Chi ci spia davvero?
La vicenda dello spyware usato contro giornalisti e attivisti ci dimostra che l’intelligence è fuori controllo. E che serve più trasparenza per gestire nuovi rischi
Per arginare i pericoli che questa nuova età della sorveglianza comporta servono regole chiare e un dibattito trasparente, non bastano le audizioni secretare in qualche comitato parlamentare, men che meno generiche rassicurazioni in un comunicato stampa
Domani alle 18 - online: Le regole europee per le piattaforme digitali nel tempo di Elon Musk
Negli ultimi mesi il professor Francesco Decarolis della Bocconi ha coordinato un gruppo di lavoro che ha cercato di dare una risposta alla domanda che tutti si fanno: le regole europee sono in grado di arginare Big Tech e al contempo promuovere l’innovazione? Il rapporto dell’Institute for European Policymaking Rules That Empower: Turning EU Digital Regulation into a Catalyst for Innovation verrà presentato in anteprima nell’evento digitale dell’11 febbraio (modera Stefano Feltri). Potete registrarvi a questo link per partecipare
E’ uno strano periodo, questo: praticamente ogni giorno ci sono sui giornali storie che riguardano il mondo dell’intelligence, dello spionaggio, dei servizi segreti. Quasi mai sono storie positive, lusinghiere. Come ha detto il vice premier Matteo Salvini, sembra che ci sia in corso un “regolamento di conti” nei servizi segreti.
Tra le vicende più inquietanti c’è quella del software spia Paragon che è stato usato da qualcuno per spiare giornalisti e attivisti: Francesco Cancellato, direttore di FanPage, e poi Luca Casarini di Saving Humans e Beppe Caccia, armatore della nave salva-migranti Mediterranea, il libico Husama el Gomati, che vive in Svezia.
Ora, prima di vedere i dettagli di questa storia, è meglio tenere presente la questione centrale: è evidente ormai che in Italia l’intelligence viene usata dal potere politico per perseguire obiettivi politici, non di sicurezza nazionale.
Come successo tante volte nella storia italiana, i servizi segreti sono finiti ampiamente fuori dal loro perimetro. E qualcuno deve risponderne.
Serve una discussione pubblica, in Parlamento, sui media, non nel segreto del Copasir, il comitato parlamentare che vigila sull’intelligence: visto che i suoi lavori sono secretati, in Italia siamo al paradosso che i servizi segreti, che rispondono al governo, sono monitorati da un comitato parlamentare a sua volta vincolato al segreto. Se in tempi di normale amministrazione questo può funzionare, oggi non basta.
Questa intelligence è delegittimata, e asservita al potere esecutivo come mai prima d’ora, lo dimostra il fatto che Vittorio Rizzi, il nuovo capo del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza che coordina le altre due agenzie Aisi e Aise, ha denunciato in procura a Perugia il magistrato che ha dovuto indagare la premier Giorgia Meloni e mezzo governo, cioè il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi.
L’accusa a Lo Voi è di aver divulgato informazioni riservate, inserendole in un avviso di conclusione indagini su quattro giornalisti del quotidiano Domani: dal documento che doveva rimanere segreto si capiva che alcuni agenti dell’Aisi avevano fatto strane ricerche sul capo di gabinetto di Giorgia Meloni, Gaetano Caputi.
Capite che un sistema così non ha alcuna credibilità. E dunque può succedere l’incredibile, cioè la vicenda Paragon.
Negli Stati Uniti WhatsApp, che è un’azienda del gruppo Meta, è impegnata in una sua personale battaglia contro le società di spyware, cioè quelle che riescono a bucare la crittografia end-to-end che protegge la privacy delle comunicazioni tra gli utenti di WhatsApp.
Nel 2019 WhatsApp ha contestato a Nso, la società che produceva il software spia Pegasus, di aver abusivamente spiato 1.400 utenti. Nel frattempo, l’amministrazione Biden ha messo Nso su una lista nera di aziende digitali problematiche, e ora un giudice in California ha dato ragione a WhatsApp
Dalla crisi reputazionale di Nso, che vendeva i suoi strumenti a governi poco democratici come quello di Viktor Orban in Ungheria, aveva tratto beneficio un’altra azienda israeliana, fondata dall’ex premier laburista Ehud Barak, dunque all’estremo opposto di Nso che era legata al mondo conservatore che fa capo all’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu.
Qualcuno mente su Paragon
Adesso WhatsApp denuncia che anche il software spia di Paragon, Graphite, è stato usato per accessi abusivi. Paragon vende la sua tecnologia solo a governi, e soltanto in Paesi democratici. Per l’Italia risulta che fosse a disposizione di una forza di polizia e di una di intelligence.
Il governo Meloni dice che l’intelligence non ha spiato i giornalisti, e che gli avvocati di WhatsApp hanno detto che le vittime italiane sono sette. L’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, che è un pezzo dell'intelligence, indagherà.
Paragon, però, ha confermato al Guardian che ha rescisso i contratti con i clienti italiani per violazione degli obblighi contrattuali. Cioè, in pratica, per aver spiato chi non potevano spiare.
Quindi qualcuno non sta raccontando tutta la storia.
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