Cose lette, viste e ascoltate: La nuova fase della guerra in Medio Oriente
Dagli Stati Uniti all'Iran: mappa, paese per paese, di chi può innescare una spirale di violenza senza ritorno. Con i podcast da ascoltare per capire meglio
Buona settimana a tutte e tutti,
di notizie positive ce ne sono poche, mentre la situazione in Medio Oriente diventa sempre più preoccupante.
Oltre al trauma dell’attacco del 7 ottobre, rimangono le preoccupazioni per le conseguenze umanitarie di un intervento di Israele a Gaza e per la sorte degli oltre 200 ostaggi in mano ad Hamas.
Ma si aggiunge anche il rischio di un'escalation della guerra: anche dopo l’11 settembre una azione terroristica senza precedenti ha innescato una catena di eventi e risposte militari che ha cambiato il mondo, dall’Afghanistan all’Iraq.
Cosa potrebbe innescare una guerra regionale o, speriamo davvero di no, ancora più larga?
Secondo gli analisti dello European Council on Foreign Relations (Ecfr), questo potrebbe essere l’innesco:
Una escalation da parte di Hezbollah, il gruppo militare sostenuto dall’Iran in Libano, “potrebbe scatenare una risposta significativa da parte di Israele contro il Libano, potenzialmente con un sostegno militare diretto da parte degli Stati Uniti". Questo metterebbe Hezbollah, il gioiello della corona dell’Iran nella regione, sotto una forte pressione mentre già è alle prese coi problemi politici ed economici in Libano”.
A quel punto, cito sempre dall’Ecfr, l’Iran potrebbe reagire perché vedrebbe le sue principali leve nell’area - Hamas ed Hezbollah - a rischio, “potrebbe scatenare milizie armate in Iraq e Siria per attaccare bersagli americani, come basi militari, in una spirale di violenza incontrollata in tutto il Medio Oriente.
Per consentirvi di orientarvi in una situazione sempre più complicata, in questo numero di Appunti proviamo a capire come sono posizionati i protagonisti di questa possibile escalation e cosa vogliono: Stati Uniti, Iran, Egitto e Giordania.
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STATI UNITI
Dopo anni di progressivo disimpegno dal Medio Oriente, gli Stati Uniti sono tornati rilevanti con la scomposta diplomazia di Donald Trump che da un lato ha legittimato le politiche nazionaliste di Benjamin Netanyahu, con il sostegno ai coloni nei territori palestinesi occupati, dall’altro ha favorito il tentativo di normalizzare i rapporti tra Israele e i paesi vicini arabi con gli accordi di Abramo (con Emirati Arabi Uniti e Bahrain nel 2020).
Oggi, con Joe Biden, hanno un ruolo decisivo: il presidente americano ha tenuto una linea netta, massimo supporto a Israele ma anche estrema vigilanza sul rispetto dei diritti umani. Si deve soltanto agli americani se Israele ha quantomeno posticipato l’invasione di Gaza e concesso un (piccolo e temporaneo) accesso agli aiuti umanitari dal passaggio di Rafah.
Washington non si limita a vigilare affinché Israele, ancora traumatizzato dagli attacchi di Hamas il 7 ottobre, eviti catastrofi umanitarie. Gli Stati Uniti temono l’escalation del conflitto su base regionale e con ripercussioni globali, per i riflessi che una guerra più estesa avrebbe su Russia, Ucraina e Cina.
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