Da una crisi all'altra?
Le polemiche del governatore della Banca d'Italia con i colleghi indicano che la crisi da inflazione sta salendo di livello, c'è anche una nuova crisi finanziaria in arrivo con Svb?
Buona domenica,
spedisco la newsletter prima di andare al mare a testare il primo sole di primavera sul litorale laziale, già pensando allo spaghetto con le vongole per pranzo.
Intanto grazie per la calorosa accoglienza a questa newsletter sperimentale, in attesa del libro Inflazione (che è prenotabile online, ora finalmente ha anche la copertina negli store). Ne abbiamo già parlato anche a Radio3, a Tutta la città ne parla (sotto trovate un estratto)
Mi avete scritto in tanti e cerco di rispondere a tutti. Anzi, se avete idee di temi o cose che vorreste leggere qui, o pensare a qualche forma di interazione diversa, sono molto ricettivo. Dirette Instagram? Podcast? TikTok?
Mentre preparavo questa puntata, le notizie arrivate dagli Stati Uniti hanno sollevato domande inquietanti: il fallimento della Silicon Valley Bank indica che siamo sull’orlo di una crisi finanziaria?
In realtà, è sempre la stessa crisi: l’alta inflazione spinge le banche centrali ad alzare i tassi di interesse e questo rende le condizioni nel settore finanziario più difficili. Un po’ come la marea che scende e si vede chi era senza costume.
Per il momento abbiamo scoperto le fragilità di questa Svb della quale io, come credo molti di voi, non avevo mai sentito parlare, d’altra parte è una banchetta che prima del fallimento capitalizzava giusto 6 miliardi di dollari (Bank of America, per dire, ne vale 243).
Un’altra Lehman Brothers?
La storia non si ripete mai uguale, ma ci viene spontaneo cercare analogie: il crac di Svb è l’inizio di un terremoto analogo a quello di Lehman Brothers, partito il 15 settembre 2008?
Ad oggi, tutto sembra indicare che non è così: Svb è una banca piccola, che si rivolge a una clientela particolare, le imprese della Silicon Valley, che appoggiano sui suoi conti la liquidità in eccesso raccolta dagli investitori di venture capital, in attesa di finanziare i progetti.
I vertici della Svb hanno avuto la pessima idea di investire miliardi di dollari in obbligazioni a tasso fisso, mentre dovevano remunerare i depositi a tassi variabili. In tempi tranquilli non succede niente, anzi, si lucra sulla differenza (i tassi fissi a lunga scadenza sono più alti di quelli variabili a breve).
Ma se le banche centrali iniziano ad alzare i tassi per combattere l’inflazione, i titoli a rendimento prefissato si svalutano (il valore atteso viene scontato a un tasso più elevato) e i costi di breve salgono.
Per sfuggire a questa morsa, Svb ha venduto titoli per 21 miliardi, con una minusvalenza di 1,8 miliardi, ha provato a tappare il buco cercando di raccogliere sul mercato emettendo azioni e non ci è riuscita.
Per fermare il panico e la corsa agli sportelli, questa sì fonte di un potenziale contagio, il regolatore americano Fdic ha chiuso la banca e trasferito gli asset in una nuova entità che sarà operativa da lunedì.
I depositi sotto i 250.000 dollari sono assicurati, la quota sopra no e potrebbe non essere recuperabile. Un bel guaio in questo caso, visto che la quasi totalità dei clienti di Svb sono banche che sui conti avevano milioni di dollari.
Sembra una crisi molto circoscritta, un grande problema per alcuni clienti di Svb ma senza ripercussioni sistemiche. Eppure le banche di tutto il mondo sono crollate in borsa. Perché?
Dietro questa ondata di panico un po’ irrazionale sembra esserci la consapevolezza che il sistema finanziario è più fragile di come sembrava nell’epoca dei tassi d’interesse bassi e del denaro regalato, quando gli investitori potevano prendersi rischi tipo scommettere su criptovalute o altre cose astruse.
Ci sono una serie di micro-crisi che si stanno comulando in questi mesi e che indicano basi incerte del sistema, niente di interconnesso e pervasivo come le cartolarizzazioni dei mutui americani senza garanzie nel 2007, ma comunque sono segnali da non sottovalutare: frodi e bolle speculative scoppiate nel mondo criptovalute, il quasi fallimento dei fondi pensione inglesi evitato dal governo e dalla banca centrale a ottobre, gli scandali che hanno affondato Credit Suisse…
Tante coincidenze iniziano a sembrare qualcosa di più preoccupante.
Anche perché la percezione dei rischi è sempre distorta: la rivista Forbes aveva indicato Svb come una delle migliori banche americane del 2023 meno di una settimana prima del fallimento.
Questa storia - e tutte le altre - indicano che le banche centrali si trovano di fronte a un dilemma che non esplicitano mai veramente: le politiche necessarie per preservare la stabilità dei prezzi (quindi ridurre l’inflazione) rischiano di compromettere la stabilità finanziaria.
Il rischio è sempre di fare troppo poco e troppo tardi, così da non ottenere né l’una né l’altra. Anche per questo i responsabili della politica monetaria iniziano a sembrare un po’ nervosetti.
Dottor Ignazio e mister Visco
A me i banchieri centrali che parlano troppo mettono un po’ d’ansia, un po’ come medici o magistrati che accompagnano il loro sapere tecnico con sfoggi di erudizione o commenti sarcastici o moraleggianti.
Nella categoria dei banchieri centrali italiani, però, dai tempi di Antonio Fazio si registrava una certa morigeratezza.
Due eccezioni recenti, segnalate più dai media italiani che internazionali. Il componente italiano del board della Bce, Fabio Panetta, che ha avvertito il rischio di guidare “come un pazzo a fari spenti nella notte”, parlando della reazione delle banche centrali all’inflazione.
E poi Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, che ha detto a un incontro del ministero degli Esteri:
“L’incertezza è così elevata che come Consiglio direttivo della Bce abbiamo concordato di decidere 'meeting by meeting', senza 'forward guidance'. Non apprezzo perciò dichiarazioni di miei colleghi circa futuri e prolungati aumenti dei tassi. Non so, non sappiamo abbastanza; per questo posso solo dire, ricordando Eugenio Montale, ‘ciò che non siamo, ciò che non vogliamo’, in questo caso un’inflazione alta e prolungata”.
Panetta, a lungo in predicato di diventare ministro dell’Economia e favorito proprio per la Banca d’Italia, cita un cantautore in sintonia con i tempi, cioè con reputazione di destra come Lucio Battisti. Il napoletano Visco marca la differenza con Montale.
Scelte assai inusuali, che indicano come la politica monetaria sia in una fase di grande confusione e, dopo aver rinunciato a essere chiaramente prevedibile dai mercati, si sta rifugiando in una dimensione evocativa, oracolare, che ricorda i tempi di Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve convinto che la banca centrale dovesse guidare i mercati con messaggi ambigui che lasciassero margini di discrezionalità, invece che con regole chiare.
Si può discutere a lungo sulla legittimità dell’approccio oracolare: i banchieri centrali sono dei tecnici, non dei “dittatori benevolenti” (per usare il gergo economico) a cui è affidato un potere assoluto e la piena discrezionalità su come usarlo.
Ma anche senza andare a discutere l’essenza stessa del central banking, si può rimanere all’analisi della situazione attuale.
E’ vero che la Bce, come in parte la Fed, ha abbandonato la forward guidance, cioè un percorso chiaro e predefinito per le sue azioni fino a raggiungere un obiettivo chiaro.
Ma al contempo continua a comportarsi come se invece i mercati dovessero avere aspettative ben ancorate: gli investitori devono rimanere convinti che le banche centrali riusciranno a riportare a breve il tasso di inflazione al 2 per cento, ma non farsi troppe domande su come ci riusciranno. Visto che gli stessi banchieri non lo sanno e non possono dirlo.
Dunque, da un lato è comprensibile che Visco se la prenda con chi – come il governatore della banca centrale austriaca Robert Holzmann – promette rialzi dei tassi quando la nuova linea ufficiale è navigare a vista.
Dall’altro è comprensibile che Holzmann voglia ribadire ai mercati che l’impegno della Bce resta serio e credibile, altrimenti anche gli investitori inizieranno a navigare a vista invece che continuare a dare per scontato che le banche centrali riporteranno l’inflazione sotto controllo in un tempo ragionevole.
Qualcosa può andare storto
A leggere bene le parole di Visco e le analisi della Banca d’Italia si capisce perché Visco pensi che siamo in una terra incognita.
E quindi non sta dicendo che è sbagliato aumentare i tassi – come gli è stato attribuito – ma che l’unica cosa onesta da fare per i banchieri centrali, in questo momento, è ammettere di non sapere abbastanza.
Questa frase è indicativa:
“Anche se la politica monetaria ha finora avuto successo nello stabilizzare le aspettative, la grave situazione geopolitica rende molto difficile prevedere i futuri andamenti macroeconomici”.
E anche questa citazione
“La “tassa” energetica va assorbita, come abbiamo più volte sottolineato, non generando vane e dannose rincorse tra prezzi e salari ma accrescendo la capacità di sviluppo dell’economia, e con essa la dinamica dei redditi reali. Se invece le richieste retributive, più che mirare in avanti, fossero soprattutto guidate dalla volontà di recuperare nell’immediato le perdite dovute al rincaro dei prodotti energetici e se i profitti delle imprese, dopo il trasferimento sui prezzi finali degli straordinari aumenti del costo dell’energia, non ne riflettessero nei prossimi mesi il drastico recente ridimensionamento, la politica monetaria non potrebbe che continuare a contrastare gli effetti di questi comportamenti sul complesso dei prezzi al consumo”.
Tradotto dal gergo, Visco sta dicendo che c’è ancora un rischio di spirale prezzi salari, se i lavoratori iniziano a chiedere aumenti per recuperare il potere d’acquisto che hanno perso in questi due anni di inflazione alta.
Sarebbe meglio indennizzarli con misure una tantum – come è stato fatto in Italia dal governo Draghi con gli aiuti alle bollette ora in scadenza – che mitigano l’impatto dell’inflazione ma non generano ulteriore spinta ai prezzi.
Mentre aumenti strutturali e permanenti potrebbero rendere l’inflazione più duratura anche una volta esaurita la spinta ai prezzi dovuta ai rincari delle materie prime e in particolare del gas.
Ma questa analisi è corretta? Cioè, davvero il problema è soltanto come gestire l’inflazione da shock energetico?
Se guardiamo i grafici che sempre Visco ha allegato a una sua lecture di qualche giorno fa ci sono punti a favore e contro questa tesi, che confluiscono nel grande “boh” che è la linea della Bce.
Punti a favore:
- Mentre negli Stati Uniti la domanda per beni e servizi è ampiamente sopra i livelli pre-Covid, e quindi si può concludere che c’è troppa domanda per troppa poca offerta, nell’eurozona non è così. Dunque, non sembra esserci una inflazione che deriva da una economia surriscaldata, ma soltanto da uno shock esogeno quale la guerra e i prezzi dell’energia
- Inoltre la probabilità che l’inflazione resti elevata nei prossimi anni sta scendendo, se misurata dalle aspettative dei mercati (attraverso le opzioni che proteggono dall’inflazione), altro punto che porta a considerare temporaneo il problema europeo
Ci sono però anche argomenti contrari a questa lettura minimalista, proprio sempre nei grafici di Visco:
- L’inflazione è passata anche a settori diversi da quelli dell’energia, mentre l’inflazione headline – che include l’energia- inizia a ridursi, quella core (che esclude cibo ed energia) non soltanto non frena ma continua a salire
- Le previsioni della Bce sono state così clamorosamente sbagliate che è molto rischioso prenderle per buone ora, visto che più o meno continuano a essere elaborare nello stesso modo
- L’assenza di eccesso di domanda nell’eurozona può anche diventare un elemento di preoccupazione, oltre che di rassicurazione: se la domanda resta relativamente bassa e l’inflazione alta, non sarà che si è ridotto il potenziale di crescita dell’economia e quindi serve una politica monetaria più restrittiva?
Ne riparleremo.
Le vostre segnalazioni
A proposito del tema della scorsa settimana, cioè quanta parte dell’inflazione dipende dal potere di mercato delle imprese che scaricano i rialzi dei costi sui consumatori e aumentano anche i margini, ringrazio Edoardo Liccio che mi ha segnalato questo post del blog del Fondo monetario.
I risultati di questo paper del 2021 sono importanti oggi: imprese con molto potere di mercato, come Apple o Google, accumulano enormi liquidità che non hanno neppure bisogno di reinvestire, quindi sono al riparo dalle conseguenze dei rialzi dei tassi, perché il loro finanziamento non ne risente.
Le imprese che operano in ambienti molto competitivi sono anche più sensibili alle condizioni finanziarie, dunque sono più colpite dalla politica monetaria restrittiva. E questo non è un bene.
Parliamone di persona
Un paio di aggiornamenti sui prossimi eventi. Vi ricordo la prima presentazione al festival Libri Come, a Roma (con me ci sarà Alessandra Sardoni di La7 e altri interlocutori), sabato 25 marzo alle 15. E una a Modena, venerdì 31 marzo, alla libreria Ubik (alle 18).
Extra - radio e tv
Già venti giorni prima dell’uscita del libro, c’è stata una prima occasione di parlarne, grazie a Rosa Polacco e Pietro Del Soldà e Tutta la città ne parla, il programma di Radio3 che parte dalle telefonate arrivate alla rassegna stampa di Prima Pagina. Trovate qui a questo link la puntata integrale, sotto una parte dedicata al libro e all’inflazione.
Questa settimana mi sono occupato molto del naufragio di Steccato di Cutro e delle responsabilità politiche chiare che implica.
A fare i giornalisti si tende a diventare cinici, in questo caso devo dire che non sono riuscito a mantenere l’abituale distacco emotivo dalle notizie.
Ne ho parlato in varie trasmissioni televisive, qui sotto un estratto. Se volete approfondire, c’è la mia analisi all’informativa del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Il testo del ministro evidenzia un punto che dovrebbe farci riflettere: non c’è stata alcuna operazione in corso per gran parte della notte tra 25 e 26 febbraio.
Quando finalmente un migrante riesce a chiamare il 112 e a chiedere aiuto perché spaventato dal mare mosso e dalle cattive condizioni della barca, si attiva la macchina dei soccorsi - con vigili del fuoco e carabinieri sulla riva - che allarma gli scafisti, i quali cercano una manovra per allontanarsi e così finiscono sulla secca che genera il naufragio e la strage.
Ecco, se l’esito delle politiche di gestione degli sbarchi da parte dell’Italia ha come risultato non soltanto di abbandonare i migranti al loro destino ma addirittura di esporli a pericoli aggiuntivi (e letali) forse dobbiamo tutti interrogarci e chiederci se a Steccato di Cutro è successo qualcosa di imprevisto o se il disastro è stata la conseguenza calcolata del nostro approccio all’immigrazione.


Grazie di essere arrivati fin qui, fatemi sapere cosa ne pensate e fate girare la newsletter
a presto
Stefano