Celebrare il 25 aprile ha ancora senso?
La destra ha imposto una versione non-antifascista della memoria, mentre molta sinistra è in confusione sul tentativo di conciliare il mito della Resistenza con le posizioni in politica internazionale
La destra ci ha provato per tanti anni, ma alla fine è la sinistra - e nello specifico l’Anpi - che sta trasformando la festa della Liberazione in una generica occasione di affermazione dei propri - confusi - valori, con i partigiani e le partigiane che sbiadiscono sullo sfondo.
Ma celebrare il 25 aprile ha ancora senso? La risposta della destra la sappiamo, quella della sinistra inizia a farsi incerta.
Il governo Meloni non ha mai nascosto le sue priorità: per i giorni della festa della Liberazione, la premier aveva in programma un viaggio in Asia, tra Uzbekistan e Kazakistan. Poi è arrivata la morte di Papa Francesco e i piani sono cambiati.
Il ministro per la Protezione civile e del mare, Nello Musumeci, una vita nei partiti di destra fino a Fratelli d’Italia, ha chiarito che il 25 aprile si può celebrare nonostante il lutto nazionale per il Papa, ma con sobrietà.
La memoria - mai condivisa, sempre problematica - della Resistenza viene così declassata a una questione di ordine pubblico, di logistica: bene i cortei, ma niente balli e canti, Bella Ciao consentita ma meglio se sottovoce…
Nel suo primo 25 aprile da presidente del Consiglio, nel 2023, Giorgia Meloni aveva scritto una lettera al Corriere della Sera per rispondere a chi l’attendeva al varco, per misurare ancora una volta le sue cosiddette ambiguità sul fascismo: “Ma il frutto fondamentale del 25 aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana”, scriveva la premier.
A parte il verbo desueto - conculcare - il resto dell’articolo chiariva bene il perimetro della memoria esercitata dalla premier sul 25 aprile.
La memoria non antifascista
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