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I commenti dei giornali italiani sulla visita di Meloni a Washington nascondono la sostanza: zero discussioni concrete, e appoggio alla svolta anti-democratica degli Stati Uniti. Per esportarla

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Stefano Feltri
apr 19, 2025
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JD Vance e signora sono venuti in Italia per la Pasqua per sancire qual è il senso e l’utilità dell’Italia nella geopolitica dell'amministrazione Trump: un Paese con un governo ideologicamente affine dove passare le vacanze

Ci sono giorni in cui penso che la crisi della carta stampata in Italia sia una buona notizia, per i lettori, per la democrazia. Il giorno dei commenti al viaggio di Giorgia Meloni a Washington, da Donald Trump, è uno di quei giorni.

Il misto di cortigianeria, piaggeria, superficialità, consapevole disinformazione su giornali che in alcuni casi esistono soltanto grazie ai fondi erogati da palazzo Chigi fa auspicare che facciano presto la fine dei dinosauri.

“La premier se l’è cavata bene”, “una missione che rafforza la leader nel governo”, “Giorgia ha aperto uno spiraglio per la Ue e la sinistra rosica”, “i tre punti del patto di Washington”: questi sono alcuni dei titoli di editoriali che, a chi ha guardato i 33 minuti di conferenza stampa congiunta di Giorgia Meloni e Donald Trump, sembrano surreali.

Zero contenuti

C’è un solo modo per riassumere la visita di Giorgia Meloni a Washington: la presidente del Consiglio si è resa complice della distruzione della democrazia e dello Stato di diritto negli Stati Uniti e si è messa a disposizione per esportare l’attacco alla democrazia liberale in Europa. Sulla base di un comune assetto di valori e di una analoga disponibilità a deportare migranti illegalmente.

Vediamo i fatti che i giornali non menzionano. La conferenza stampa di Meloni e Trump nello Studio Ovale dura 33 minuti. Meloni parla sì e no per due minuti complessivi. Nessun impegno formale è stato preso, Meloni non poteva negoziare a nome dell’Unione europea sui dazi perché può farlo soltanto la Commissione. L’incontro non ha alcun contenuto.

I giornalisti americani fanno a Trump soltanto domande sulla situazione domestica, quelli italiani si rivolgono a Meloni o a Trump, spesso in un inglese incerto che rende difficile al presidente capire la domanda, figurarsi articolare una risposta (vedi la domanda su Google).

Eppure anche questo nulla diplomatico è pieno di contenuto politico. Meloni dice due cose inutili sulle quali si esercitano i retroscenisti: le imprese italiane investiranno 10 miliardi negli Stati Uniti, non è chiaro di chi parli e in quale arco temporale, ma è un dato che serve a rafforzare la narrazione trumpiana sul fatto che il resto del mondo che si piega ai dazi americani.

Poi Meloni ha promesso che l’Italia arriverà al 2 per cento del Pil di spese militari come previsto dagli impegni Nato, ma sottolinea che si tratta di impegni presi da governi passati. La premier omette di specificare che l’obiettivo del 2 per cento verrà raggiunto, forse, nel 2028.

Nell’immediato, la linea del governo italiano - ribadita di recente da Meloni in Parlamento - è di non aumentare le spese militari oltre quanto già previsto, e di non sfruttare la possibilità di fare debito pubblico in deroga al patto di stabilità e crescita concessa dalla Commissione europea.

Quindi, Meloni fa il contrario di quanto auspicato da Trump, ma è abile nel fargli credere di assecondare le sue richieste di condivisione degli oneri sulla sicurezza.

L’unico obiettivo del vertice è compiacere Trump, confermargli l’allineamento ideologico. Cosa che Meloni fa fin dal saluto.

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