Dall'Ucraina a Gaza: le fratture della guerra estesa - Podcast con Gilles Gressani
In questa fase di "interregno" tra un mondo che non c'è più e uno nuovo, le idee contano, per definire priorità e scegliere i mezzi coerenti. Una conversazione con il direttore del Grand Continent
“La difficoltà del momento deriva da una impressioante accelerazione, apparente, degli eventi. In qualche mese si può passare da una crisi mondo come la pandemia e a una crisi mondo come la guerra in Ucraina a un’altra crisi mondo come quella iniziata il 7 ottobre”. Gilles Gressani
“Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice - salve ragazzi, com’è l’acqua? - i due pesci giovano nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: - Che cavolo è l’acqua?”
Si apre con questa parabola, una citazione dallo scrittore David Foster Wallace, il primo volume italiano (pubblicato da Luiss University Press) della più interessante rivista di riflessioni su cose internazionali in circolazione, cioè Il Grand Continent, diretto da Gilles Gressani, che firma l’introduzione assieme a Mathéo Malik.
Ho intervistato Gilles per il podcast di Appunti e nella seconda parte della conversazione racconta anche in sintesi l’esperimento del Grand Continent: una rivista di riflessione e analisi europea, nata in Francia ma disponibile anche in altre lingue, italiano incluso, per stare nei dibattiti nazionali invece che soltanto nella bolla di chi legge l’inglese o in quella - ancora più piccola e autoreferenziale - di chi parla di Europa da Bruxelles e con il gergo delle istituzioni europee.
In questo momento il dibattito delle idee potrebbe sembrare un lusso che non possiamo permetterci: l’acqua in cui noi, pesci occidentali, nuotavamo senza pensarci troppo si è prosciugata.
Il mare di quella approssimazione della pace che ha reso possibile la nostra prosperità nel lungo Dopoguerra protetto dalla potenza militare americana si è aperto lasciandoci intravedere cosa c’è sotto.
Non la sicurezza del fondale, ma scogli aguzzi e impietosi, gli scogli della guerra, della violenza, della necessità di sopravvivenza.
Per fare una analogia finanziaria, l’Ucraina è stato il fallimento di Bear Stearns, Hamas e Israele sono stati Lehman Brothers.
La crisi di sistema era già evidente al primo terremoto, ma è con il secondo - anche se più circoscritto - che cambia la percezione complessiva, che si passa dal timore al panico e - forse - alla risposta. Magari alla soluzione.
Per questo servono le idee. Nella teoria delle relazioni internazionali le idee contano ancor più che in economia.
Oggi prevale l’uso della parola “geopolitica” per spiegare i rapporti tra stati e popoli, ma la geopolitica è una specie di vincolo esterno alle azioni dei singoli che devono confrontarsi con il peso della storia e le implicazioni del contesto geografico, sociale, economico.
All’interno di quel perimetro geopolitico rimane lo spazio per agire. Se gli obiettivi sono chiari e i mezzi coerenti.
Il numero del Grand Continent e Gilles Gressani usano la categoria dell’ “interregno”: siamo in una fase del non più e del non ancora.
Un’ordine mondiale non è più inevitabile, quello di matrice americana e occidentale, e un altro non si è ancora affermato.
Se ci aspetta un mondo diviso in blocchi, con una potenza revisionista che sostituisce quella al comando ora, quindi dagli Stati Uniti alla Cina, o se invece dopo l’appannarsi dell’egemone sperimenteremo la versione sovranazionale dello stato di natura di Hobbes (uno vale uno, e ognuno cerca di imporsi con la forza), lo vedremo.
Le idee contano
Questa è una fase fluida, incerta, malleabile. E per questo, osserva Gilles Gressani, le idee contano. Perché possono condizionare - ora molto più che in momenti di maggiore staticità - la piega che prenderanno gli eventi e i rapporti di forza.
Il problema è che noi, come Europa prima ancora che come occidente, stiamo perseguendo obiettivi tutti legittimi ma che richiedono azioni in contrasto tra loro.
Vogliamo vincere una guerra in Ucraina ma senza combatterla, deleghiamo all’esercito ucraino il compito di morire per gli ideali che noi difendiamo al punto da offrire a Kiev l’approdo all’Unione europea come Terra promessa alternativa alla sottomissione a Mosca. L’Europa è un nano militare ma una superpotenza morale, che però lascia altri in prima fila a difendere quella superiorità.
La guerra in Ucraina è una “guerra totale e una guerra limitata”, nel senso che è totale per gli ucraini e limitata per gli alleati occidentali, scrive Jean-Marie Guéhenno sul Grand Continent versione cartacea, un ex diplomatico francese che denuncia “l’empatia a buon mercato” delle società europee verso gli ucraini. Empatia che dura soltanto finché non tocca a noi accettare qualche sacrificio.
Vogliamo una Europa più larga e inclusiva per sottrarre paesi alla sfera di influenza della Russia, però non siamo disposti a rivederne le regole interne perché ogni paese vuole conservare il diritto di veto. E così l’apertura dell’Ue rischia di segnarne l’irrilevanza.
L’Unione europea insegue il miraggio di un'autonomia strategica anche dagli Stati Uniti - dai microchip all’energia all’intelligenza artificiale - proprio mentre il mondo si riorganizza per blocchi di affinità culturale e ideologica. E quindi Ue e Stati Uniti sono destinati a stringere i rapporti, non a separare le proprie traiettorie.
Ci servono miliardi, anzi centinaia di miliardi, per finanziare la transizione ecologica e le spese per la difesa funzionali a sostenere gli obiettivi geopolitici, ma le nostre banche centrali alzano i tassi di interesse e rendono quei miliardi molto più costosi perché dobbiamo anche combattere l’inflazione per tutelare il benessere della classe media che è la vera garanzia di sopravvivenza delle nostre democrazie.
Come scegliere le priorità e gli strumenti appropriati?
Le idee contano. E non soltanto quelle occidentali. A Bruxelles si vedono molti funzionari della Commissione con le spille coi colori ucraini: le istituzioni dell’Ue hanno fatto una scelta netta, vedono nel conflitto in Ucraina una guerra per il destino dell’ideale europeo, decisiva per l’Occidente e per il mondo.
Anche gli Stati Uniti hanno garantito un supporto militare che si spiega soltanto con la convinzione che quello sia un conflitto esistenziale. Ma il resto del mondo non la vede così.
Il mondo delle medie potenze
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