Che rapporto ha Trump con la verità?
DE FACTO. L’amministrazione americana conferma l’uso sistematico della menzogna come strumento politico, come riflesso istintivo, come cifra stessa di un modo di stare al potere
Si può stimare che l’attuale presidente degli Stati Uniti possa diffondere a parole una ventina di falsità, ogni giorno. Se si pensa che che un individuo comune tende a dire in media da una a due bugie al giorno – per lo più innocue, legate ad esigenze sociali e spesso prive di conseguenze reali – si capisce l’enormità del dato su Trump
Maurizio Mascitti
Non è facile stare dietro alla rapidità delle notizie che arrivano da oltreoceano. Da quando si è insediata la nuova amministrazione americana, non passa settimana senza che vi sia un annuncio scandaloso, una dichiarazione roboante del presidente, o un battibecco del suo staff con i giornalisti. Le ultime vicende già la sapete.
A fine marzo, scopriamo che l’amministrazione di Donald Trump avrebbe accidentalmente incluso il direttore del The Atlantic, Jeffrey Goldberg, in una chat riservata in cui si stava pianificando l’attacco contro alcune postazioni degli Houthi in Yemen.
In un lungo articolo, Goldberg racconta di come tutto sia cominciato l’11 marzo, quando il giornalista riceve una richiesta di collegamento per Signal, un servizio di messaggistica crittografato, da un contatto che si rivelerà essere Michael Waltz, il consigliere per la Sicurezza nazionale. Ma come hanno reagito Trump e i suoi alla storia di Goldberg?
Il presidente se l’è sbrigata in quattro e quattr’otto. Parlando della vicenda, ha detto che il racconto di Goldberg è solo un’inutile ‘caccia alle streghe’. Poi, come da copione, ha appuntato i suoi soliti strali contro la stampa, dicendo che il The Atlantic è un ‘periodico fallito’ e Goldberg un ‘debosciato’. E apposto, morta lì.
Dal canto suo, anche Michael Waltz ha pensato bene di difendersi insultando Goldberg; ma ha aggiunto anche un pizzico di creatività personale.
In un’intervista a Fox News, Waltz gli ha dato dello ‘sfigato’, asserendo di non aver mai incontrato il giornalista in vita sua e di non sapere nemmeno chi fosse.
Purtroppo per lui, però, la Rete non è altrettanto smemorata. Una foto del 2021 di Bernard-Henri Lévy, famoso intellettuale francese, mostra Waltz che sorride mentre Levy parla da un podio. Proprio dietro al consigliere per la sicurezza nazionale c’era Goldberg, in piedi con una mano sulla tasca.
Quando poi la giornalista di Fox News, Laura Ingraham, ha chiesto a Waltz come avesse potuto inserire accidentalmente Goldberg nella chat di Signal, lui l’ha sparata grossa, e ha insinuato che il giornalista si fosse infiltrato deliberatamente nella chat usando qualche strano trucco da hacker.
Persino Trump non si era spinto a tanto. Quando nello studio Ovale i giornalisti gli hanno chiesto chi fosse il responsabile del pastrocchio, il presidente ha fatto candidamente il nome del suo consigliere per la sicurezza nazionale: “Mi è stato detto che è stato Mike”.
Dopo qualche giorno, era ormai chiaro a tutti che la storia fosse vera, e che Goldberg non inventava nulla. Lo staff della Casa Bianca si è allora assestato su una nuova posizione: nella chat di Signal non sono mai state condivise informazioni riservate.
Ma anche questa nuova versione dell’entourage trumpiano è stata smentita.
Incalzato dalle accuse degli alti funzionari, il The Atlantic ha pubblicato gli screenshot della chat collezionati da Goldberg, con dentro le conversazioni riservate sulle modalità dell’attacco, i tempi e le armi che gli Stati Uniti hanno usato nell’operazione in Yemen. Insomma, l’ennesima bugia.
Se l’1,4 per cento vi pare poco
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