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Come Trump sta cambiando le elezioni canadesi

Dalla vittoria sicura dei conservatori alla rimonta dei liberali: l'ombra di Trump e l’ascesa di Mark Carney (e i suoi limiti), le ambiguità di Pierre Poilievre

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apr 07, 2025
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Carney affronta critiche per il suo passato economico e l'inesperienza politica, mentre Poilievre fatica a distanziarsi dalle posizioni trumpiane, rischiando di dividere il suo partito. La corsa elettorale è ora una sfida a due, con gli altri partiti marginalizzati

Arianna Dagnino e Stefano Gulmanelli

Buongiorno a tutte e tutti,

Arianna Dagnino e Stefano Gulmanelli hanno lanciato una ambiziosa newsletter qui su Substack che vuole raccontare il Paese in cui vivono e lavorano da anni come giornalisti, il Canada, con un misto di reportage e analisi delle vicende politiche.

Appunti sarà un partner di questo loro progetto, e questo è il primo loro pezzo per noi.

Il Canada è diventato un Paese cruciale per gli equilibri mondiali sconvolti dall’arrivo di Donald Trump, è parte di quella “coalizione di volenterosi” che ormai trascende le frontiere e la geografia, assieme alla Gran Bretagna di Keir Starmer, ad alcuni Paesi dell’Unione europea, in particolare la Francia.

Capire quello che succede in Canada è cruciale per capire cosa succederà all’Occidente, all’Europa e all’Italia, sono quindi particolarmente contento di presentarvi il primo pezzo in partnership con Canadiensis (vi consiglio di iscrivervi).

Canadiensis – Letters from Canada/Lettere dal Canada
A bilingual (EN/IT) newsletter by Arianna Dagnino and Stefano Gulmanelli exploring Canada’s path through the challenges of the 21st century (Trump & others).
By Arianna Dagnino

Buona settimana,

Stefano Feltri


Una corsa finisce solo quando si taglia il traguardo e le imminenti elezioni canadesi potrebbero confermarlo in modo clamoroso.

Solo qualche settimana fa i conservatori di Pierre Poilievre si preparavano a quello che doveva essere poco più di un giro d'onore per raccogliere l’alloro della vittoria, tale era il vantaggio che i sondaggi attribuivano all’attuale partito di opposizione nel Parlamento canadese.

Il governo liberale guidato da Justin Trudeau (al terzo mandato) era alla deriva, con ministri che lasciavano in polemica con il primo ministro e altri che venivano sostituiti in rimpasti d’emergenza.

L'aria di cambiamento soffiava impetuosa: un sondaggio, condotto da Abacus Data tra il 9 e il 14 gennaio 2025, registrava il 46 per cento degli elettori a favore dei conservatori, e solo il 20 per cento decisi a scegliere i liberali.

E si pensava che il divario di 26 punti percentuali potesse solo peggiorare, tanto che si cominciava a parlare di un partito liberale ridotto a poche decine di seggi, complice il sistema maggioritario in vigore in Canada.

La caduta di Trudeau

Justin Trudeau, arrivato al potere nel 2015 sull’onda dell’entusiasmo per i ‘Sunny Days’ (le giornate di sole) che aveva promesso al Canada, aveva perso molta della sua credibilità a causa di scandali, accuse di favoritismi, maldestra gestione del problema delle interferenze straniere nelle elezioni canadesi, nonché per un quadro economico (inflazione e scarsa crescita) assai precario.

Il tasso di inflazione in Canada

La sua impopolarità aveva raggiunto livelli imbarazzanti, e la figura di Pierre Poilievre emergeva come quella del leader di un cambiamento necessario.

Fin quando non è arrivato Donald Trump.

Le esternazioni aggressive del presidente americano nei confronti del Canada, con minacce all'interscambio economico fra i due paesi e persino alla sua sovranità, con l'idea del Canada quale 51esimo stato dell'Unione, hanno causato ansia, sconcerto e un clima da 'minaccia esistenziale' nella popolazione canadese.

Da quel momento è diventata tutta un'altra corsa elettorale, sostanzialmente a due, fra i liberali e i conservatori, con i numeri a poche settimane dal voto (28 aprile) ribaltati: su scala nazionale i liberali sono dati al 43 per cento, mentre i conservatori al 37 per cento.

Gli altri, dal New Democratic Party (NDP, il più spostato a sinistra) al Bloc Québécois (BQ, radicato in Quebec, la provincia francofona a suo tempo percorsa da brividi secessionisti), ridotti a mere comparse, come lo è da sempre l’altro partito in campo, i Verdi (GPC).

Vero è che con il maggioritario le percentuali del voto popolare contano relativamente, ma anche guardando alle possibili proiezioni dei seggi, il partito liberale sembra poter sperare addirittura in un governo di maggioranza.

Vorrebbe dire non dover cercare stampelle esterne, quale l’aiuto del NDP, come nel terzo mandato Trudeau, o accordi di desistenza che consentano un governo di minoranza.

Pro e contro Mark Carney

Un ribaltamento avvenuto in soli due mesi. L’ombra di Trump sul Paese ha avuto l’effetto di subordinare ogni altra questione politica ad un’unica e sola domanda: chi è l’uomo che meglio potrà tenere a bada l’inquilino della Casa Bianca?

Per una significativa porzione dell’elettorato canadese quell’uomo sembrerebbe essere il nuovo leader dei liberali e primo ministro del Canada, Mark Carney, nonostante alcune perplessità che circondano la sua figura.

Le credenziali di Carney come persona capace di navigare mari tempestosi sono eccellenti: è stato il governatore della Banca del Canada durante la crisi economica globale del 2008 e ha guidato la Banca d'Inghilterra durante il turbolento periodo della Brexit.

Un simile cursus honorum giustifica l’apertura di credito che moltissimi canadesi sembrano disposti a concedergli, affidandogli la guida di un paese che, nella migliore delle ipotesi, si troverà ad affrontare una forte incertezza economica, con l’aumento della disoccupazione, la necessità di aiutare le imprese che i dazi potrebbero mettere fuori mercato e il bisogno imperativo di sostenere la domanda interna prevedibilmente destinata ad affievolirsi, visto il clima di pessimismo diffuso che inevitabilmente finirà per diffondersi nel paese.

Resta però il fatto che dal settembre 2024 fino alle dimissioni di Trudeau nel gennaio 2025, Carney è stato consulente speciale e presidente della task force del partito liberale sulla crescita economica.

Diventa quindi difficile per lui prendere le distanze dalle politiche economiche del governo Trudeau. Quelle stesse politiche che Chrystia Freeland, sua rivale nella corsa alla successione di Trudeau come leader liberale, era arrivata a contestare platealmente dando le dimissioni da vice primo ministro e ministro delle Finanze.

Un’abiura che Carney non ha fatto e non può credibilmente fare, visto il ruolo di consigliere economico rivestito nell’ultimo periodo del governo Trudeau.

Il tentativo di distanziarsi dall’amministrazione uscente eliminando, quale primo provvedimento preso come primo ministro, la Carbon Tax a carico dei consumatori, una policy simbolo di Trudeau, appare ai più strumentale. E, come ovvio, gli avversari politici non fanno che infierire su questo aspetto.

Poi c’è il capitolo Brookfield Asset Management, una società di investimenti, di cui Carney è stato presidente dal 2020 al 2024. Una tale esperienza ne rinforza se possibile la percezione di banchiere al servizio del grande capitale.

A Carney viene anche contestata la decisione di trasferire la sede della società da Toronto a New York per attrarre più investitori americani: aver preferito gli Usa al Canada in questa circostanza non è il miglior viatico per un primo ministro che, se eletto, avrà come primo compito quello di difendere il Canada dagli attacchi portati dall'amministrazione Trump.

Carney ha più volte dichiarato che la decisione fu formalizzata dopo le sue dimissioni dal consiglio d’amministrazione per candidarsi alla leadership del partito liberale canadese. Ma il processo a monte di una simile svolta non è questione di giorni o di qualche settimana e appare davvero improbabile che egli non vi abbia contributo quale presidente in carica.

Al momento della sua vittoria nella corsa alla leadership del partito liberale, Carney ha trasferito tutti i suoi beni, ad eccezione degli immobili personali, in un blind trust di cui non può conoscere le linee guida di gestione.

La sua mossa è stata tempestiva, in ampio anticipo rispetto ai termini di legge che gli consentivano 120 giorni per farlo. Ma non ha ritenuto di rivelare pubblicamente il valore dei suoi beni nel trust, e questo non è piaciuto a molti, e non solo agli avversari politici.

Da ultimo, ma elemento non irrilevante nel contesto di una campagna elettorale, Carney lascia trasparire una certa insofferenza nelle occasioni in cui le domande della stampa si fanno incalzanti. La reazione può in parte ascriversi alla sua quasi totale inesperienza come uomo politico, un ruolo che ti obbliga alla costante dialettica con la stampa, ma anche a un suo tratto caratteriale, per così dire assertivo, che sembra far fatica a tener a freno.

I problemi di Pierre Poilievre

Eppure, tutto questo sembra non contare nella clamorosa inversione delle preferenze elettorali dei canadesi. Questo si spiega con il fatto che l’oppositore di Carney ha problemi ancora maggiori.

Tanto per cominciare, ad oggi Poilievre non è riuscito, o forse non ha potuto, cambiare strategia elettorale, che sembra ancora quella pre-Trump: tutta incentrata su problemi oggettivi imputabili al governo Trudeau, come il calo del potere d’acquisto dei canadesi e un mercato immobiliare dai prezzi proibitivi, che rendono il sogno della prima casa irraggiungibile per una fetta crescente della popolazione.

Un approccio da “è l’economia, stupido”, verrebbe da dire, mutuando lo slogan elettorale di Bill Clinton nel 1992.

Ma da gennaio l'attenzione di gran parte dell'elettorato si è concentrata sul come difendersi da Donald Trump, della serie: “Primum vivere…” E qui Poilievre fa davvero fatica a emergere come una credibile opzione quale primo ministro anti-Trump.

Una parte della sua base, non maggioritaria ma comunque non irrilevante, è oggettivamente attratta dalle posizioni trumpiane, come il protezionismo, l'isolazionismo, i tagli alle tasse, il controllo rigido dell'immigrazione e il negazionismo climatico. Prendere pubblicamente posizione contro l’inquilino della Casa Bianca, anche quando quest’ultimo straparla sul Canada, rischia di costargli dei voti.

Certo, nei raduni pubblici dice che “Il Canada non sarà mai il 51esimo stato”, ma lo fa quasi en passant, affrettandosi poi a riproporre il suo mantra “Axe the tax. Build the homes. Fix the budget. Stop the crime." (Taglia le tasse, costruisci case, metti a posto il bilancio, ferma il crimine”), i punti chiave della sua agenda non a caso chiamata “Canada First”.

La scelta di non riposizionarsi in una postura eminentemente anti-Trump ha iniziato a sollevare dubbi all’interno dello stesso partito.

Per ora il dissenso resta sottotraccia ma prima o poi potrebbe andare a minare l’unità di intenti della macchina organizzativa che dovrebbe sostenerlo nella corsa a divenire Primo ministro.

E, a proposito di ‘fuoco amico’, Poilievre paga sicuramente pegno alle posizioni – in un caso ostili, nell’altro anche troppo zelanti – dei leader di due partiti provinciali della galassia conservatrice, il Progressive Conservative Party dell’Ontario e lo United Conservative Party dell’Alberta. Stiamo parlando di due province pesanti: l’Ontario, per peso economico nel paese, è l’equivalente della Lombardia in Italia; l’Alberta è definita il “Texas del Canada”, economicamente (la sua ricchezza petrolifera) e antropologicamente (una popolazione con stile di vita e pensiero di stampo texani).

Ebbene, Doug Ford, il Premier conservatore dell'Ontario, non perde occasione per far sapere quanto si trovi in sintonia con Carney.

Va detto che i rapporti fra partito federale e partiti provinciali sono assai laschi (e questo vale anche per i liberali e l’NDP) e che la mancanza di allineamento fra due partiti della stessa famiglia ideologica non è infrequente.

Ma che il leader del partito provinciale conservatore di maggior peso faccia il tifo per il candidato liberale nelle elezioni federali è certamente un imbarazzo per Poilievre.

Nell’altro caso, che riguarda Danielle Smith, la Premier dell'Alberta, il problema è inverso: il sostegno a favore di Poilievre è eccessivo.

Smith, probabilmente la più ideologicamente trumpiana fra i politici canadesi di primo piano, ha dichiarato a Breitbart News – la stessa testata un tempo diretta da Steve Bannon – di aver chiesto all'amministrazione Trump di sospendere le minacce di dazi fino a dopo le elezioni federali canadesi, sperando così di favorire l'elezione di Poilievre; potenzialmente un vero e proprio 'bacio della morte' per il leader conservatore, che peraltro non ha ritenuto, per i motivi già illustrati, di prendere platealmente le distanze dalla Smith.

La speranza dei conservatori

A questo punto la speranza dei conservatori, al di là di un possibile inciampo di Carney, sempre possibile per uno alla sua prima campagna elettorale, è che gli elettori degli altri partiti, NDP e Bloc Québécois, resistano alla tentazione del voto utile i primi (“Stavolta voto liberale pur di fermare i conservatori”) e prendano per buono l’ammonimento di Yves-François Blanchet, leader del BQ, i secondi: “Non si può mettere la salvaguardia degli interessi dei francofoni nelle mani di un anglofono”.

Se questo non accadrà, Poilievre rischia di perdere delle elezioni fino a poco tempo fa già vinte, proprio a causa del politico americano a lui ideologicamente più vicino.

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Arianna Dagnino
On the road across Canada with our bilingual (EN/IT) newsletter "Canadiensis"/Scrittrice e giornalista – www.ariannadagnino.com
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Stefano Gulmanelli
Degree in Economics and PhD in Sociology, I’ve lived many lives — corporate manager, journalist, photographer, academic — across many countries (Middle East, Albania, South Africa, Australia, Canada). Today, all of this flows into the stories I tell.
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