Soldi, potere e politica: cosa abbiamo già imparato dal caso Toti
Il presidente della Liguria è ancora ai domiciliari e fa la vittima. Ma qualunque sia l’esito giudiziario, è già un simbolo di un rapporto malato tra politica e affari. Come era evidente da anni
Il caso Toti non è giudiziario. Non solo. È morale. Etico. Per questo da tre anni, spesso in perfetta solitudine, ho presentato decine di interrogazioni per chiedere alla maggioranza di centrodestra ragione dei rapporti tra istituzioni e finanziatori
Ferruccio Sansa
Buongiorno a tutte e tutti,
vi ricordo che questa settimana sto conducendo Prima Pagina, la rassegna di Radio3, e per chi vuole ci possiamo “sentire” alle 7,15 ogni mattina.
Qui su Appunti oggi torniamo a occuparci del caso di Giovanni Toti, che è sempre sui giornali - nelle pagine interne - per la campagna di pressione del presidente della Liguria per tornare libero e lasciare gli arresti domiciliari dove si trova dal 12 maggio.
La ragione della misura cautelare, ribadita pochi giorni fa dal giudice, è abbastanza evidente: fino a quando rimane in carica, Toti ha sia la possibilità di inquinare le prove che di reiterare il reato, visto che continua a ribadire che i comportamenti contestati (prendere soldi da imprenditori che beneficiano della sua azione, sollecitata, da presidente) non sono criminali.
Nei primi giorni dello scandalo ho subito scritto al mio ex collega Ferruccio Sansa, che ho conosciuto come implacabile giornalista di inchiesta ai tempi del Fatto Quotidiano, specializzato negli intrecci tra politica e affari, e basato per ragioni di vita privata a Genova. Dunque grande esperto di Liguria.
Nel 2020 Ferruccio si è candidato a presidente della Liguria, proprio contro Toti, alla testa di una coalizione composita che includeva Pd e Cinque stelle, in una anticipazione del centrosinistra che da allora avrebbe iniziato a comporsi.
Dal consiglio regionale, Ferruccio si è opposto a Toti con gli strumenti del giornalista di inchiesta: con denunce documentate e veri scoop usati per smascherare quello che gli pareva inaccettabile nella gestione del potere di Toti.
Non sempre c’è bisogno che arrivino i magistrati per vedere gli scandali.
Nei giorni caldi della vicenda giudiziaria, Ferruccio era troppo impegnato nella battaglia politica e a seguire gli eventi per scrivere. Si è preso un po’ di tempo, ma alla fine ha prodotto un articolo che è quasi un saggio, che analizza il sistema di potere di Toti al netto delle contestazioni penali.
Non spetta a noi giornalisti stabilire se un certo comportamento è corruzione, è traffico di influenze, o qualcosa di legale nella zona grigia poco regolata dei rapporti tra politica e affari.
Quello che il giornalista - anche se prestato alla politica con Ferruccio - può e deve fare è rivendicare il diritto alla denuncia degli scambi di favori, del prevalere dell’interesse particolare su quello generale, dei benefici privati ai soliti noti concessi da chi dovrebbe tutelare invece soprattutto le persone normali, in quanto cittadini e contribuenti.
Io non so se Toti verrà assolto o condannato in un eventuale processo che neppure è certo, visto che il presidente della Liguria è soltanto indagato, ancorché ai domiciliari.
Però so che, per le ragioni che leggerete nel lungo intervento di Ferruccio Sansa, dovrebbe dimettersi subito dalla presidenza della Liguria e sparire dalla scena politica italiana. Perché il suo “Modello Genova” non era quello dell’efficienza millantata della ricostruzione dopo il disastro del ponte Morandi, ma era la subordinazione del decisore pubblico agli interessi privati, benefici per centinaia di milioni di euro a fronte di pochi spiccioli per le campagne elettorali.
Un giorno la Cassazione si pronuncerà. Nel frattempo dovrebbero essere gli elettori a pronunciare la loro sentenza: se Toti avrà un futuro politico, allora vuol dire che noi italiani il declino, la politica predatoria, i grandi sprechi, e tutti gli scandali ce li meritiamo proprio.
Buona giornata,
Stefano
Il prototipo Toti
di Ferruccio Sansa
Questi rapporti di dare-avere concretizzano un comportamento corruttivo? Lo decideranno i magistrati. A me, come consigliere regionale, interessava relativamente. Perché già esisteva un conflitto di interessi.
Diventare un simbolo. Così Giovanni Toti spera di salvare la sua carriera e la poltrona di presidente della Regione Liguria.
Il simbolo di una politica del fare intrappolata da leggi ottuse. Di una nuova morale capovolta che finalmente si affranca dalle regole. Libertina, verrebbe da dire, più che liberale.
Una cosa sembra vera: Toti è un prototipo. Ma del rapporto malato tra istituzioni (quindi anche politica) e impresa.
Per questo la sua parabola va oltre i confini della Liguria. Non riguarda soltanto il centrodestra. E soprattutto non è esclusivamente una questione giudiziaria: è l’occasione per definire regole di etica pubblica o per sdoganare definitivamente quella zona grigia dove politica ed economia si muovono, si incontrano, fanno affari.
Insomma, questo è il punto: tutto quello che è lecito deve essere ritenuto giusto oppure esiste ancora la categoria dell’opportunità e della decenza?
In fondo dovrebbe essere una questione che interroga profondamente la politica, da sempre preoccupata delle ‘intrusioni’ della magistratura, ma inerte e incapace di fissare proprie regole di comportamento.
Mai chiedere
L’armatore Augusto Cosulich in un’intervista a Repubblica ha pronunciato una frase che potrebbe essere un manifesto di cinismo, ma anche di realismo. Di certo fotografa bene quello che è successo in Liguria:
“Ho finanziato sia Toti che il suo predecessore Claudio Burlando (Pd, ndr). Il mio principio da imprenditore è di non chiedere mai nulla” ai politici “che se fossi al loro posto non potresti fare. C’è una linea gialla, a volte però diventa una zona grigia... ma un certo tipo di atteggiamento non è colpa tanto degli imprenditori, quanto delle istituzioni che dovrebbero rifiutarlo per prime”.
Ecco, il punto: il caso Toti non è giudiziario. Non solo. È morale. Etico.
Per questo da tre anni, spesso in perfetta solitudine, ho presentato decine di interrogazioni per chiedere alla maggioranza di centrodestra ragione dei rapporti tra istituzioni e finanziatori.
Non ci sono soltanto i magistrati e i reati. Occorre capire quali interessi persegue la politica: i propri, di chi le dà soldi, oppure dei cittadini?
Quello che è emerso dall’inchiesta era, in realtà, già sotto gli occhi di tutti da anni nonostante il torpore dell’opinione pubblica e il silenzio assordante dell’informazione.
Era noto che Esselunga e società da essa controllate finanziavano il centrodestra.
Nello stesso tempo i punti vendita del gruppo negli otto anni di governo Toti stanno passando da uno a sei; mentre la Liguria ha segnato il record italiano di apertura di nuovi ipermercati che hanno messo in ginocchio la piccola distribuzione che pure, paradossalmente, è elettrice del centrodestra.
Del resto lo stesso presidente lo ha ribadito durante gli interrogatori (ma già lo aveva espresso quando non era indagato): “L’apertura di nuovi punti vendita Esselunga era un nostro obiettivo politico”.
Già, la priorità di un amministratore, di un rappresentante delle istituzioni, era sostenere l’iniziativa commerciale di un suo finanziatore.
E’ questo un rapporto di dare e avere che concretizza un comportamento corruttivo? Lo decideranno i magistrati.
A me, come consigliere regionale, interessava relativamente. Perché già esisteva, credo, un conflitto di interessi. E questo è l’ambito di azione della politica (se non vuole lasciare la parola soltanto alla giustizia).
Chi usa chi?
C’è poi il porto, la Fiat di Genova. Un potere che ha sempre proceduto a braccetto con la politica. Tanto da ingenerare un dubbio: erano davvero Toti, e prima di lui il centrosinistra di Burlando, ad appoggiarsi ai signori delle banchine o non era forse il contrario?
In sostanza: forse non è la politica che ha usato l’impresa, ma gli imprenditori che hanno utilizzato i presidenti della Regione. Già, destra e sinistra alla fine si sono alternate, ma il potere, quello vero, è rimasto sempre in mano alle stesse persone. Gli armatori.
C’è un’intercettazione tra il presidente della Regione e il terminalista Aldo Spinelli che in due righe racchiude tutto e spiega perché Toti non può più governare la Liguria: “Il 29 va la tua roba... ricordati che io sto aspettando anche una mano... eh?”, dice il governatore.
È lo stesso Toti, sentito dai pm, che spiega così questo passaggio: “Gli davo una buona notizia, cioè che il 29 andava all’ordine del giorno la sua pratica e gli reiteravo la richiesta di finanziamento. Non ho posto le due cose in relazione”.
Anche in questo caso saranno i giudici a stabilire se vi sia corruzione. Ma già possiamo stabilire una cosa: esistono una colossale questione di opportunità e un conflitto di interessi perché Spinelli attende - e sollecita - una decisione che può valere decine di milioni per lui e le sue società. E Toti aspetta altri finanziamenti dallo stesso imprenditore.
Questo ho chiesto per anni nelle mie interrogazioni in aula. Inutilmente.
Non ci sono soltanto i magistrati e i reati. Occorre capire quali interessi persegue la politica: i propri, di chi le dà soldi, oppure dei cittadini?
Il filone sanitario
Ancora: la sanità privata è tra i principali sostenitori del centrodestra ligure. Un filone che non è ancora oggetto di inchiesta da parte della Procura. Ma pone lo stesso interrogativi politici.
Primo, perché le società che hanno sponsorizzato Toti poi sono state scelte, tanto per dirne una, per realizzare la campagna vaccinale contro il Covid.
Secondo, perché con questa giunta di centrodestra la sanità pubblica è stata strozzata a tutto vantaggio dei privati che si sono visti comprare milioni di prestazioni e, addirittura, affidare interi ospedali una volta gestiti dalle Asl.
Terzo, perché gli stessi imprenditori sono stati scelti per occupare poltrone molto ambite in città. Come quelle del Palazzo Ducale, principale istituzione culturale genovese.
Ma c’è un altro punto interessante. Uno spunto su cui non possono ragionare soltanto i magistrati.
Le imprese della sanità privata - ma anche Spinelli, i signori della grande distribuzione e società della famiglia Benetton, quelli delle Autostrade e del Ponte Morandi - hanno finanziato importanti manifestazioni del Comune di Genova che hanno contribuito a dare visibilità al sindaco di centrodestra Marco Bucci.
Ecco, queste forme di sponsorizzazione vanno considerate anche finanziamenti alla politica? Magari la magistratura vorrà chiarirlo. Già adesso, però, i partiti dovrebbero promuovere regole nuove e una maggiore trasparenza. Già ora si può parlare di un evidente conflitto di interessi.
Questo avevo provato a proporre con le mie interrogazioni. Con decine e decine di interventi sui social network.
Proprio per ridare alla politica e alle istituzioni un ruolo. Una dignità.
Soldi e potere per tutti
La questione di fondo è semplice: tracciare una linea netta tra sistema di governo e sistema di potere.
Ecco, in questo Toti, a suo modo, è stato bravissimo. In una manciata di anni, senza nemmeno essere ligure, si è sostituito al centrosinistra.
Ha occupato gli stessi spazi, le stesse poltrone. Si è perfino alleato con le stesse persone. Gli Spinelli, qui usato non come nome proprio, ma come sostantivo. Una categoria.
Toti ha arruolato gli Spinelli e tanti altri terminalisti - dai Cosulich a Giulio Schenone, signore del grande terminal di Voltri - che prima stavano con Burlando e poi sono passati come nulla fosse con il nuovo signore della Regione. Perché qui non contano sinistra o destra, ma gli affari. Gli interessi, leciti, forse legittimi.
Toti ha arruolato tanti altri mondi, li ha conquistati distribuendo incarichi e poltrone. Soprattutto soldi, decine di milioni, tutti ovviamente pubblici. Quindi nostri, non suoi.
Penso a certi ambienti universitari, con interi corsi che hanno ospitato come docenti collaboratori stretti del presidente. A professori prestigiosi dell’ateneo genovese che sono finiti a guidare le partecipate regionali.
Penso, anche, al mondo della cultura che una volta parteggiava per la sinistra e negli anni del totismo ha brillato per il suo silenzio.
Penso, soprattutto, all’informazione: Toti negli ultimi anni è arrivato a distribuire oltre venti milioni l’anno in pubblicità istituzionale. Si chiama così. In realtà spesso rischiava di essere propaganda. Ed era un modo per puntellare con denaro pubblico i bilanci traballanti degli editori: giornali, tv, siti internet.
Toti ha fatto contratti con tutti. Qualche esempio: 125mila euro all’editore del Corriere della Sera per pubblicità ed eventi. Oltre 110mila euro al Sole 24 Ore per organizzare perfino eventi enogastronomici. Insomma, trofie invece di notizie.
Per non parlare di Primocanale, principale televisione privata ligure, destinataria di decine di appalti da parte della Regione Liguria, delle partecipate e dell’Autorità Portuale di Genova guidata da Paolo Emilio Signorini (il manager oggi in carcere). Dell’editore dell’emittente, Maurizio Rossi (indagato), i collaboratori di Toti dicono: “Rossi... a noi... non ci deve baciare il culo... di più”.
Milioni, decine, distribuiti al mondo dell’informazione che infatti è stato silente, se non talvolta complice, di fronte agli eccessi del totismo. Salvo poi scaricarlo all’arrivo dei magistrati. Anche per questo, il ruolo della stampa (o meglio la sua assenza), la parabola di Toti ha un valore simbolico.
Toti ha coltivato tutti. Ha blandito il mondo delle professioni, le parti sociali, perfino la magistratura indicando come difensore civico l’ex procuratore Franco Cozzi (non indagato) che dall’inchiesta si è scoperto essere stato anche consulente di Spinelli.
Il modello Genova
Toti, in fondo, ha coltivato un sogno di trasversalismo totale, di governo senza opposizione in cui i like e gli applausi si sostituiscono ai voti. Un potere in cui alla fine non si capisce se sia la politica a usare i suoi finanziatori o se non sia piuttosto il contrario.
L’ex figlioccio di Silvio Berlusconi ha proposto un’immagine di Liguria senza un’idea alle spalle. Un po’ come il maxi schermo da centinaia di migliaia di euro che campeggia sulla facciata della Regione. Un’alluvione di lucine che diffondono a getto continuo messaggi e propaganda. “Genova Meravigliosa”, è lo slogan. Oppure “la politica del fare”. Sì, fare comunque, magari male.
Perché la commistione di interessi tra politica e imprese rischia di far realizzare opere colossali, ma utili soprattutto per chi le realizza. Per tacere del pericolo che, se a sorvergliare sull’esecuzione degli appalti è il politico finanziato dall’impresa esecutrice... bé, allora c’è da chiedersi se i costi non possano impazzire, se le opere non possano essere realizzate senza la cura necessaria.
Accade proprio adesso che la Liguria ha ricevuto in pochi anni circa 10 miliardi dal governo e dall’Europa. Più di qualsiasi altra regione italiana. Più che con qualsiasi giunta precedente. Il rischio è che una fortuna irripetibile si trasformi in un fallimento che condanna la Liguria a perdere il treno per il futuro.
A questo punto è arrivata la Procura. Sono giunti gli arresti di Toti, del suo braccio destro Matteo Cozzani, del manager di riferimento Signorini e di Spinelli, il tramite tra politica e porto.
xUn’inchiesta che potrebbe fornire un’occasione straordinaria al centrosinistra. Non soltanto per vincere le elezioni, per riconquistare la Liguria una volta rossa. Ma proprio per proporre, se si volesse, un modo nuovo di fare politica. Un rapporto diverso tra chi amministra e impresa.
Oltre la Liguria
No, non è soltanto una questione locale. Impone alla giustizia di ragionare su una definizione nuova della corruzione. Perché talvolta il denaro può essere dato in modo lecito e trasparente, ma per un fine illecito. E perché la contropartita del politico non sono sempre soldi, ma qualcosa di molto più impalpabile: il potere.
Induce, questo terremoto, il mondo economico a un esame di coscienza perché se l’impresa coltiva, pur legittimamente, soltanto i propri interessi rinuncia ad avere un ruolo sociale. E comunque finanziare la politica sperando, quantomeno, nella sua benevolenza, rischia di uccidere una sana concorrenza che premia i migliori.
Spinge la stampa a valutare se la propria sopravvivenza possa dipendere da finanziamenti pubblici che, però, le fanno perdere - giustamente - la fiducia dei lettori.
E forse qualcosa da rimproverarsi ce l’ha anche la cosiddetta società civile che in questi anni è parsa spesso anestetizzata.
Ma più di ogni altra cosa è un richiamo e un’occasione per la politica: non si può sostenere che tutto ciò che non è reato è accettabile. Praticamente indifferente. E poi biasimare i magistrati quando mettono il naso nel comportamento dei politici.
Se la politica non sa proporre ideali e regole, se pensa che esista soltanto il codice penale, allora lascia ai pm il ruolo di stabilire i limiti.
Ma vogliamo davvero credere che spetti soltanto alla giustizia dirci cosa è giusto?
Appunti è possibile grazie al sostegno delle abbonate e degli abbonati. E’ con il loro contributo che Appunti può crescere e svilupparsi anche con progetti ambiziosi come La Confessione. Se pensi che quello che facciamo è importante, regala un abbonamento a qualcuno a cui tieni.
Il nuovo libro: Dieci rivoluzioni
Il Podcast: La Confessione
Ascolta La Confessione, il podcast di inchiesta che rivela per la prima volta da dentro come funziona il sistema di copertura e insabbiamento degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica italiana.
Un podcast realizzato da Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn, realizzato grazie al sostegno della comunità di Appunti. Con la collaborazione di Carmelo Rosa e la consulenza per musiche ed effetti di Stefano Tumiati.
Ottimo intervento. Sansa contribuisce validamente a spiegare quella sensazione di disagio mia e, credo, di molti altri cittadini, che si prova quando si ha l'impressione che ci sia qualcosa di sbagliato nei fatti e nei comportamenti ma non si riesce ad afferrare con precisione l'essenza dell'ingiustizia. Mancano, ormai da tempo, nella coscienza collettiva quegli univoci e rigorosi criteri morali che scattavano come anticorpi negli innumerevoli casi simili a questo. Anche questa può essere una delle ragioni dell'astensionismo elettorale.