La Confessione Extra: Le reazioni al podcast
A Enna arrivano Le Iene a inseguire il vescovo Gisana, un docente ci scrive, il blog del Regno commenta, Camihawke rilancia. Cosa sta succedendo dopo la settima puntata
Nessuno immagina certo che da Enna possa risolversi il tema dell’alienazione religiosa, ma bandire abusanti, violenti e impostori non dovrebbe essere solo un anelito, ma una pretesa, un fine per il quale imporsi
Carmelo Albanese
Buongiorno a tutti,
come ogni mercoledì, oggi è il giorno de La Confessione, il podcast di inchiesta che abbiamo realizzato con Giorgio Meletti e Federica Tourn.
Ora che le puntate iniziano a sedimentarsi, e che l’inchiesta è disponibile in forma completa, in tanti iniziano a reagire, forse perché hanno prima aspettato di avere tutti gli elementi.
Ieri è anche successa una cosa importante, forse cruciale: Camihawke ha rilanciato il podcast in una serie di storie. Camihawke, nome social di Camilla Boniardi, è una scrittrice, attrice e influencer che ha 1,3 milioni di follower.
Il suo sostegno è importante per due ragioni. Primo: per i numeri, il podcast è arrivato a 187.000 download, se contiamo tutti quelli che lo hanno iniziato, sono 232.000. Le impression, cioè le volte che il podcast è stato “visto” da qualcuno, sono 1,8 milioni.
L’aiuto di Camilla sarà importante per crescere ancora.
La cosa più significativa, però, è che Camihawke abbia scelto di parlare di un tema così delicato e difficile da maneggiare. Di solito gli influencer preferiscono argomenti innocui, che non rischiano di dividere la community, o innescare dibattiti, o - ancora peggio - che possano avere una connotazione anche in senso lato politica.
Da qualche settimana Instagram ha addirittura reso meno visibili i contenuti politici, a meno che l’utente non cambi certe impostazioni.
Quindi la scelta di Camihawke è di rottura rispetto agli standard di quel tipo di discussione, e forse permetterà a La Confessione di raggiungere un nuovo pubblico.
Intanto, in almeno due pezzi della società italiana, è cominciato un dibattito intorno al podcast. Dentro il mondo cattolico, e vi riporto qui un estratto di un articolo del blog del Regno, poi vi riporterò in un’altra newsletter un intervento importante di Roberto Maier su Settimananews.
Anche a Enna, nella diocesi di piazza Armerina, succedono cose. In Sicilia sono arrivate Le Iene, vi riporto un post Facebook indignato perché gli inviati di Mediaset hanno osato avvicinare il vescovo che nel podcast si vanta di aver "insabbiato questa storia” di abusi su un minore.
E poi c’è la reazione della società civile, che adesso ha argomenti e sponde nazionali per rompere la campana di silenzio calata dalla diocesi e dal Vaticano su queste vicende. Trovate qui un articolo che ci ha mandato un professore di Enna per commentare il podcast.
Stiamo cercando uno spazio per presentare il podcast a Roma, lunedì 13 maggio, per ora abbiamo qualche problema, se avete spazi disponibili, contattatemi.
Due ulteriori punti. Della vicenda dell’arresto del presidente della Liguria Giovanni Toti ci occuperemo presto, sto aspettando un articolo sul tema. Chissà se il governo considererà la questione tanto grave quanto le vicende pugliesi delle ultime settimane o le accuse di taccheggio a Piero Fassino del Pd.
Infine, si avvicina il Salone del libro, vi ricordo che presenterò il mio libro Dieci rivoluzioni nell’economia globale (che l’Italia si sta perdendo), uscito da poco per Utet, alle 16 insieme alla scrittrice Letizia Pezzali.
Molte lettrici e lettori stanno aderendo all’iniziativa per unire i progetti di Appunti e del libro e le rispettive comunità: chi compra il libro e mi manda una foto, qui o via Instagram, può indicarmi una mail a cui attivare un abbonamento omaggio di sei mesi ad Appunti. In ogni newsletter troverete la foto di una lettrice o di un lettore che hanno aderito all’iniziativa che continua per tutto il mese di maggio.
Buona giornata,
Stefano
Un estratto da Re-Blog, il post della rivista Il Regno
Dio nelle vittime
«Dio nelle vittime» era il titolo di un editoriale pubblicato sul Regno nel lontano 2010, quando sembrava che il disvelamento del caso Irlanda stesse scuotendo profondamente la barca di Pietro. Oggi La Confessione arriva a raccontare fatti che toccano il presente. E se si è arrivati a una vera sanzione dell’accusato, lo si deve solo al fatto che Antonio Messina, una delle vittime, ha denunciato don Rugolo presso le autorità civili.
Insomma, le vittime non sono credute: i loro racconti sono, appunto, in-credibili, dolorosi, pieni di rabbia, scuotono fino alle radici la struttura gerarchica ecclesiale, la quale – di fatto – cerca di accompagnarle alla porta.
E non ci si può lamentare del fatto che – sono le parole di mons. Charles Scicluna, a lungo promotore di giustizia presso quello che è oggi il Dicastero per la dottrina della fede – le vittime tendano a diventare una «corporazione»: in fondo, si può dire che si hanno le vittime che si meritano; se diventano anticlericali o se si fanno sponsorizzare dalle lobby anticlericali – spesso è così – è perché ne hanno molte ragioni.
Oggi in Italia in tutte le diocesi è stato istituito un Servizio di tutela dei minori, accanto al quale dovrebbe esistere un Centro d’ascolto, il luogo preposto all’accoglienza delle denunce di vittime. Come abbiamo visto nel 2022, con il I Report sull’attività di prevenzione e formazione di questi organismi, il bicchiere si poteva considerare «mezzo pieno». Non così con la Seconda rilevazione sulla rete territoriale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili presentata l’anno dopo: ancora i Centri d’ascolto sono in metà delle diocesi italiane (del Nord), non hanno uno statuto chiaro e non godono di quella terzietà che fa da ponte tra la vittima e l’istituzione.
“Un agguato in piena regola”
Dalla pagina Facebook Piazza in Diretta:
“Qualcuno lo definisce un agguato in piena regola. Condotto con spregiudicata premeditazione, in una basilica Cattedrale affollata di fedeli per il raduno diocesano dei ragazzi che assistono il sacerdote durante la messa. Erano le 16.00 quando il Vescovo Rosario Gisana stava celebrando la funzione religiosa.
Stando alle testimonianze raccolte, due inviati della troupe delle Iene, il tg satirico di Mediaset, mimetizzati tra i bambini, addirittura entrati zoppicando e fingendosi donatori di generi alimentari per conto di un pastificio del trapanese, avrebbero improvvisamente indirizzato frasi ad alta voce e grida di protesta contro il primo pastore della chiesa Piazzese, interrompendo la serenità e la quiete del momento di gioia condivisa.
Qualcuno ha tentato di fermarli e riportarli all’esterno della basilica mentre nel caos generale scatenatosi il vescovo ha trovato riparo in sagrestia, accompagnato e difeso da molti tra i presenti. L'episodio assai grave ha creato panico e sgomento, tra i bambini con gli inviati della trasmissione che, con la collaborazione di altre persone sulla piazza Cattedrale, hanno provato a chiedere informazioni e disturbare i giovanissimi partecipanti al raduno.
Altri testimoni narrano che uno degli individui introdottosi in Cattedrale abbia tentato di entrare con virulenza in sagrestia e nell’ufficio parrocchiale, dove il vescovo ha trovato riparo per un quarto d’ora, in attesa del sopraggiungere di una pattuglia di carabinieri, che ha proceduto alla loro identificazione e controllo.
Quest’ultimo fatto, che segue un altro appostamento, nel giorno della festa della Patrona il 3 maggio, all’ora di pranzo sotto casa del vicario della diocesi mons. Rivoli, manifesta un accanimento senza precedenti, nei confronti del vescovo, della nostra diocesi e della città tutta, assolutamente anomalo e fuori da ogni civile e corretto metodo giornalistico, che rasenta la violenza morale e psicologica per fatti, già ampiamente giudicati nelle sedi competenti e che oggi appaiono utilizzati per finalità speculative, al di là di ogni buona pratica di approfondimento giornalistico.
Un killeraggio mass mediatico che semina odio e cattiveria gratuita all’interno della comunità civile e religiosa della nostra diocesi, persino nelle giornate dedicate alla festa della nostra patrona Maria Santissima delle Vittorie”.
Il tempo di bandire abusanti e impostori da Enna
di Carmelo Albanese*
*storico, docente di Storia e Filosofia
La Confessione è un’inchiesta giornalistica magistralmente condotta da Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn che mette in luce una cosa, anzi due.
La prima è che gli abusi sessuali nel mondo della Chiesa hanno una diffusione molto maggiore di quanto comunemente siamo abituati a credere o a supporre, al punto da rappresentare, all’interno di quella dimensione, una prassi ormai ordinaria, accettata, vissuta e considerata come non nociva.
La seconda è che tali violenze si perpetuano e possono farlo grazie ad un lavoro scientifico di protezione degli abusanti e di occultamento delle scabrose vicende, esercitato dai livelli bassi, intermedi e alti della gerarchia ecclesiastica: un modus operandi con regole precise e modelli standardizzati, nel quale gli attori sono chiamati a seguire una condotta fedele ad un manuale non scritto di comportamento, potendo disporre, all’occorrenza, persino di formulari.
Alla base di tutto ciò – che comporta, tra l’altro, non solo l’assoluta mancanza di empatia con la vittima, ma un misconoscimento che tradisce una certa forma di disprezzo - sta lo spirito di corporazione, cui preti e prelati sono istruiti sin dagli anni del seminario, ossia la ferrea convinzione di appartenere ad una élite non civile, un corpo separato che ha il compito di organizzare e orientare la società ma non di rispondere alle sue leggi.
Persuasione certo antica questa, rivendicata da Bonifacio VIII tra Due e Trecento ma già presente nelle riflessioni di molti suoi predecessori, che neppure il Concilio Vaticano II, momento di apertura, rottura e innovazione più alto nella storia della Chiesa, è riuscito a sradicare o arginare.
Il tema del podcast è un caso di abuso - confermato tale da una sentenza di primo grado di un tribunale dello Stato - che si consuma in una diocesi periferica ma prestigiosa, quella di Piazza Armerina, guidata nella prima metà del secolo scorso da Mario Sturzo, fratello del più noto Luigi, all’interno della quale le modalità di gestione del caso sono identiche, talora collegate, a quelle operate in altre diocesi del paese (e del mondo).
Aspetto questo per nulla secondario, che i curatori dell’inchiesta riescono a dimostrare interpellando esperti e studiosi di diverse discipline che nella loro attività e nei loro studi si sono trovati ad affrontare tale problematica: esiste, insomma, un sistema integrato, e ciò che accade nella profonda Sicilia ne contiene tutti i tratti esemplificativi. E qualcosa di più.
Enna è il contesto della violenza ormai accertata. E non solo sul ragazzo che ha avuto la forza e il coraggio di denunciare.
Al centro della Sicilia, e anche per questo isola nell’isola, la carenza di strutture produttive che espone da anni questa realtà ad un processo di desertificazione, inducendo frotte di giovani a cercare lavoro e vita in località altre, è direttamente connessa ad una atavica povertà socio-culturale – e di strutture atte ad invertire la tendenza – che fa sì che la dimensione religiosa, con le sue parrocchie, la sua rete associativa, le sue confraternite, costituiscano l’unico fattore aggregante e coinvolgente in una città il cui tempo è scandito dai rintocchi delle campane e dalle decine e decine di festività cattoliche e di processioni di simulacri che attraversano le vie, mentre i fedeli, “civili” o in veste di confrati, scandiscono le stesse sempiterne preghiere e invocazioni, solo sostituendo il soggetto invocato.
La religione fa società e la società è religiosa a Enna, seppur in forme prevalentemente estetiche e folcloristiche.
In un tale humus, è facile comprendere come un prete giovane e a suo modo carismatico possa in poco tempo divenire il punto di riferimento dell’intera comunità, esaltato e celebrato quasi come quelle statue che i cittadini amano portare in spalla, al punto da divenire, tra le altre cose, persino tutore spirituale della squadra di calcio della città, approdata qualche giorno fa nella serie professionistica.
Artisti e professori, improvvisati cantanti e altrettanto improvvisati giornalisti, professionisti e commercianti, gente comune, ragazze e ragazzi, tante e tanti fanno a gara per conquistare uno scatto che li ritragga col “don” di massa, per avere selfie con cui inondare i social-media (tranne poi fare piazza pulita di tutto, una volta reso noto lo scandalo); e anche la politica con lui ma, più in generale, con questo ambiente, deve necessariamente misurarsi, se non altro perché da lì sgorga.
Ambito parrocchiale/congregativo e sfera della rappresentanza e dell’amministrazione sono da sempre vasi comunicanti o comunque in stabile dialogo. Chierici e laici impegnati religiosamente indirizzano e orientano nelle diverse tornate elettorali, come accade al “don” di massa, apertamente schierato a sostegno di un giovane ragazzo dell’associazione da lui fondata, che diverrà poco dopo il più giovane consigliere comunale della storia cittadina, raccogliendo un elevatissimo numero di preferenze.
Si parla, dunque, ma anche si tace, rispettosamente. Così nessuna forza politica dichiara alcunché quando il caso di violenza balza agli onori della cronaca, né dopo, quando arriva la sentenza; del pari, a fronte di una vicenda che coinvolge, intaccandola, l’intera comunità, l’amministrazione comunale non si preoccupa di costituirsi parte civile nel processo; anzi, nemmeno discute al suo interno l’eventualità, come dichiara un assessore della giunta alla giornalista che porta avanti l’inchiesta.
La strada che si batte, insomma, è quella della rimozione o del tenersi fuori, estraniandosi, dal supplizio di amici che sono, furono e molto probabilmente continueranno adessere.
Ma protagonista del podcast non è Giuseppe Rugolo. Il prete abusante è semmai uno spioncino che permette ai giornalisti di addentrarsi in un universo più grande, ovvero nel sistema di protezione che si attiva quando il potere ecclesiastico avverte di esser stato scoperto.
In tal senso Rugolo è una fonte, perché in questo intricato meccanismo di relazioni sbaglia, non si fida di chi in realtà vuole tutelarlo per tutelarsi e – non solo lui - registra tutto, consentendo così prima agli inquirenti e poi ai giornalisti di dipingere un affresco spietato e degradante che miete vittime. E fa male.
Il focus dell’inchiesta è il vescovo della diocesi, monsignor Rosario Gisana, che nella richiesta di aiuto di un giovane parrocchiano scorge una mina capace di incrinare la credibilità dell’intera struttura ecclesiastica agli occhi dei fedeli/cittadini, e si adopera per disinnescarla. Con ogni mezzo.
Predispone una indagine interna nominando inquirenti “leali” che non ha sbocco, banalmente perché nessuno viene interrogato (eccezion fatta per il giovane abusato). Chiede e ottiene temporanea ospitalità per don Rugolo dalla diocesi di Ferrara, guidata dall’amico monsignore Gian Carlo Perego, ma non informa la comunità delle reali ragioni dell’allontanamento e, anzi, agevola la convinzione popolare secondo cui si tratta di una scelta autonoma del parroco, ora per ragioni di salute ora per motivi di studio.
Soprattutto prende tempo, moltissimo tempo, confidando che il trascorrere di giorni, mesi, anni, sfianchi definitivamente la vittima.
In una storia in cui manca del tutto la compassione, Gisana non è arbitro neutrale ma giocatore di parte, e non fa neppure molti sforzi per nasconderlo. Il parroco abusante si trova di fronte ad una “prova sulla strada della santità” (così dice il vescovo in una conversazione intercettata), è un confratello che va non solo protetto ma addirittura riscattato da questa infamia, congelando la guida della parrocchia tanto desiderata, San Cataldo, fino a quando questa brutta storia non si dileguerà nei meandri della memoria di chi l’ha sollevata.
Vi sono alcune parole chiave che scandiscono questa vicenda repellente e che ci sono utili per definirne i contorni.
La prima è “insabbiamento”. La utilizza il vescovo stesso in un colloquio telefonico col “don” di massa intercettato, per chiarire il ruolo svolto e lo scopo di tutto ciò che ha fatto.
Poi “impunità”, pretesa dal parroco, riconosciuta e ricercata per lui in ogni modo dal capo della diocesi.
Ancora “soldi”, tantissimi soldi. Come emerge dall’inchiesta, la curia non vede mai nel seminarista prima, poi parroco di Enna un abusatore o potenziale tale che va quantomeno arginato in attesa che venga fatta piena luce sulle accuse rivoltegli, ma un confratello perseguitato e, soprattutto, l’anello debole di un sistema, la fessura dalla quale, se non prontamente rattoppata, rischiano di fuoriuscire verità indicibili in grado di far crollare l’intero edificio ecclesiastico.
Con questo scopo l’imputato viene fornito dell’avvocato di fiducia della diocesi e riempito di risorse economiche - “provenienti dall’otto per mille”, afferma il vescovo in un interrogatorio, cioè dalle tasse dei cittadini - per tutte le cose di cui necessita o afferma di necessitare: vitto e alloggio, naturalmente, ma anche testi scolastici, visite mediche e copertura di debiti familiari (“mi basta che tu mi dia l’Iban”, dice Gisana in un accorato scambio con Rugolo intercettato).
Il denaro sarà pure “sterco del diavolo”, ma all’occorrenza serve, o potrebbe servire, ad esempio per comprare il silenzio del giovane denunciante, che rifiuta.
La somma proposta è di 25.000 euro (che, come si apprende dal podcast, sembra essere la cifra standard offerta dalle gerarchie nei casi, come questo, in cui si prova a risarcire per silenziare); la cassa questa volta è quella della Caritas, che normalmente raccoglie fondi per le persone in difficoltà, ma di altra natura.
“Giustizia”, quella che solitamente non arriva o giunge troppo tardi, ma non questa volta. Il 5 marzo 2024, infatti, il tribunale di Enna riconosce la colpevolezza di don Rugolo, condannandolo a quattro anni e sei mesi per violenza sessuale, e la responsabilità civile della diocesi di Piazza Armerina, che dovrà rispondere in solido con il sacerdote del risarcimento delle parti civili.
Infine “paura”, ciò che ha mosso il coraggioso giovane che ha denunciato i fatti andando fino in fondo e che dovrebbe assediare la popolazione ennese.
Perché la paura ha una funzione sociale: occorre impaurirsi per sviluppare uno spirito di autoconservazione, la messa in discussione di credenze consolidate, l’ansia di riscatto e il desiderio del cambiamento.
Nessuno immagina certo che da Enna possa risolversi il tema dell’alienazione religiosa, ma proprio perché si tratta di una cittadina in cui la “rappresentazione” ha per molti un valore uguale o addirittura superiore alla realtà, bandire abusanti, violenti e impostori non dovrebbe essere solo un anelito, ma una pretesa, un fine per il quale imporsi. E, se del caso, lottare.
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Appunti e Dieci Rivoluzioni: il libro e l’abbonamento omaggio
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Mi piacerebbe fare questo esperimento “economico” questa settimana per raccontare poi i risultati già al Salone, ma la cosa resta attiva per tutto il mese di maggio.
Antonio Lana, che vedete nella foto qui sopra, è il primo ad aver aderito all’iniziativa!
Buongiorno, complimenti per il pezzo di oggi, riportante il movimento che si sta creando sui social attorno al podcast, oltre al re blog del Regno, nonché il bel pezzo del prof. Carmelo Albabese.
Un gran successo questo podcast e un importante impatto. Complimenti!