è che oggi il greenwashing è una pratica sempre più rischiosa, perché almeno una parte dei consumatori è diventata molto più sensibile al tema della sostenibilità.
Il problema è che i consumatori vogliono aziende verdi ma non sono disposti a pagare di più per i carburanti, per l’energia, o per i prodotti alimentari realizzati con minore impatto ambientale.
Insomma, la colpa del greenwashing non è soltanto delle aziende, siamo noi clienti che creiamo la domanda per prodotti che sono verdi soltanto nel nome e nell’etichetta, ma poi inquinano circa come prima.
La transizione ecologica, comunque, si farà soltanto insieme alle aziende dell’età del fossile, perché soltanto quelle hanno le risorse e i mezzi per accelerarla o rallentarla.
Il problema riguarda i tempi: è apprezzabile che perfino i petrolieri cerchino di passare dalla parte delle soluzioni dopo aver negato il riscaldamento climatico - come racconta il documentario trasmesso da Petrolio - ma una transizione troppo graduale è una transizione inutile.
Dunque, gli slogan non bastano, bisogna sempre vedere cosa c’è di davvero concreto dietro i proclami di sostenibilità.
Prendiamo il caso più vistoso, cioè l’Eni.
Come ormai ogni anno, anche Sanremo 2024 ha goduto di una massiccia sponsorizzazione da parte dell’Eni, con il volto di Virginia Raffaele e la voce di Malika Ayane.
L’azienda energetica controllata dallo Stato ha presentato il suo volto più verde: non un accenno al petrolio, ma soltanto ai marchi Eni Live e Plenitude.
Eni Live si presenta come centrata su idrogeno e biocarburanti, ma nell’immediato soprattutto di car sharing, le auto in affitto nelle grandi città, di parcheggi e stazioni di servizio. Plenitude è il marchio di energie rinnovabili dell’Eni.
Secondo Greenpeace, a Sanremo l’Eni ha fatto soltanto greenwashing, cioè ha dato un’immagine non coerente con la sua natura di gruppo ancora fondato sulle energie fossili e inquinanti.
Greenpeace contesta, tra l’altro, a Eni di presentare il marchio Plenitude come fornitore di energia da fonti rinnovabili mentre si tratta al 65 per cento di forniture di gas, che non è certo una fonte verde, ma anche l’altro 35 per cento - dice Greenpeace - è energia “in gran parte derivata da fonti fossili”.
Ha ragione Greenpeace?
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