Dobbiamo fermare le auto elettriche cinesi?
Biden ha alzato dal 25 al 100 per cento le tariffe doganali sulle auto cinesi a batteria, l'Ue indaga ed è pronta a mosse simili. Mentre Stellantis investe in Cina per importare in Europa
Con una mano i governi europei spendono miliardi per abbassare i prezzi delle auto elettriche con gli incentivi all’acquisto, e con l’altra riducono la concorrenza da parte dei produttori cinesi più economici e permettono alle aziende automobilistiche di tenere i prezzi più alti
L’amministrazione Biden ha deciso di aumentare le tariffe sulle auto elettriche cinesi importate negli Stati Uniti dal 25 al 100 per cento. Una mossa ostile e pre-elettorale che ha obiettivi molto politici.
Il primo obiettivo del presidente Joe Biden, che è in campagna elettorale per la rielezione, è togliere argomenti al suo rivale Donald Trump che nel suo primo mandato aveva innescato una violenta guerra commerciale con la Cina, salvo poi firmare una specie di tregua nell’ultimo anno, il 2020.
Biden ha usato toni diversi da Trump, ma nella sostanza ha confermato quasi tutte le barriere doganali contro prodotti cinesi che il presidente Repubblicano aveva introdotto, e ha confermato la scelta degli Stati Uniti di paralizzare l’Organizzazione mondiale del commercio, Wto, per evitare condanne per le misure protezionistiche.
C’è poi una seconda esigenza cruciale per Biden. Il presidente vuole difendere il suo Inflation Reduction Act, cioè l’enorme piano di sussidi verdi approvato nell’estate 2022 che ha al centro la costruzione di una filiera dell’auto elettrica negli Stati Uniti.
Ogni auto elettrica riceve un incentivo fino a 7.500 dollari, a condizione che gran parte dei componenti arrivi dagli Stati Uniti.
Il mercato dei veicoli elettrici è in grande espansione, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia dovrebbe salire da 13 a 17 milioni di auto vendute tra 2023 e 2024, per arrivare a valere due terzi del mercato entro il 2035.
Però non è detto che tutte quelle nuove auto elettriche siano occidentali, anzi. Potrebbero in gran parte arrivare dalla Cina: anche se oggi quasi nessun americano acquista auto cinesi, già in passato abbiamo visto con che rapidità Pechino può inondare i mercati occidentali con prodotti competitivi.
Nel settore ci sono parecchie tensioni, i marchi americani come Tesla soffrono la concorrenza dei rivali cinesi su molti mercati, anche se non in quello domestico. Molti gruppi automobilistici nei mesi scorsi hanno ridotto i prezzi nel tentativo di sostenere la domanda e rendere i propri modelli più competitivi nei confronti di quelli cinesi.
L’indagine europea
Non sono problemi soltanto americani. La mossa dell’amministrazione Biden di aumentare dal 25 al 100 per cento i dazi doganali sulle auto elettriche cinesi a batteria rende più probabile che anche l’Unione europea faccia qualcosa di simile.
Entro ottobre, la Commissione europea dovrebbe presentare i risultati della indagine avviata quasi un anno fa su mandato della presidente Ursula von der Leyen per stabilire se i sussidi cinesi alla filiera dell’elettrico sono compatibili con la normativa europea.
Sono sussidi che in gran parte arrivano da banche e altre entità parastatali la cui natura è ambigua, e possono essere considerate espressioni del governo.
In realtà, la quota di auto elettriche cinesi a batteria nel mercato europeo è ancora piuttosto bassa, era soltanto l’8 per cento nel 2022 e dovrebbe arrivare al 15 per cento nel 2025. Peraltro, due terzi di queste importazioni sono di auto elettriche prodotte sì in Cina, ma da marchi europei.
Dalle statistiche, il più grande esportatore di auto elettriche cinesi è Tesla, cioè l’azienda americana di Elon Musk che nel 2023 valeva il 39,2 per cento del totale delle esportazioni cinesi nel settore.
Dunque, al termine della sua indagine la Commissione potrebbe scoprire che a beneficiare dei sussidi del governo di Pechino sono soprattutto aziende europee nel cui interesse la Commissione dichiara di agire.
E infatti i gruppi tedeschi che operano in Cina non sono entusiasti della indagine della Commissione, anche se questa è formalmente limitata soltanto ai marchi cinesi che esportano in Europa, che però valgono una piccola percentuale del mercato.
Anche perché le aziende che vendono sia in Cina che in Europa gli stessi modelli, ai consumatori europei chiedono prezzi fino al 50 per cento più alti rispetto ai consumatori cinesi. Dunque è un po’ difficile sostenere che l’effetto dei sussidi cinesi sia quello di permettere ai marchi cinesi di vendere in Europa sottocosto.
Il caso più estremo è quello del modello ID.3 di Volkswagen, che viene venduto a 40.000 euro in Europa e all’equivalente di 20.000 in Cina. In media ai consumatori europei tocca pagare tra il 30 e il 40 per cento in più rispetto ai cinesi. Come si spiega?
Il vantaggio cinese
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