Il problema Macron
Il suo grande discorso sull'Europa alla Sorbona, riedizione di quello del 2017 rivela poche idee e la tentazione di comportamenti predatori a danno degli alleati
La linea suggerita da Macron è che siccome i competitori dell’Europa – Stati Uniti e Cina – non rispettano le regole, è assurdo che noi (europei) siamo gli unici a rispettarle
Manlio Graziano
Buongiorno a tutte e tutti,
una lettrice affezionata di Appunti mi ha già messo in guardia: della chat 25 aprile creata da Massimo Giannini non ce ne frega niente.
Eppure penso che, con tutti i suoi limiti, sia la cosa più interessante che è successa in questa fase ell’area culturale di un centrosinistra spappolato e senza punti di riferimento, che nelle liste alle europee mette personaggi buoni per un qualche post social ma privi di esperienze e competenze.
Breve riassunto: il 25 aprile Giannini, già direttore de La Stampa e oggi editorialista di Repubblica, crea un gruppo WhatsApp con dentro un migliaio di persone dalla sua rubrica. Giornalisti, attori e attrici, intellettuali di vario genere, qualche imbucato.
Dopo tre giorni a leggere i messaggi e a intervenire di tanto in tanto, mi sono fatto qualche idea.
Primo: un gruppo WhatsApp è il grado zero della tecnologia, non è certo una rivoluzione, ma prima di Giannini non ci aveva pensato nessuno. Come tutte le buone idee, sembrano ovvie soltanto dopo che qualcuno le ha pensate.
All’improvviso, e per quanto ne so per la prima volta, c’è uno spazio di discussione unitario e comune per gente che più o meno si conosce, ma che ha di solito rapporti bilaterali. Il gruppo è un'innovazione perché tutti possono leggere tutto. E spesso è interessante.
Secondo: qualunque sia l’accezione che si dà del termine, l’antifascismo e il 25 aprile sembrano emergere davvero l’unico punto condiviso di una sinistra (culturale, prima che politica) che per il resto ha idee diverse su tutto, dalla guerra alla politica economica, ai temi della giustizia.
Questo è il primo risultato del progetto - qualunque piega prenderà - avviato da Massimo Giannini, indicare un minimo comune denominatore.
E, come dimostra l’intervento di Christian Raimo qui sotto, una mobilitazione intellettuale sui temi dell’antifascismo avrebbe senso anche senza il sillogismo che essere antifascisti significa opporsi a Giorgia Meloni perché fascista.
Un paese senza memoria è un paese pericoloso, specie se l’assenza di memoria riguarda il fascismo.
Raimo racconta che i suoi studenti non avevano idea di chi fosse Giacomo Matteotti o di quale grado di violenza praticasse il fascismo. E no, la colpa non è degli studenti, che alle medie o alle superiori possono conoscere soltanto quello che viene insegnato loro a scuola o trasmesso dalla cultura diffusa, inclusa quella dei social.
Terza consapevolezza di questi giorni di chat: anche a sinistra in tanti hanno assorbito modalità, toni, linguaggio, e postura della destra che contestano. O quantomeno rivelano un disprezzo e un’aggressività del nemico poco compatibile con gli ideali democratici che vorrebbero difendere.
Non poteva mancare il cretino che - a commento della candidatura del generale Roberto Vannacci - pensa di fare lo spiritoso con il commento “uccidiamolo”.
Questo è un problema: il livello della discussione anche tra persone civili e colte, progressiste, degenera in poco tempo verso un flusso di commenti e astio tipico delle conversazioni che si osservano su Facebook, piattaforma ormai riservata una generazione attempata che sui social sembra aver finalmente trovato modo di sfogare una aggressività e una sciatteria di pensiero che evidentemente ha represso in decenni di vita analogica.
Per quel che vale la mia opinione, trovo molto interessante che persone in posizioni di grande visibilità o potere nei rispettivi campi si coordinino con una missione civica comune. E se è intorno al 25 aprile che si può ricostruire una identità di sinistra, o anche soltanto repubblicana, bene, ripartiamo da lì.
Purtroppo gli anni del berlusconismo hanno lasciato in eredità dei tic difficili da rimuovere: la tentazione di promuovere appelli che tuti firmano e nessuno legge, di configurare ogni azione culturale o politica soltanto come opposizione personale e antropologica a un nemico, di rivendicare una diversità etica e morale che è da costruire e dimostrare ogni giorno, non da presentare come se fosse auto-evidente.
Non so che sviluppi avrà la chat 25 aprile, di sicuro Massimo Giannini forse senza volerlo si è assunto una pesante responsabilità.
Se mille persone che incarnano il pensiero progressista in Italia non saranno in grado di incidere in alcun modo, e si limiteranno a un dibattito autoreferenziale, sarà la migliore conferma che la destra può davvero costruire una egemonia culturale, o forse ci è già riuscita, senza neppure provarci davvero. Per abbandono del campo da parte dell’avversario.
Invece potremmo scoprire, grazie a Giannini, che nella sinistra italiana c’era e c’è ancora una vitalità e anche una gravitas che i partiti e i giornali dell’area non riescono più a incanalare, schiacciati dalla ripetizione di schemi e firme usurate o dall’inseguimento di novità eterogenee.
Dopo tre giorni nella chat già non si parla già più di 25 aprile, ma io resto cautamente ottimista.
Nell’attesa di capire che fine farà il gruppo WhatsApp, oggi vi lascio a Manlio Graziano e alla sua analisi dell’ultimo discorso sull’Europa del presidente francese Emmanuel Macron.
Come sempre, Manlio riesce a essere tanto drastico quanto argomentato nei suoi pezzi. In fondo al pezzo trovate il link alla scuola estiva di geopolitica dello Spykman Center che Appunti sostiene (ci insegno anche io). Potete iscrivervi, cliccate, leggete e valutate.
Buona giornata,
Stefano
Il vuoto di Macron
di Manlio Graziano
Riascoltare Emmanuel Macron alla Sorbona, sette anni dopo il suo primo discorso in quella sede, è un po’ come vedere Zinédine Zidane o Roberto Baggio in una partita di vecchie glorie: capaci certo di risvegliare alcune sopite nostalgie, ma anche di stimolare imbarazzanti paragoni col passato.
Il lungo discorso del presidente francese è stato uno sforzo oratorio lodevole (un’ora e quarantanove minuti) ma scarno di contenuti veramente originali.
Ufficialmente, avrebbe voluto essere un «rilancio» dell’iniziativa europea, un colpo di frusta, un incitamento a fare più e meglio rivolto soprattutto ai partner continentali, ma i partner continentali l’hanno sostanzialmente ignorato.
Il tono delle reazioni è dato dal comunicato del cancelliere tedesco Olaf Scholz: un breve riconoscimento dei «buoni impulsi» offerti da Macron, annegato in una sbrigativa retorica sull’amicizia franco-tedesca.
In Francia, il passaggio del discorso che ha fatto più notizia è stato l’«audace» avvertimento che “l’Europa è mortale”. Quella che sarebbe, da un punto di vista storico, un’ovvietà avrebbe potuto diventare uno sprone solo se accompagnata da idee su come non farla morire anzitempo. Ma, su quel fronte, chi si aspettava idee nuove è rimasto a bocca asciutta.
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