Cosa c'è dietro il caso Albania
Il governo doveva sapere che l'invio dei 16 migranti verso i centri albanesi era diventato illegale per una sentenza della Corte Ue. Dunque perché lo ha fatto? Per regolare i conti coi magistrati

Riempire di migranti i centri in Albania è sempre stato difficile oltre che molto costoso. Adesso è sicuramente illegale. Però l’intera operazione può ancora servire a qualcosa: a dare l’impressione di una magistratura di parte, con un peso politico da limitare a colpi di decreti e riforme
I limiti all’azione di governo sulla gestione dei migranti li fissa la legge o il governo stesso? In democrazia prevale la volontà della maggioranza del momento o lo stratificarsi delle decisioni prese da maggioranze passate nelle leggi e nelle convenzioni internazionali? La vicenda dei centri per il rimpatrio vuoti in Albania solleva questioni esistenziali per una democrazia liberale.
Questioni alle quali, per la verità, esistono risposte ben poco ambigue nella Costituzione. Ma il governo Meloni sta trasformando una sconfitta tattica sulla politica migratoria in una sfida tra poteri dello Stato che può avere ripercussioni di lungo periodo.
Per questo è importante andare all’origine della vicenda albanese, per capire cosa sta succedendo e cosa può succedere.
Il 14 ottobre è partita la prima nave italiana con 16 migranti intercettati al largo di Lampedusa diretta verso i centri costruiti in Albania a Gjadër grazie al protocollo siglato dal governo Meloni con quello di Edi Rama.
In quel momento il governo Meloni già sa, o almeno non può non sapere, che i migranti non potranno rimanere in Albania. Che l’intera operazione sarà un fiasco.
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