Dietro la "minaccia dell’espansionismo russo"
Dopo l'Ucraina, c'è il rischio che Putin continui la sua avanzata e che l'Europa e la Nato si trovino in una guerra diretta con la Russia? Mosca ha ambizioni imperiali, ma non i mezzi per realizzarle
Come sapeva bene George Kennan, la Russia è intrinsecamente, istintivamente espansionista. Ma una cosa è volersi espandere, un’altra è avere la capacità di farlo
Manlio Graziano
Nel suo famoso “Lungo telegramma”, spedito da Mosca il 22 febbraio 1946, il capo missione all’ambasciata americana George Kennan spiegava a Washington non solo la catastrofica situazione dell’URSS all’indomani della guerra, ma anche alcune delle principali costanti della politica russa.
Una di queste era la fisiologica tendenza espansionista dell’impero degli zar e di Stalin (tra i quali non vedeva soluzione di continuità).
Nonostante il dissanguamento provocato dal conflitto, scriveva Kennan, la pulsione espansionista è sempre viva, perché intrinseca alla natura dello Stato russo; tuttavia, essa rappresenta oggi una minaccia non per l’Europa e tanto meno per gli americani, ma… per la Russia stessa:
«Il sistema interno sovietico sarà ora sottoposto, in virtù delle recenti espansioni territoriali, a una serie di ulteriori tensioni che nel passato si sono rivelate un severo tributo per lo zarismo». E aggiungeva: se, nonostante tutto, l’insopprimibile tentazione a espandersi dovesse prevalere, bisogna sempre avere in mente che il potere russo «è molto sensibile alla logica della forza. Per questo motivo può facilmente ritirarsi, e di solito lo fa quando incontra una forte resistenza».
Per assicurarsi che le potenze industrializzate dell’Europa occidentale non approfittassero della sconfitta tedesca per rafforzarsi, gli Stati Uniti avevano permesso ai russi di arrivare a Berlino e a Praga nel 1945, e a Yalta avevano concesso loro non solo tutti i territori già promessi dal patto Ribbentrop-Molotov, ma anche Königsberg e, soprattutto, la metà centro-orientale dell’Europa.
E quando Mosca, fedele alla propria natura, cercò nonostante tutto di andare oltre a quanto ottenuto – in Iran nel 1945-1946, a Berlino nel 1948, in Corea nel 1950, a Cuba nel 1962 – la «forte resistenza» di Washington la costrinse a ritirarsi, proprio come aveva previsto Kennan.
Europa contro Russia
L’atteggiamento americano (e dello stesso Kennan) verso l’URSS si rovesciò tra il 1946 e il 1947.
O, per meglio dire, il dispositivo anti-europeo si raffinò: oltre a usare la Russia contro l’Europa occidentale, gli Stati Uniti decisero di usare l’Europa occidentale contro la Russia quando Regno Unito e Francia diedero vita, nel 1947, a un’alleanza politico-militare (Trattato di Dunkerque) non contro i russi (neppure menzionati nel testo), ma «nell’eventualità di una ripresa dell'aggressione tedesca» e contro « la sgradita prospettiva di una maggiore dipendenza economica dagli Stati Uniti», come spiegò poi il ministro degli Esteri britannico Ernest Bevin alla Camera dei Comuni.
Il Trattato di Dunkerque, esteso nel 1948 ai paesi del Benelux, fu “espropriato” dagli Stati Uniti e trasformato, nel 1949, nella NATO, creata per far fronte alla pretesa minaccia di un espansionismo russo.
Insomma, per quanto Kennan avesse assicurato che «la Russia rimarrà economicamente una nazione vulnerabile e, in un certo senso, impotente», tutta l’architettura politica e militare della guerra fredda fu costruita attorno al mito della «minaccia espansionista russa». Mito che servì a Washington per obbligare britannici e francesi a rinunciare a ogni velleità di autonomia, per smantellare i loro imperi coloniali, e per tenere l’Europa (e la Germania) divise per quarantacinque anni.
Intendiamoci: come sapeva bene Kennan, la Russia è intrinsecamente, istintivamente espansionista.
Nel suo libro di memorie politiche del 1987, l’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt riportava una frase attribuita a un ministro russo dell’Ottocento: «La frontiera russa è sicura solo quando ci sono soldati russi da una parte e dall’altra».
Lo storico americano G. Patrick March ne trova la motivazione remota nell’invasione mongola del XIII secolo; da allora, scrive, «la paura paranoica di un'invasione ha portato a un riflesso compulsivo di espansione sui territori dei propri vicini, per evitare che essi si espandano sui suoi ». È così.
Ma una cosa è volersi espandere, un’altra è avere la capacità di farlo.
L’ideologia della minaccia
Il mito della minaccia russa su cui si è costruita la Guerra fredda dovrebbe essere insegnato nelle scuole quale perfetto esempio di come si costruisce un’ideologia: si prende un pezzo di realtà (il fisiologico espansionismo russo), lo si astrae dalle circostanze storiche (l’incapacità di espandersi), e lo si assolutizza (la minaccia è sempre presente), addobbandolo con una serie di rappresentazioni molto efficaci per tenere desta la mobilitazione psicologica (per esempio, i rifugi antiatomici e le istruzioni per come sopravvivere a un attacco nucleare).
Oggi ci siamo di nuovo. Da qualche mese, la minaccia dell’espansionismo russo è diventata onnipresente; la possibilità di una guerra – per difendersi da un attacco russo, naturalmente – è sulla bocca di (quasi) tutti i leader europei.
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