Compensare il privilegio
Perché l’ostentazione della ricchezza dei Ferragnez suscitava ammirazione invece che astio, come succede di solito? La risposta nel nuovo libro di Selvaggia Lucarelli, Il vaso di pandoro
In altri anni sono state le televisioni di Silvio Berlusconi a plasmare l’immaginario degli italiani attraverso le logiche del consumo e dell’aspirazione a un benessere molto materiale. I i Ferragnez hanno aggiornato quel messaggio e contribuito a promuovere un solo valore: quello dell'accettazione della disuguaglianza
Buongiorno a tutte e tutti,
volevo scrivere questo post tutto dedicato al libro Il vaso di Pandoro, di Selvaggia Lucarelli, pubblicato da Paper First, e dedicato all’ascesa e caduta dei Ferragnez, che esce il 14 maggio ma è già al centro della discussione e in cima alle classifiche di vendita di Amazon dove si può pre-ordinare.
Ma prima una precisazione: conosco e stimo Selvaggia da anni. Un sito che talvolta riprende e segnala contenuti di Appunti, Startmag, ha rilanciato un mio intervento recente con un titolo non scelto da me nel quale sembrava che io auspicassi una autocritica di Selvaggia per la vicenda della ristoratrice suicida di Lodi.
Non è quello che ho scritto. Startmag ora ha prontamente corretto il titolo, e ringrazio per la rapida reazione.
Come ho argomentato su Appunti, mi è molto chiara la cronologia di quella vicenda: per primo il Corriere della Sera e poi una serie di altre testate tradizionali gonfiano una vicenda minimale, senza accertamenti e verifiche, e senza porsi la questione se sia un fatto, un fattoide, una minuzia. Cioè che una ristoratrice di Lodi abbia risposto alla recensione di un avventore omofobo di non farsi più vedere. Addirittura si muove una ministra.
Lorenzo Biagiarelli, scrittore e conduttore televisivo e compagno di Selvaggia Lucarelli, interviene con un suo fact checking, per denunciare il conformismo e l’assenza di verifiche dei media.
Da lì si innesca un secondo round della storia, in cui la notizia diventa (per i media tradizionali) che Biagiarelli e Lucarelli si occupano del caso con una posizione diversa da quella del “giornale unico” del web che copia e incolla sempre lo stesso pezzo.
Quando poi la signora, Giovanna Pedretti, si suicida dopo un interrogatorio dai carabinieri, la colpa viene attribuita da quegli stessi giornali non alla bolla mediatica, non allo stress della visita in caserma, non alle vicende familiari tormentate della povera ristoratrice, ma a Biagiarelli e Lucarelli.
Ora che la Procura di Lodi ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, perché è arrivata alla conclusione che non ci sono responsabilità di terzi nella morte della signora Pedretti (e che la recensione era effettivamente falsa come Biagiarelli, non i giornali, avevano ipotizzato), ho scritto che sarebbe stato il momento di qualche autocritica.
Tra i soggetti chiamati a fare autocritica, però, i primi dovrebbero essere i giornali tradizionali che - come spesso accade - hanno dedicato poche righe e qualche fugace post alla conclusione della faccenda, rispetto alle paginate di gennaio.
Poi qualche domanda dovrebbero farsela i carabinieri, che sono intervenuti in una storia ad alto impatto mediatico ma dalle inesistenti implicazioni giudiziarie, come è stato ora sancito dalla stessa Procura.
Biagiarelli e Lucarelli si sono occupati di una vicenda che forse non richiedeva la loro attenzione, per la stessa ragione per cui non richiedeva quella dei giornali. Ma non è a loro che si può attribuire la responsabilità di aver innescato quella fulminea e assurda bolla di articoli e commenti sulla pizzeria di Lodi.
Sono passati alcuni giorni dall’archiviazione, ed è chiaro che nessun giornale farà altri approfondimenti, nessun editorialista commenterà la conclusione della storia, nessuna trasmissione ci tornerà sopra per dire che lo storytelling di qualche mese fa - per usare una parola che domina il contesto social - era sbagliato.
Fine della premessa, che mi porta comunque al tema del libro di Selvaggia, che ha molto a che fare con l’incapacità dei media tradizionali di capire le logiche dei social, e degli influencer in particolare, e con la facilità con cui quello che si vede su una pagina Instagram viene raccontato come fosse la realtà, senza verifiche e senza neppure farsi troppe domande.
L’abbaglio collettivo
I fatti evocati dal titolo Il vaso di pandoro sono ormai arcinoti: nel dicembre 2022 Selvaggia Lucarelli pubblica su Domani, per il quale allora lavoravamo entrambi, l’inchiesta che smaschera la finta beneficenza legata alla collaborazione tra Chiara Ferragni e Balocco. I consumatori venivano spinti a pensare che più pandori si acquistavano più fondi sarebbero andati all’Ospedale Regina Margherita di Torino, ma non era così.
Balocco aveva donato 50.000 euro, a prescindere dalle vendite, Chiara Ferragni avrebbe guadagnato un milione per aver fatto da testimonial. Dopo un anno di sostanziale indifferenza - di Ferragni, di Fedez, di tutti - è arrivata prima la sanzione dell’Antitrust e poi le indagini giudiziarie per truffa. E’ crollato il modello di business dei Ferragnez e poi anche il marchio stesso, con la separazione tra Chiara e Fedez e uno strascico di interviste televisive.
Il libro è pieno di dettagli, storie e personaggi. Non faccio spoiler. Ma mi interessa la chiave di lettura complessiva che suggerisce, e soprattutto la risposta alla domanda di fondo: perché l’ostentazione della ricchezza dei Ferragnez suscitava ammirazione invece che astio, come capita in tanti altri contesti di esibizione delle disuguaglianze?
Può sembrare un dilemma sociologico, ma in realtà è al centro anche della vicenda imprenditoriale dei Ferragnez. Una delle cose che si scopre dal libro è che le imprese disposte a pagare milioni a Chiara Ferragni, non avevano diritto a conoscere gli effetti della collaborazione. Cioè quante interazioni gli utenti avevano con post o stories pagate centinaia di migliaia di euro.
Selvaggia Lucarelli rivela che i contratti di Chiara Ferragni prevedevano clausole di questo tipo: “I contenuti non verranno inviati prima per approvazione e non saranno forniti gli insight degli stessi a fine campagna”.
Questo significa che anche i brand, come i follower di Chiara, erano attratti esclusivamente dalla dinamica aspirazionale. Non dalla capacità di Ferragni di far vendere davvero i loro prodotti.
Se è facile sedurre follower distratti che scrollano post o stories, persuadere i brand più attenti in assoluto al posizionamento e alla percezione è tutt’altra storia. Il manager Fabio Damato, co-protagonista del libro, sarà stato piuttosto spregiudicato nella gestione delle collaborazioni, ma in questa capacità di convincimento è stato efficace.
Compensare il privilegio
La cosa sorprendente è che il messaggio dei Ferragnez, un po’ per la natura di Instagram un po’ per la loro indole, è stato essenzialmente di ostentare una ricchezza rapida, facile, non commisurata in alcun modo a un talento specifico e riconoscibile. E tutto questo è avvenuto nella stagione dei populismi, del nuovo odio di classe, della rivolta contro la globalizzazione e i suoi simboli, dell’ambientalismo critico, dell’inflazione che toglie potere d’acquisto…
Come hanno fatto i Ferragnez ad andare così controcorrente?
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